Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
5. LA TIPOLOGIA DEI RAPPORTI DI LAVORO SUBORDINATO
Il lavoro subordinato atipico (tipologie di lavoro subordinato nei suoi tratti di atipicità):
Oltre al lavoro autonomo e al lavoro subordinato tipico, vi sono diverse tipologie di lavoro subordinato
atipico (che si discostano dal tipico): il lavoro a termine (a tempo determinato), il lavoro part-time (a tempo
parziale), il lavoro intermittente, il lavoro interinale (o somministrato), l’apprendistato, il telelavoro, il lavoro
a domicilio e il lavoro domestico.
La disciplina in materia di lavoro subordinato atipico è stata notevolmente semplificata con l’introduzione
del d.lgs. 81/2015, che si occupa del lavoro a termine (a tempo determinato), del lavoro part-time (a tempo
parziale), del lavoro intermittente, del lavoro interinale (o somministrato) e dell’apprendistato; la disciplina
di queste tipologie lavorative è stata riscritta, con alcune modifiche, nel testo di quest’unico decreto
legislativo. In materia di lavoro subordinato atipico il legislatore ha introdotto modifiche praticamente ogni
anno (vi è stato un cambiamento continuo); ora è stato finalmente introdotto un testo legislativo che ne
riscrive la disciplina e che cerca di essere un punto di riferimento stabile.
La disciplina e i principi previsti dall’Unione Europea in materia di lavoro subordinato atipico:
Alcune di queste tipologie lavorative sono regolate direttamente a livello di istituzioni europee. La
regolamentazione è nazionale, ma deriva da alcuni principi e disposizioni che sono previsti in fonti europee.
Le fonti europee riguardano il lavoro a termine (a tempo determinato), il lavoro part-time (a tempo
parziale), il telelavoro ed il lavoro interinale (o somministrato). La disciplina nazionale non può contrastare
con i principi della normativa europea, che, comunque, non sono eccessivamente stringenti. È quindi
importante analizzare innanzitutto la disciplina prevista dall’UE; affrontando poi le singole tipologie
lavorative, sulla base della disciplina nazionale, sarà possibile accertare se i principi stabiliti dall’UE vengono
rispettati.
A livello europeo cos’è previsto relativamente a queste tipologie lavorative? A livello di UE cos’è regolato in
questi ambiti? La disciplina del lavoro subordinato atipico viene presa in esame a livello europeo a partire
dalla seconda metà degli anni ‘90. Il Trattato di Amsterdam (1997) cerca di aprire alla dimensione sociale, ai
diritti sociali, ai diritti del lavoro, dando impulso allo sviluppo di un filone di regolamentazione diverso da
quello tradizionale, che invece vede la quasi esclusiva partecipazione delle maggiori istituzioni europee
(Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione Europea). Nel tentativo di ottenere tale
apertura viene introdotta la possibilità di stipulare accordi-quadro, strumento che consente la
partecipazione delle parti sociali europee (sindacati europei ed associazioni imprenditoriali europee). Il
Trattato di Amsterdam mira al raggiungimento di una dimensione collettiva, in cui trovano posto non solo le
regole del legislatore europeo o nazionale, ma anche quelle che i soggetti collettivi si danno con degli accordi-
quadro. Il Trattato spinge perché le parti sociali europee si mettano d’accordo, trovino un punto di consenso
e dettino mediante accordi-quadro determinate regole in materia di lavoro subordinato atipico, che, nella
maggior parte dei casi, sono poi acquisite e trasformate in direttiva.
-> Con la disciplina del lavoro part-time (a tempo parziale), il primo delle quattro tipologie lavorative ad
essere affrontato a livello di UE, avviene esattamente quanto detto. Le parti sociali europee contrapposte
(da un lato, i lavoratori; dall’altro, i datori di lavoro) si incontrano ed individuano dei punti di consenso,
stipulando poi un accordo-quadro europeo sul contratto di lavoro a tempo parziale. Questo accordo diventa
l’allegato di una direttiva, composta di pochi articoli (vuoti di contenuti), che ingloba quelli dell’accordo-
quadro. L’intesa raggiunta tra le parti a livello europeo deve quindi diventare il punto di riferimento per i
legislatori nazionali. I principi della direttiva 81/1997 sul lavoro a tempo parziale sono i seguenti:
1) Principio del divieto di discriminazione e della parità di trattamento. La direttiva punta innanzitutto sui
divieti di discriminazione: obiettivo dell’accordo-quadro e della direttiva è la soppressione delle
discriminazioni tra chi lavora a tempo parziale e chi lavora a tempo pieno (si mira a raggiungere una parità di
trattamento). Il principio cardine è quindi il divieto di discriminazioni, tema che viene spesso affrontato dal
legislatore europeo. Perché si sente l’esigenza di porre divieti di discriminazioni? Come si arriva a stabilire
che i lavoratori a tempo parziale devono essere trattati come i lavoratori a tempo pieno? Si arriva a stabilire
divieti di discriminazione in materia partendo dalla previsione a livello europeo di divieti di discriminazione
basati sul sesso, di divieti di discriminazione tra lavoratori e lavoratrici. Come si arriva alla disciplina del lavoro
a tempo parziale partendo da questi divieti di discriminazione? La stragrande maggioranza degli occupati a
tempo parziale in tutti i Paesi, in tutti i settori e a tutti i livelli di professionalità sono donne. La
regolamentazione dei divieti di discriminazione in materia di lavoro a tempo parziale è generale, ma non si
può non tener conto di questo elemento sostanziale. Tutto ciò è l’esito di sentenze della Corte di Giustizia
che erano state chiamate ad indicare se il trattamento peggiorativo riservato ai lavoratori a tempo parziale
potesse essere considerato discriminatorio. Ci sono stati nel tempo una serie di ricorsi che segnalavano come
il trattamento riservato ai lavoratori a tempo parziale fosse peggiorativo rispetto a quello riservato ai
lavoratori a tempo pieno. La Corte, laddove ha riconosciuto l’esistenza di un trattamento peggiorativo ha
sempre ritenuto che fosse illegittimo perché nel lavoro a tempo parziale sono impegnate soprattutto le
donne, quindi, di fatto, questo trattamento peggiorativo dei lavoratori a tempo parziale si traduceva in un
trattamento peggiorativo delle donne rispetto agli uomini. Si parte dal lavoro a tempo parziale, ma lo stesso
principio del divieto di discriminazione riguarda anche il lavoratore a termine rispetto a quello a tempo
indeterminato; la stessa cosa vale per il lavoro interinale. Vi è uno sviluppo a catena di un principio nato con
riferimento al lavoro a tempo parziale (disciplina contenuta nella prima direttiva in ordine cronologico), esito
di una giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE che ha sempre sostenuto che il trattamento peggiorativo
dei lavoratori a tempo parziale di fatto costituisce una discriminazione di genere perché a tempo parziale
sono occupate soprattutto le donne.
2) Principio della promozione e dello sviluppo del lavoro a tempo parziale. Il lavoro a tempo parziale,
oggetto della direttiva, è visto con favore dalle istituzioni europee in quanto costituisce uno dei modi per
conciliare vita familiare e vita professionale (consente di lavorare, conciliando ad esempio anche un lavoro
di cura). Anche sotto questo aspetto la direttiva riguarda prevalentemente le donne, anche se è destinata
alla generalità dei lavoratori part-time.
-> Nel 1999 il modello si replica, con l’introduzione della disciplina relativa al lavoro a tempo determinato
(lavoro a termine). All’accordo-quadro sul lavoro a tempo determinato (lavoro a termine) tra le parti sociali
europee segue la direttiva 70/1999 (che ingloba l’accordo-quadro). La direttiva persegue due obiettivi
principali: uno è uguale a quello perseguito dalla direttiva 81/1997 sul lavoro a tempo parziale (parità di
trattamento), l’altro è diverso (lotta agli abusi). I principi della direttiva 70/1999 sul lavoro a tempo
determinato sono i seguenti:
1) Principio del divieto di discriminazione e della parità di trattamento. Sul modello della direttiva 81/1997
sul lavoro a tempo parziale, la direttiva 70/1999 enuncia il principio della parità di trattamento e prevede il
divieto di discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato.
2) Principio della lotta agli abusi. La direttiva mira ad evitare che la stipulazione di contratti a termine
costituisca un modo per evitare un’assunzione a tempo indeterminato (sostituendo un contratto di lavoro a
tempo indeterminato con più contratti di lavoro a termine). La lotta al lavoro a termine deve riguardare
soprattutto la continua reiterazione di contratti a termine con la stessa persona.
-> Nel programma delle istituzioni europee la terza tipologia di lavoro subordinato atipico da affrontare
doveva essere il lavoro interinale (assieme al lavoro a termine ed al lavoro part-time è la forma di lavoro
subordinato atipico più usata in tutti i Paesi). Tuttavia sul lavoro interinale le parti sociali non riescono a
trovare un accordo: non si riesce a scrivere una disciplina di principio e la trattativa si incaglia. Le parti sociali
decidono allora di occuparsi del telelavoro (di interesse minoritario). Nel 2002 si giunge così all’accordo-
quadro sul telelavoro (lavoro telematico, a distanza, svolto ad una postazione di computer o comunque in
un luogo diverso dal normale luogo di lavoro). Le parti stesse non vogliono però che l’accordo-quadro venga
inglobato in una direttiva: vogliono che nei diversi Paesi non diventi legge, ma resti un accordo sindacale.
Non viene quindi emanata alcuna direttiva in materia di telelavoro: l’accordo rimane tra le parti sociali. Gli
obiettivi previsti dall’accordo-quadro consistono ancora una volta nella parità di trattamento e nel divieto
di discriminazione tra telelavoratore e lavoratore standard, oltre che nel dettare regole in materia di
telelavoro.
-> Chiusa la vicenda del telelavoro, nel 2008, dopo un secondo tentativo fallito delle parti sociali di trovare
un accordo-quadro in materia di lavoro interinale, viene comunque emanata la direttiva 104/2008 sul lavoro
tramite agenzia interinale (che non si basa su un accordo-quadro). Gli obiettivi della direttiva sono: parità
di trattamento e divieto di discriminazione; tutela e protezione dei lavoratori e miglioramento delle
condizioni di lavoro.
Le 4 tipologie di lavoro subordinato atipico regolate dalle istituzioni europee sono quindi le seguenti:
- Lavoro part-time (1997): Accordo-quadro -> Direttiva (Obiettivi: parità di trattamento e divieto di
discriminazione; promozione e sviluppo del lavoro a tempo parziale).
- Lavoro a termine (1999): Accordo-quadro -> Direttiva (Obiettivi: parità di trattamento e divieto di
discriminazione; lotta agli abusi).
- Telelavoro (2002): Accordo-quadro -> /no direttiva/ (Obiettivi: parità di trattamento e divieto di
discrim