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Tale approccio ha il merito di porre l’accento sulla dipendenza dell’uomo dal mondo naturale per

la sopravvivenza. Pur dimostrando che molti costumi in apparenza bizzarri per l’osservatore profano

sono in realtà «razionali», Malinowski non spiega perché le società non abbiano tutte gli stessi modelli

di consumo. Perché dovrebbero esistere differenze del genere?

3.3.2. La spiegazione esterna: ecologia culturale

Antropologi di generazione successiva hanno tentato di rispondere alla domanda proponendo una

spiegazione esterna delle differenze osservabili tra modelli di consumo.

L’ecologia si occupa dei rapporti tra specie viventi ed ambiente, suddiviso in quattro distinte

ecozone a seconda degli organismi vegetali e animali presenti. Una specie si adatta a un’ecozona tro-

vando una nicchia ecologica: piante e animali dai quali dipende per la sopravvivenza.

I socioecologi studiano le caratteristiche delle ecozone al fine di spiegare perché una certa popola-

zione animale si sia adattata a vivere in un certo ambiente.

~ 51 ~

Ecologia culturale. L’ecologia culturale è il tentativo d’applicare la socioecologia agli esseri umani

ed alle società. Secondo questo approccio, i modelli di consumo dipendono dai caratteri dell’ecozona

dove il gruppo vive. Per sopravvivere esso deve imparare ad utilizzare le risorse disponibili.

L’antropologa Rhoda Halperin, che ha esaminato il rapporto tra antropologia ecologica e antropo-

logia economica, sostiene che ogni sistema economico si può analizzare secondo due tipi di movimenti:

movimenti di localizzazione (o «cambiamenti di luogo») e movimenti di appropriazione (o «passaggî di

mano»). I rapporti ecologici che influenzano l’economia vanno intesi in senso stretto quali cambiamenti

di luogo. I rapporti economici, al contrario, vanno considerati a rigore passaggî di mano. Quindi i

movimenti ecologici comportano trasmissione d’energia, mentre i movimenti economici trasmissione

di diritti.

Un altro modo di vedere la differenza fra assetti ecologici ed economici consiste nell’esaminare il

nesso tra l’accumulazione di provviste e la condivisione del cibo. Le testimonianze archeologiche indi-

cano che più cibo c’è, più s’investe in dispositivi destinati all’immagazzinamento e più rapidamente si

diviene sedentarî.

3.3.3. Il modellamento culturale del consumo

Il principale difetto delle spiegazioni sia interne che esterne consiste nell’ignorare o negare la pos-

sibilità della scelta. Malinowski dà l’impressione di ritenere che i modelli di consumo siano dettati da

una ferrea necessità ambientale che non consente alternative. In tale prospettiva la scelta della dieta è

un lusso che le società «primitive» extraoccidentali non si possono permettere.

Sahlins esorta gli antropologi ad interessarsi da vicino al consumo, perché sono esattamente le scelte

in materia di consumi a rivelare cosa significhi essere uomini.

L’originaria società opulenta. Molti Occidentali hanno a lungo creduto che i popoli racco-

glitori conducessero un’esistenza miserrima. Per verificare questa ipotesi, Richard Lee si è recato tra

gli Ju/’hoansi (!Kung) di Dobe, raccoglitori dell’Africa meridionale, per i quali la vita del raccoglitore

non è affatto una vita spregevole e disprezzata. I risultati della ricerca furono sorprendenti: venne infatti

fuori che gli Ju/’hoansi consumavano una dieta varia e bilanciata che presupponeva una selezione delle

fonti di cibo disponibili nell’ambiente.

Sahlins ha coniato l’espressione «originaria società opulenta» in riferimento agli Ju/’hoansi ed altri

raccoglitori. Egli attaccò l’assunto radicato in Occidente che vuole la vita dei raccoglitori sotto la pe-

renne minaccia della penuria e della morte per fame. Opulenza, sosteneva, è avere più del necessario

per soddisfare i bisogni. Due sono i modi per crearla: uno, produrre molto, tipico della società capita-

listica; due, chiedere poco, l’opzione fatta propria dai raccoglitori. Le loro esigenze sono poche, ma

sono doviziosamente appagate dalla natura. Ne consegue che i raccoglitori non sono da considerarsi

poveri, quantunque il loro standard di vita materiale sia basso rispetto a quelli occidentali. La povertà

non è quindi una condizione assoluta né rapporto tra mezzi e fini: è rapporto fra persone.

3.3.4. La costruzione culturale dei bisogni

Mary Douglas e Baron Isherwood deplorano «la diffusa e fuorviante distinzione fra beni che so-

stengono la vita e salute e altri al servizio della mente e del cuore: i beni spirituali […] L’obiezione qui

sollevata è che tutti i beni hanno significato, ma nessuno in sé». Il significato di un bene che ha a che

fare con la commestibilità, cioè un alimento, non si spiega isolatamente, ma solo attraverso il confronto

con altri articoli che la cultura contrassegna come commestibili o non commestibili.

I cibi «in abominio» del Levitico. Si consideri la proibizione di mangiare la carne di maiale. Per

gli Ebrei e Musulmani, culturalmente parlando, il maiale non è commestibile. La Douglas afferma che

certi animali erano banditi perché violavano i prototipi della commestibilità riconosciuti nell’antica

cultura ebraica. Gli animali «puri» sono i quadrupedi con lo zoccolo spaccato, l’unghia divisa e che

ruminano; il maiale è «in abominio» perché, pur essendo un quadrupede dallo zoccolo spaccato, non

è ruminante. Gli animali «puri» dell’aria sono i pennuti alati. Fra gli animali che vivono nell’acqua sono

«puri» quelli con pinne e scaglie.

Di per sé, osserva la Douglas, il divieto di mangiare la carne di maiale è privo di senso ed irrazionale,

ma quando insieme con le altre proibizioni alimentari contenute nel Levitico vien confrontato con gli

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alimenti permessi, emerge un modello. Onde, gli Ebrei che consumano soltanto cibi «puri» che ri-

spondono ai requisiti rituali enunciati dalla tradizione non si limitano a soddisfare la fame: fanno anche

un’affermazione sociale di solidarietà con la propria comunità religiosa

Foglie di banano alle Isole Trobriand. L’antropologa Annette Weiner, recandosi alle Tro-

briand, scoprì una venerabile tradizione locale riguardante l’accumulazione e lo scambio di foglie di

banano, o ricchezza delle donne. Eppure Malinowski sembrava averla ignorata, anche se fotografie

attestavano la sua esistenza anche durante il suo soggiorno nelle isole. I motivi erano due. Queste

transazioni sono condotte dalle donne, cui Malinowski non attribuiva un ruolo economico importante.

In secondo luogo, le foglie di banano sono un articolo di consumo alquanto improbabile, visto che

non si mangiano, e Malinowski attribuiva l’etichetta di «economiche» solo alle attività che soddisfano

bisogni biologici essenziali. Eppure, spiegare le transazioni si rivela cruciale per comprendere gli ob-

blighi di parentela presso i Trobriandesi.

Si potrebbe asserire che le foglie di banano abbiano un «valore d’uso», perché le donne se ne

servono per fabbricare gonne assai apprezzate. Ma le transazioni il più delle volte s’incentrano sui fasci

di foglie. Perché? Sembrerebbe un classico esempio di consumo irrazionale. Invece, come dimostra

la Weiner, svolgono esattamente la funzione sociale dei beni di consumo secondo la tesi di Douglas e

di Isherwood: «in quanto forza economica, politica e sociale, la ricchezza delle donne sta a rappresen-

tare le relazioni più fondamentali del sistema sociale».

I Trobriandesi sono matrilineari e gli uomini per consuetudine preparano gli orti di ignami (dei

tuberi) per le sorelle e, dopo il raccolto, redistribuiscono gli ignami fra i mariti e le sorelle. La ricerca

della Weiner indica che quella che Malinowski prese per redistribuzione andrebbe interpretata più

correttamente come scambio reciproco di ignami contro ricchezza delle donne.

Per la Weiner la ricchezza delle donne sorregge l’impianto della parentela nella società trobrian-

dese: bilanciano le relazioni di scambio tra lignaggî legati da alleanze matrimoniali, rafforza il ruolo

cardine delle donne e del matrilignaggio e proclama pubblicamente, ad ogni funerale, i rapporti sociali

che compongono il tessuto della società trobriandese.

3.3.5. La costruzione culturale dell’aldilà

Per la teoria dello scambio sociale, il movente è il desiderio dell’individuo di massimizzare l’«uti-

lità», ossia la soddisfazione ed il piacere personale. Ma la cultura offre anche modi standardizzati di

appagarli. Non si verifica alcuno scambio sociale se le parti non sono in grado di calcolare il valore

degli articoli scambiati.

Se si accetta la definizione di consumo come uso di beni e servizî che comunicano valori culturali,

è possibile intendere in modo nuovo ricchezza e povertà. La Douglas e Isherwood scrivevano che «i

Nuer del Sudan negli anni Trenta non commerciavano con gli Arabi perché l’unica cosa che avevano

da vendere era il bestiame e l’unica cosa che avrebbero voluto comprare era altro bestiame». Il be-

stiame era importante per i Nuer sia in quanto contrassegno di rapporti sociali sia per fini alimentarî,

e la povertà consisteva nel non possederne o nell’averne poco, il che era indice di mancanza sia di

rapporti sociali che di cibo.

Condivisione istituzionalizzata. Le società capitalistiche hanno emanato leggi e creato istitu-

zionalizzati sociali che premiano l’accumulazione di ricchezza. Le pratiche economiche di alcune so-

cietà non capitalistiche perseguono l’obiettivo opposto, mirando a diffondere i beni esistenti in tutta la

comunità. Questo modello si chiama condivisione istituzionalizzata.

Alle persone avvezze al capitalismo la condivisione istituzionalizzata sembra essere roba da santi e

non da gente normale.

La condivisione istituzionalizzata si riscontra in America del Nord fra i Cree delle Pianure studiati

da Niel Braroe. In passato i Cree erano cacciatori di bisonti, organizzati in bande, ciascuna con un

leader che forniva le armi per la caccia ed era il fulcro di un modello di scambio basato sulla redistri-

buzione, ruolo conquistato proprio grazie alle doti di generosità. Oggi i Cree non vanno più a caccia

di bisonti, ma praticano ancora la condivisione istituzionalizzata di beni di consumo come cibo, indu-

menti, birra e sigarette. L’ideale Cree è la generosità spontanea ed il genuino disprezzo dei beni mate-

riali. Ma talora gli informatori di Braroe possedevano beni di consumo e denaro che senza dubbio

vole

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A.A. 2014-2015
86 pagine
8 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giacometallo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Favole Adriano.