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Riassunto della Prefazione al Trattato sul Vuoto
La Prefazione al saggio sul vuoto riflette su quello che è il ruolo degli Antichi e della loro autorità
in ambito conoscitivo nella scienza del XVII sec. . Pascal sottolinea immediatamente come egli non
pretenda - nel saggio seguente - bandire tout-court l'autorità degli Antichi, per innalzare quella del
mero ragionamento, quanto più che altro armonizzare i loro insegnamenti con le nuove scoperte
effettuate grazie ai ragionamenti. Tutto ciò che cade sotto i sensi deve poter essere spiegato grazie
alla scienza, dal momento che i principi regolanti i fenomeni sono accessibili alla ragione; ciò che
cade invece al di là dei sensi e i cui principi sono inattingibili alla ragione, bensì solo alla
rivelazione, è invece sottoposto al controllo dell'autorità degli Antichi. Chiarita questa differenza,
Pascal mette in luce la cecità di coloro che in ambito scientifico (come nella fisica) avanzano
soltanto tesi tratte da Aristotele e rifiutano di fare esperienza, così come la stoltezza di coloro che in
ambito teologico utilizzano il raziocinio invece dell'autorità dei Padri della Chiesa. In certo senso
bisogna però seguire l'insegnamento degli Antichi anche in ambito scientifico: così come essi
avevano ricevuto dalla generazioni precedenti strumenti e tesi di cui si erano serviti come mezzi per
acquisire nuove tesi e costruire nuovi strumenti, allo stesso modo anche in ambito scientifico l'uomo
moderno deve fare di quegli strumenti e di quelle tesi ereditate dagli Antichi stessi dei meri mezzi
per ottenere sempre nuove conoscenze.
Secondo Pascal l'intera successione di generazioni in cammino verso la conoscenza può
essere pensata come un uomo singola che non fa altro che imparare continuamente; gli Antichi di
cui si riverisce il sapere rappresentano l'infanzia della conoscenza umana - essi per primi si
avventurarono in ambiti conoscitivi prima sconosciuti - e rispetto all'umanità moderna le loro
conoscenze sono superate, poiché fra la loro generazione e quella moderna vi è la distanza di secoli:
proprio per questo, ribadisce il filosofo francese, nella generazione attuale si può rintracciare
quell'antichità (nella conoscenze ereditate e poi approfondite e superate) che si riverisce proprio
negli Antichi.
In virtù delle loro esperienze, gli Antichi pensavano che il vuoto non esistesse, in quanto la
natura non può sopportarlo e lo aborrisce: ciò naturalmente era congruo a tutte le esperienze che
avevano fatto, e che non avevano fatto rilevare l'esistenza del vuoto stesso. Analogamente, gli
Antichi assicuravano che la natura non soffrisse il vuoto, ma di nuovo essi si basavano sulle loro
esperienze in merito e avrebbero ritenuto, sia in un caso che nell'altro, come stoltezza affermare
tout-court che la natura soffrisse o non soffrisse il vuoto. In ultima analisi pertanto, gli Antichi
erano pronti costantemente a ridefinire le proprie tesi scientifiche in caso di esperienze contrarie a