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APPUNTI ILARIA
TRATTATO SULLA NATURA UMANA
Hume è un empirista convinto; Locke definiva idee tutti gli stati mentali. Hume definisce idea gli
stati mentali che succedono nel tempo alle prime impressioni; inizialmente si hanno delle
impressioni di riflessione o di sensazione (dolore/vedo il tavolo). Ripensandoci il giorno si ha un
ricordo meno vivace del tavolo o del dolore, ossia un’idea (immagine illanguidita del tavolo). Le
impressioni sono le prime manifestazioni del nostro percepire; le idee hanno sempre
un’impressione corrispondente, non posso avere idea di qualcosa di cui non ho mai avuto
un’impressione (non esistono idee innate). Hume riprende da Locke anche un’altra cosa: la
convinzione che vi siano delle idee semplici (impressioni non ulteriormente scomponibili, come il
colore, il sapore, ecc) e delle idee complesse (tavolo: distinguibile nelle impressioni che lo
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compongono, colore, dimensione, ecc). Le impressioni possono essere unite volontariamente:
posso immaginarmi una chimera o un ippogrifo; per Hume questo modo non è interessante. La
cosa più interessante è osservare come la mente agisca spontaneamente tramite una forza
gentile che associa tra di loro le idee semplici e quelle complesse tramite nessi associativi che
agiscono in modo indipendente dalla mia volontà. Questi collegamenti tra idee sono dominati da
una logica ricostruibile tramite tre principi di associazioni tra idee; le idee si associano tra di loro
anche quando io non lo desidero. I tre principi:
- somiglianza: quando vedo una persona che ha dei tratti in comune con una persona che
conoscevo le associo senza che io lo voglia. Non decido di fare il paragone, spontaneamente mi
torna in mente la persona che avevo già conosciuto;
- contiguità: associo oggetti visti spesso uno vicino all’altro, come una penna accanto a un
calamaio; quando vedo la penna mi viene in mente il calamaio;
- causa-effetto (se vedo del fumo penso che vi sia il fuoco; penso, quindi, alla causa del fumo in
maniera involontaria). E’ un richiamo spontaneo che collega tra di loro delle impressioni.
Vengono evocate spontaneamente delle idee senza alcun ragionamento. Perché quella di
causa-effetto è più importante? è l’unica che ci spinge al di là della percezione presente,
nell’immaginare l’esistenza di qualche cosa a cui non corrisponde un’impressione presente. Se
vedo una persona che assomiglia a un mio amico, mi viene in mente il mio amico ma non sono
certo della sua esistenza (potrebbe essere morto). Se vedo il fumo so che il fuoco esiste (ci
credo senza vederlo); sono convinto che esista qualcosa, anche se non ne ho l’impressione
presente (associazione di idee). Questa relazione ci permette di inserire l’esistenza di qualcosa
anche senza il bisogno di coglierne l’esistenza o la presenza. Tutta la scienza si basa su
inferenze causali, sull’osservazione di effetti dei quali non vediamo la causa (medico che
*
diagnostica una malattia, non vede la causa ma riconosce l’effetto). Hume dedica a questa
relazione le pagine più celebri del Trattato sulla natura umana.
Conoscenza e probabilità: Hume utilizza questi termini in un modo diverso rispetto al solito. Il
confronto tra idee che avviene in modo involontario da luogo a una serie di relazioni filosofiche
(diverse dalle naturali, ovvero per le quali per il fumo penso al fuoco). Esse sono 7 e vengono
divise in due gruppi; in uno, per la relazione, contano solo le idee. La relazione rimane tale e quale
se le idee rimangono tali e quali (reggono la conoscenza astratta, come la matematica e la
geometria). Queste relazioni danno origine a una conoscenza certa: per sapere che 4 è il doppio di
2 ho bisogno solamente delle idee di 4 e di 2.
Nell’altro gruppo le relazioni variano anche se le idee rimangono invariate; Hume allude a quello
che Leibniz chiamerà verità di fatto. Sono verità che hanno bisogno del riscontro empirico dei fatti;
relazione spaziale: idea del tavolo e dell’oggetto in relazione spaziale. Se sposto uno dei due
oggetti la relazione cambia (li pongo più distanti) ma gli oggetti restano tali. Sono relazioni che
hanno a che fare con la conoscenza empirica (viene definita probabilità - come la relazione causa-
effetto che rientra tra queste).
In un primo momento Hume definisce probabilità tutto ciò che necessita della conoscenza
empirica; conoscenza tutto ciò che non ne necessita. Poi si rende conto che questo uso di
probabilità crea confusione; noi siamo certi della presenza del fuoco. Dire che la conoscenza
empirica è probabile crea confusione. Più avanti si scuserà e riserverà la parola probabilità solo a
quelle inferenze causali in cui tutti utilizzano la parola probabile (cielo nuvoloso = è probabile che
pioverà, non è certo): “per conoscenza, intendo la certezza che nasce dal confronto delle idee; per
prove, le argomentazioni basate sulla relazione di causa ed effetto, completamente libere da dubbi
e incertezze; per probabilità, l’evidenza che però è ancora accompagnata da incertezza”.
Analisi della relazione causa-effetto: tutta la conoscenza empirica si basa su questa relazione,
si spinge al di la della percezione presente. E’ fondante di tutta la conoscenza. Senza questa
relazione, per esempio, non esisterebbe la fisica ma solamente la matematica (aritmetica e
geometria). Quando diciamo che due eventi/oggetti sono tra di loro in questa relazione?
Le due condizioni indispensabili sono che essi siano contigui tra di loro e che la causa sia
prioritaria rispetto all’effetto. Hume, in realtà, non da tanto peso a queste due caratteristiche perché
non bastano; sono due relazioni forse sempre presenti nella relazioni causa-effetto ma non
caratteristiche (si trovano anche nelle relazioni temporali e spaziali per esempio). La cosa che gli
interessa davvero è la connessione necessaria: A è causa di B nel caso in cui dato A
necessariamente si produce B; o, dato B, necessariamente c’è stato A. Implica che un’evento si
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realizzi necessariamente dato un altro evento. Da dove si origina l’idea di connessione
necessaria? Ogni idea è preceduta da un’impressione sensibile o di riflessione. Prima di Hume il
principio di causalità viene utilizzato come assioma; necessità logica: proposizioni il cui contrario
implica una contraddizione. 2+2=4: è necessariamente vera (verità necessaria), negare che 2+2=4
implica una contraddizione. Nego nel predicato ciò che ho affermato nel soggetto. In questo ambito
del sapere basta il principio di non-contraddizione (verità analitiche per Kant).
In quest’aula ci sono venti studenti
In quest’aula non ci sono venti studenti
Nessuna delle due implica una contraddizione; come faccio a sapere qual è vera?
E’ l’ambito del possibile che non implica contraddizione (in cui vale comunque il principio di non-
contraddizione). Per sapere qual è vera devo contare, non mi basta la struttura della proposizione.
Hume inserisce gli assiomi, ovvero le verità intuitivamente vere che non possono essere negate
senza cadere in contraddizione. I filosofi precedenti sostenevano che il principio di causa si
trovasse nell’ambito delle proposizioni necessariamente vere. Hume pensa che il principio di causa
sia un assioma innegabile che regge tutti i nostri ragionamenti e che non può essere negato senza
cadere in contraddizione. Per ogni cambiamento/inizio di esistenza ci deve necessariamente
essere una causa. Locke presentava il principio di causa come un assioma della ragione che si
impone alla mente senza derivare dall’esperienza e che regola tutti i ragionamenti come il principio
di non contraddizione. Perché una causa deve esserci di necessità? “per cominciare dalla prima
questione, riguardante la necessità di una causa, è massima generale in filosofia che tutto ciò che
comincia ad esistere deve avere una causa della sua esistenza. Lo si ammette in tutti i
ragionamenti senza dare né richiedere nessuna prova. Si suppone che la verità di questa massima
sia intuitiva, e che sia una di quelle, di cui, anche negate a parola, nessuno può realmente dubitare
nel suo cuore. Ma, se esaminiamo questa massima alla luce dell’idea della conoscenza su
esposta, non vi vedremo nessun segno di tale incertezza intuitiva: al contrario, troveremo ch’essa
è di una natura affatto estranea a questo tipo di convinzione”.
Per Hume la necessità logica del principio di causa non è evidente; egli presenta le idee degli altri
filosofi basate su una petizione di principio (= ragionamento fallace con il quale si vuole dimostrare
una proposizione; per dimostrarla se ne assume la verità durante la dimostrazione);
- Hobbes;
- Clarke: ogni evento deve avere una causa (inizio di esistenza/cambiamento), perché, se non ci
fosse una causa, quell’evento sarebbe causa di se stesso;
- Locke: ogni evento deve avere una causa, altrimenti l’evento proverrebbe dal nulla.
Hume: entrambi questi argomenti poggiano su una petizione di principio. Per dimostrare la tesi si
assume proprio ciò che viene inizialmente messo in discussione. Presuppongono quello che era
da dimostrare, ovvero la necessità della presenza di una causa. La dimostrazione assume nel
corso della dimostrazione la verità del principio che avrebbe dovuto dimostrare: “non sono
necessarie molte parole, credo per dimostrare la debolezza di quest’argomento, dopo quanto s’è
detto dei precedenti. Essi poggiano sullo stesso sofisma e derivano da uno stesso giro di pensiero.
Basta osservare che, quando escludiamo tutte le cause, le escludiamo realmente tutte, e non
supponiamo già che il niente o l’oggetto stesso sia la causa dell’esistenza: nessun argomento,
quindi, si può ricavare dall’assurdità di queste supposizioni per provare l’assurdità di quella
esclusione. Se ogni cosa dovesse aver una causa, ne seguirebbe che, escluse le altre cause,
dovremmo accettare l’oggetto stesso o il niente come causa. Ma il punto in questione è proprio
questo: di sapere se ogni cosa debba avere, o no, una causa; e perciò è norma di ogni buon
ragionamento non considerar ciò come concesso. Più frivoli ancora sono coloro che dicono che
ogni effetto deve avere una causa, perché questa è implicita nell’idea stessa di effetto: ogni effetto
presuppone necessariamente una causa, perché effetto è un termine relativo, di cui quello di
causa è il correlativo. Ma ciò non prova che ogni esistenza debba esser preceduta da una causa;
così, come, dal fatto che ogni marito ha una moglie, non segue già che ogni uomo sia ammog