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Comunicare nel museo
Introduzione
Il museo ha avuto sempre tre compiti fondamentali:
- quello di conservare
- quello di studiare
- quello di esporre le opere che costituiscono la sua collezione
E continua a svolgerli in maniera variabile a seconda dei tempi.
I compiti riguardano anche la ragione per la quale si espongono questi particolari oggetti: trasmettere cultura, ma qui le cose non vanno.
Antonio Paolucci (1939, storico dell'arte e attuale direttore dei Musei Vaticani) dice: "Oggi come oggi, per il tipo di educazione che caratterizza la gran parte dei suoi fruitori, sembra difficile che il museo possa trasmettere cultura alle grandi masse che lo frequentano".
Nel libro "Arte, fare e vedere" del 1974, Carlo Ludovico Ragghianti(1910-1987, critico e storico dell'arte) dice: "I musei antichi e soprattutto quelli dell'Ottocento, non rispondono in generale a quella che dovrebbe essere la loro esigenza fondamentale, di essere strumenti di comprensione delle opere d'arte, cioè non svolgono la loro funzione educativa di carattere pubblico".
Quello che chiamiamo "trasmettere cultura" significa trasmettere conoscenza, valori, in un particolare contesto e con particolari modalità. Il fondamento di questa trasmissione è la comunicazione, che si attua attraverso specifici codici e veicoli segnici.
"Il museo dovrebbe essere, e non è, il luogo principale della comunicazione dell'arte" (Ragghianti).
Le collezioni che il museo fa e con le opere sono operazioni fatte con e su segni Segni che sono stati rimossi ed estratti dal loro contesto, contesto che è indispensabile all'interpretazione semantica.
Sarebbe opportuno che il problema fosse affrontato dal punto di vista della teoria della comunicazione ma, questo non avviene purtroppo perchè le discipline che costituiscono ciò che si chiama scienza della comunicazione non hanno mai fatto parte del curriculum di coloro che si occupano di musei.
Abbiamo così musei che dal punto di vista tecnico sono impeccabili a quelli di pochi anni fa, ma, assolutamente fermi dal punto di vista della conoscenza e dello svolgimento del loro compito espositivo.
Gli ultimi dieci anni hanno visto inoltre lo sviluppo straordinario delle tecnologie della comunicazione, e in particolare su ciò che si basa sull'immagine.
Lo scopo di questo libro è quello di colmare questa ampia lacuna sviluppando sistematicamente l'analisi del museo dal punto di vista comunicativo.
Bisogna "far parlare" le opere che, essendo segni, sono naturalmente predisposte a farlo; e per fare ciò serve tutto il museo, giacché il suo scopo fondamentale deve essere comunicare, e lo deve essere perché comunicare è lo scopo, la natura stessa, degli oggetti che esso contiene.
Questi "oggetti" "culturali" sono il medium per condurci oltre. Si tratta di metterli in condizione di svolgere la funzione per la quale sono stati concepiti e generati.
Capitolo primo
Opera d’arte e teoria della comunicazione
L’opera come segno:
Le opere d’arte si distinguono dagli oggetti della natura per una serie di caratteristiche, la più importante è quella di essere determinate da una intenzione; diremo quindi che gli artefatti hanno sempre alla loro base un’intenzionalità. Essi o sono oggetti d’uso o sono oggetti comunicativi. L’uomo è un animale intrinsecamente comunicante: è naturale che possa trovare utile fabbricare oggetti per comunicare. Gli oggetti d’arte sono oggetti comunicativi. Significa dire che la componente comunicativa è necessaria alla costituzione di un oggetto d’arte, è la componente caratterizzante. È condizione necessaria ma non sufficiente: tutte le opere d’arte sono oggetti comunicativi, ma non tutti gli oggetti comunicativi sono opere d’arte. Se l’opera non svolge la sua funzione comunicativa essa cessa ipso facto di essere un opera d’arte e passa nella categoria degli oggetti d’uso.
Unicità e materialità del segno:
Il motivo per cui l’opera d’arte esibita non viene percepita immediatamente e universalmente come oggetto comunicante dipende dall’essere un segno tecnicamente difficile da realizzare e soprattutto difficilmente riproducibile. Se il valore dell’opera è nella materialità del segno allora deve esserlo per difficoltà della sua costruzione-esecuzione tecnica, non eguagliabile.
L’unicità risiede nella specifica comunicazione. Per esempio in una poesia la sua unicità risiede in ciò che comunica non nelle parole che la compongono, qualunque alterazione cambierebbe l’opera stessa. Ciò accade per due ordini di motivi che si combinano insieme rafforzandosi:
- la difficoltà nella costruzione tecnica del segno
- e il fatto che si tratta di un segno tendenzialmente “analogico” e non “digitale”, com’è, ad esempio, quello linguistico
Esporre per comunicare: Se le opere d’arte non sono segni che potranno allora svolgere altre più o meno utili/funzionali funzioni, come evocare gradevoli impressioni sensoriali. Funzione culturale e funzione comunicativa sono inscindibili giacché l’una presuppone l’altra. Se la comunicazione è il compito primario, è l’esposizione che deve assolverlo:
- assolvere questo compito ha la precedenza su altri compiti che l’esposizione si può prefiggere, e dunque
- ha la precedenza nel determinare caratteristiche e modalità dell’esposizione quando queste influiscono su di esso, dunque ancora
- caratteristiche e modalità così determinate prevalgono in caso di eventuali conflitti
Una sala che misurava circa dieci metri per venti e di cinque metri di altezza.
Si può quindi immaginare quale fosse l'importanza e l'impatto del confronto visivo che si veniva a creare nella sala. Solo questi riscontri visivi permettono di capire il capolavoro di Rembrandt, interpretandone la reale intenzione comunicativa.
Bene le tele degli originari che si trovavano insieme al Rembrandt sono esposti nella sala del Rijksmuseum anche oggi.
Il Rijksmuseum ospita tutti i dipinti del famoso salone degli archibugieri: perché non li espone, rispettando le modalità originarie e ristabilendo così sia il contesto anaforico che quello deittico?
Precisazione tecnica e limiti della nozione di contesto:
Siccome il contesto è parte determinante affinché la comunicazione portata dall'oggetto d'arte vada a buon fine, si muove la obbligazione primaria di ricostruirlo laddove esso possa essere accertato. Contesto è il termine tecnico indicante ciò che il creatore del messaggio presuppone noto al destinatario del messaggio, e quindi nozione interna all'intenzione comunicativa dell’artista.
In quanto parte integrante della situazione comunicativa, il contesto è parte integrante dell’opera e non “accessorio”. E a questo contesto, e solo a questo, che si estende l'obbligo di ricostruzione.
Il salone del Kloveniersdoelen di Amsterdam non rianimato in quanto suggestivo ambiente d’epoca per alloggiare i quadri di Rembrandt ma in quanto fermenti parte essenziale delle presupposizioni degli autori dei quadri, e quindi concorrenti a determinarne la loro forma segnica.
Contesto “generico”:
Esiste un contesto anche per le opere per le quali non c’è una committenza precisa come quelle fatte per il “mercato”. Le presupposizioni “enciclopediche” tenderanno ad essere generiche, per così dire, di conoscenza dell’audience di questo tipo.
Drasticamente diverse saranno le conseguenze sul compito espositivo del museo, esso avrà infatti molta più libertà.
Natura dell'operazione collezionistica:
Perché il museo non fa ciò che dovrebbe fare nei confronti di queste opere anche quando lo potrebbe fare?
Risposta: poiché la condizione di cui il museo storicamente deriva origina da un’attività volta a perseguire un fine diametralmente opposto a quello indicato; un’attività volta positivamente ad estrarre le opere dal loro contesto (eutico comunicativo) per poterli usare come mezzi per l’espressione di un’altra intenzionalità comunicativa.
Il museo odierno origina come istituzione dalla trasformazione di raccolte collezionistiche private. È dunque l'operazione del “collezionare” e il suo risultato che dobbiamo esaminare per trovare la situazione all'origine del museo.