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Neppure Machiavelli impiega il termine sempre nello stesso significato di genere o di ordinamento

tipo. In altri passi del Principe e nel Discorso sopra il riformare lo Stato di Firenze, Stato comprare

come equivalente di regime o come sinonimo di staff o èquipe di governo. Nel Principe il termine è

adoperato 115 volte e per 110 nel suo significato passivo per indicare lo status, la posizione di un

oggetto o soggetto. Ma comunque Machiavelli introduce una notevole innovazione nel vocabolario

politico dei moderni. La novità consiste nell’individuazione di un termine apposito.

Machiavelli conferisce al termine Stato il significato di genere o di classe generale, cui

appartengono le due specie o specifiche sottoclassi del Principato e della Repubblica. Di queste

tratteggia le fondamentali caratteristiche strutturali. Il contenuto concreto della nozione di Stato in

Machiavelli è ricostruibile sulla base dei caratteri comuni che esibiscono il Principato e la

Repubblica, le due principali forme in cui si incarna l’idea dello Stato. Un procedimento opposto a

quello seguito da Bodin che non usa il termine Stato nell’elaborare il concetto di sovranità

territoriale e soprattutto a quello seguito da Hobbes che prima determina gli elementi tipici dello

Stato e poi affronta il discorso delle tre distinte forme che l’esercizio della sovranità può assumere

(monarchia, aristocrazia, democrazia).

Il termine Stato si presenta dunque come un termine nuovo. Ma come termine nuovo che denota

una cosa vecchia o un termine nuovo che indica una cosa nuova? Che lo Stato indichi l’idea

generale e astratta dell’ordinamento politico è una posizione contestata dalla tesi secondo la quale

la comparsa e l’affermazione del termine Stato non risponde semplicemente ad una esigenza di

sistemazione del vocabolario politico ma alla necessità di fissare e cogliere i caratteri fondamentali

dell’ordinamento poltiico dell’età moderna. In questo senso Stato sarebbe il nome di una cosa

nuova, il nome coniato per designare la nuova realtà istituzionale che comincia a formarsi

gradualmente a partire dal XIV sec in concomitanza col processo di dissoluzione dell’ordinamento

politico feudale. Il mondo feudale è caratterizzato da una frantumazione del potere. Un potere che

discende dall’alto e che affonda le sue radici in una rete di relazioni personali in base alle quali i re,

tramite un patto di sottomissione, vincolano a sé i grandi feudatari, mentre questi a loro volta

adottando le stesse procedure fondate su un rapporto fiduciario, completano la costruzione della

piramide del potere verso il basso attraverso la nomina di valvassori cui affidano la giurisdizione di

una porzione del territorio ricevuto. La struttura del potere nella società medievale è frazionata in

una serie di centri relativamente autonomi e in conflitto tra di loro. Il sistema feudale che funziona

nella confusione tra il politico e il sociale e nell’indistinzione tra il pubblico e il privato, si affida alle

magre risorse di un’economia di tipo curtense, caratterizzata da un modo di produzione imperniato

sul lavoro servile e rivolto a produrre beni per il consumo immediato. Questo mondo entra in crisi

con l’avvento del mercantilismo che reclama anche un nuovo assetto politico in grado di garantire

lo sviluppo della produzione, la sicurezza dei mercati e la certezza giuridica dei rapporti

commerciali.

Il processo di formazione dello Stato moderno si configura come un processo di concentrazione e

assolutizzazione del potere che segue una duplice direzione: assorbendo ed eliminando all’interno

i poteri intermedi e rivendicando verso l’esterno la piena indipendenza nei confronti di ogni altro

potere. Il processo culmina con l’emancipazione dello Stato della società civile e con la

conseguente distinzione fra la sfera del pubblico e la sfera del privato. Nella fase finale della sua

formazione lo Stato Moderno si configura come una macchina di potere capace di imporre le

proprie norme grazie ad un apparato burocratico onnipresente e ramificato.

Se queste sono le caratteristiche dell’ordinamento politico cui i moderni attribuiscono il nome di

Stato, allora l’espressione Stato Moderno appare pleonastica e risulta improprio utilizzare il termine

Stato per riferirsi alle realtà istituzionali dell’antichità. La tesi della specificità storica del noem Stato

comporta necessariamente la tesi della discontinuità fra le diverse epoche storiche e rende

problematico comporre in un unico quadro sinottico l’evoluzione delle strutture politiche occidentali

ma impedisce pure qualsiasi analisi di tipo comparativo.

Vi sono quindi due tesi a confronto: secondo la prima, lo Stato è il nuovo nome per indicare una

cosa vecchia, cioè l’ordinamento politico. Per la seconda invece Stato è un termine nuovo per

indicare una realtà nuova, l’ordinamento politico dei moderni. Nella prima il concetto di Stato ha un

significato connotativo molto povero, ma ha in compenso una grande estensione; mentre nella

seconda avviene l’opposto quindi il significato estensionale del concetto è ridotto mentre è più

ricca la sua connotazione. Scegliere fra le due tesi è una questione di opportunità euristica, a

seconda che si vogliano privilegiare gli elementi della continuità storica a scapito di quelli della

discontinuità o viceversa.

Il termine Stato contiene due diversi significati: il che equivale a dire che è un termine ambiguo. Il

concetto di Stato risulta generico. Non è facile afferrare il significato di un concetto che appare

sfuggente. Le difficoltà riguardano la volatilità del designatum, come nel caso delle definizioni di

tipo circolare, nelle quali il concetto di Stato è talmente ampio da assorbire in sé il concetto di

politica e l’ampiezza del campo semantico di riferimento che non può essere colto se non

delimitando, riducendo e identificando lo Stato con una delle sue componenti, sia essa la struttura

di governo o l’apparato burocratico-amministrativo. Anche le definizioni generali e concrete (quelle

che tentano di assemblare gli elementi strutturali e di combinare le molteplici funzioni per poi

intrecciare fra loro i diversi indicatori individuando nello Stato un plesso istituzionale la cui funzione

è quella di disciplinare anche con l’eventuale uso della forza, la vita di relazione di una popolazione

che abita in un determinato territorio) sollevano più problemi di quelli che riescono a risolvere. Una

tale definizione contiene ulteriori elementi di ambiguità: si riferisce ad una cosa, un ente oggettivo,

quanto ad un’entità di tipo soggettivo dominata di volontà e capace di azione. Inoltre pone problemi

sul piano dei riscontri empirici: la visibilità dello Stato in quanto oggetto reale, è affidata al sistema

simbolico; e in quanto soggetto reale, ad una metafora antropomorfica. Il concetto di Stato, inteso

come ente unitario, è privo di una base empirica e ciò rende problematica la sua utilizzazione per

cogliere, descrivere e spiegare i fenomeni politici reali. Risulta debole sul piano analitico ed

inadeguato a livello teoretico, se si esclude il campo dell’approccio istituzionale e delle indagini

giuridico-formali, o la sfera dei rapporti internazionali, nella quale lo Stato continua ad essere

interpretato come l’attore principale.

Non solo è un concetto ambiguo, ma anche un concetto assiologicamente compromesso, intriso di

valutazioni positive e negative. A seconda delle epoche storiche e delle diverse ideologie, ha subito

processi di divinizzazione oppure di demonizzazione.

Il concetto di Stato continua a risultare uno strumento grezzo per l’analisi della politica. Per la sua

straordinaria malleabilità ideologica e la sua inesausta carica simbolica continua a svolgere una

funzione insostituibile nella comunicazione politica, soprattutto nel versante delle pratiche

persuasive e delle contrapposizioni polemiche.

Vi erano buone ragioni perché si affermasse nel settore più innovativo della politologia americana,

la tendenza a sotituire il concetto di Stato con quello di sistema politico. Quest’ultimo presenta

alcuni vantaggi: è assiologicamente neutro, consente l’analisi comparativa tra epoche e realtà

istituzionali differenti, è meno indeterminato dal punto di vista del contenuto specifico, permette di

descrivere il funzionamento delle istituzioni e dei fenomeni politici, rivelandosi uno strumento

teorico idoneo per spiegare i fatti della politica nei suoi aspetti dinamici e per interpretare la politica

come processo decisionale.

L’analisi sistemica della politica

Le categorie generali

Il termine sistema viene introdotto nel lessico scientifico verso la fine del 1930 per denotare in

biologia il quadro dei principi dinamici comuni agli esseri viventi. Successive elaborazioni

concettuali portarono all’affermarsi della Teoria generale dei sistemi, un indirizzo epistemologico

che coltiva l’ambizione di unificare intorno alla nozione di sistema, il linguaggio di tutte le scienza.

L’unificazione linguistica era considerata il presupposto basilare per raggiungere quella

omogeneità nell’uso dei concetti e delle categorie analitiche che era ritenuta la condizione

imprescindibile per la comunicazione del sapere e lo scambio di informazioni fra i diversi campo o

rami della ricerca scientifica.

Nel settore delle scienze sociali l’analisi sistemica comincia a diffondersi grazie al’opera

pionieristica di Parsons. Il primo politologo ad accostarsi alla problematica della teoria sistemica è

Easton. Ma è solo nella seconda metà degli anni sessanta che l’analisi sistemica si afferma nel

campo degli studi politici attraverso tre distinti approcci: l’approccio struttural-funzionalista, in larga

misura debitore delle analisi parsoniane sostenuto da Almond; l’approccio cibernetico di Deutsch;

l’approccio empirico-comportamentistico di Easton. Benchè partano da presupposti diversi,

Almond, Easton e Deutsch affrontano lo studio della politica utilizzando le medesime categorie

analitiche. Ciò consente la comparazione fra i diversi modelli ma anche una loro parziale e

reciproca integrazione. Un rapporto di complementarietà può essere ravvisato tra la teoria di

Easton paradigmatica orientata a spiegare la dinamica e a dar conto del funzionamento dei sistemi

politici in termini di azioni e reazioni, e quella di Almond, rivolta a cogliere e descrivere le

componenti del sistema in termini di strutture e di funzioni.

Con il termine sistema si intende normalmente un qualsiasi insieme considerato attraverso l’esame

delle interazioni delle sue parti. Un sistema è un insieme di elementi assunto nei suoi aspetti

dinamici, è il quadro

Dettagli
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A.A. 2015-2016
116 pagine
3 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Valeder di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi del linguaggio politico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Sassari o del prof Sau Raffaella.