vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Nella sua classicità e ovvietà il film aveva sin dall’inizio lo scorrere della storia, indicando in Susan
il personaggio e il modello su cui puntare.
L’orizzonte perduto di Ford. Codici, linguaggio, messa in scena
Stagecoach (Ombre rosse ) John Ford
Stagecoach è senza dubbio uno dei capolavori della storia del cinema. Un film che ha contribuito
alla nascita del mito americano di spazi aperti (in senso geografico e mentale) e nuove utopie di
libertà (spirituale e concreta).
È un western essenziale e archetipico, e contemporaneamente un film politico; potrebbe essere
analizzato sotto molti punti di vista, ma sostanzialmente possiamo definirlo un film “classico”
hollywoodiano nel quale però Ford trasgredisce alcuni canoni classici a vantaggio soprattutto del
voyeurismo del spettatore, con “errori” voluti di regia che rafforzano il rapporto spettatore-schermo;
non di meno è un road movie tipico del mito americano.
Un gruppo di passeggeri si ritrova per ragioni disparate raccolto dentro una diligenza che viaggia
verso la città di Lordsburg. Alla prima sosta incombe sul gruppo la minaccia di Geronimo,
leggendario capo indiano, ma il gruppo – ai voti – decide comunque di continuare il viaggio. E in
questo momento che esplodono tutte le dinamiche relazionali e sociali tra i personaggi che
porteranno Ringo e Dallas all’ happy ending amoroso.
La scena è diventata un cult ed è in realtà divisa in due seuenze, entrambe introdotte da un
establishing shot, con andamento circolare. La scena si chiude come è iniziata, circolarmente come
il viaggio che si aggroviglierà su se stesso. Circolarmente con un armonia interna incredibile: due
sequenze di venti inquadrature l’una con ritmo identico e ben scandito.
Lo sviluppo della sceneggiatura è estremamente lineare ed essenziale: a struttura circolare appunto,
che parte dalla città e ritorna in città.
Ford utilizza l’errore di regia (scavalcamento di campo) per catturare lo spettatore e farlo
identificare con Ringo e Dallas, tanto è vero che adesso saranno l’oro i protagonisti del film. Questo
espediente verrà poi usato di nuovo da Ford, mai fine a se stesso ma sempre veicolo di un
significato.
Il gioco della rimozione, il “work in progress” di Renoir
La règle du jeu (La regola del gioco) Jean Renoir
Fin dalla stesura della sceneggiatura “la regola del gioco” appare come un caso evidente del
processo di costruzione del testo caratteristico di Renoir: il rapporto dell’attore è decisivo fin dal
primo delinearsi del personaggio nelle fasi di scrittura del copione. Renoir sceglie l’apertura del
testo nella direzione del vissuto, realizzando il vissuto del set, luogo sul quale si sviluppano rapporti
nuovi e vitali tra coloro che partecipano all’avventura del film. Ma è ben lontano
dall’improvvisazione! Il testo renoiriano è molto costruito, solo che questa costruzione procede di
pari passo con le conoscenze nuove dei personaggi , dei materiali, degli stessi valori dell’intreccio,
nonché della consapevolezza del mezzo e delle sue proprietà, che si vengono definendo nel
complesso iter di realizzazione del film. Renoir trova girando: le inquadrature, gli attori, i
personaggi, e trova in fondo la stessa “storia” che non coincide necessariamente con il plot del film,
ma che ne è il senso profondo; e trova se stesso.
L’azione si svolge tra Parigi e la Sologne.
La struttura generale del film tende verso la compattezza, verso l’unità di tempo e di luogo,
raggiunta attraverso un andamento contrappuntistico, in cui lo spettatore e sollecitato da una
quantità di fattori che procedono simultaneamente. In questo film Renoir sembra portare a
compimento quel lavoro sullo spazio (e sul tempo) che ritorna costantemente nel suo cinema. Il suo
cinema fondato su degli indici stilistici: il pianosequenza; la profondità di campo; il movimento
della cinepresa; certe qualità particolari della luce; il lavoro sul suono; il realismo della scenografie
in ambienti naturali e soprattutto quel particolare lavoro sugli attori, per il quale la vita dell’attore,
quella del personaggio e del regista sul set diventano un tutt’uno. Tutto ciò concorre a costituire un
tessuto vivacissimo, dotato di una sua autonomia, come una ragnatela di per sé significante: la vera
e propria regola del gioco. Nell’intreccio di personaggi Renoir sembra appunto indicare un unico
punto di consistenza, un'unica verità stabile, quella che dà il titolo al film: la regola del gioco.
La materia di cui sono fatti i sogni, monologo, soggettività e onirismo in
“quarto potere”
Citizen Kane (Quarto potere) Orson Welles
Citizen Kane è l’opera cinematografica più celebrata dalla critica e dagli stessi cineasti, oltre
a quella più analizzata e discussa. Si inserisce nel contesto del passaggio dal cinema
classico a quello moderno occupando un ruolo centrale. Charles Foster Kane, il personaggio
principale, è un simulacro, un caos di apparenze, e nelle sue ambivalenze si mira inoltre a
mettere a nudo le contraddizioni del New Deal. La vicenda personale di Charles Foster
Kane riassume cinquant’anni di storia americana, il passaggio dalla storia alla Storia
avviene anche attraverso una connotazione simbolica dei personaggi e degli accadimenti. La
perdita dell’infanzia, l’allontanamento da casa del bimbo, corrispondono al passaggio
dell’America dall’età pura e incontaminata dei pionieri all’America di Wall Street. In questa
analisi la madre di Kane rappresenta il perfetto emblema dell’etica puritana del sacrificio.
L’indagine su Kane è la metafore della ricerca dell’anima segreta dell’uomo. L’ossessione
di potere politico, sociale e finanziario di Kane appare un’ossessione di tipo nevrotico.
È il film in eccellenza della profondità di campo e del pianosequenza, oltre che del
montaggio, contrapponendo l’astrazione del montaggio al’realismo dei procedimenti. La
scrittura dei film di Welles è in effetti anch’essa inevitabilmente e coerentemente un
labirinto senza centro. In questo caso è chiaro che se la ricerca (metafisica e poliziesca) del
significato della parola “Rosebud”, e lo svelamento dell’enigma (per il solo spettatore),
giungono al culmine, nel momento stesso in cui se ne vanifica l’importanza.
Notevole è anche l’influenza di noti capolavori letterari come Cuore di Tenebra e il Grande
Gatsby. Ma anche in questa chiave di lettura il film appare come un labirinto senza il centro.
Nessuno di questi riferimenti risulta quello centrale, anzi sembra vanificare il suo significato
non appena da esso stesso si aprono altre piste, e allora il film, come il personaggio di
Charles Foster Kane, è anch’esso un simulacro, un caos di apparenze; a causa anche del suo
intreccio a puzzle con l’escamotage delle interviste, che a turno a assolvono al problema
della narrazione; gli intervistati prendono il ruolo effimero di narratori a rotazione non
svelando l’enigma e rimandando al successivo, in una globale sconfitta di tutti i narratori.
Nell’analisi del film è chiave il prologo, con l’apparizione iniziale e finale del cartello “No
trespassing” che viene ad acquisire un senso letterale e metaforico. E in questo ritorno alla
situazione iniziale denota la morte come origine e punto d’arrivo del film. Difatti non si
saprà di più di Rosebud,e già quel poco è a conoscenza solo dello spettatore. Welles a
concesso di vedere e “sapere” solamente allo spettatore, ma non ai personaggi della storia,
per i quali l’enigma di Rosebud resterà completamente irrisolto.
Il film e il suo sguardo
Rear Window (La finestra sul cortile) Alfred Hitchcock
Rear Window è un film che parla del cinema senza descriverlo palesemente. Nel film tutto è
funzionale alla narrazione, nessun elemento è estraneo al rigoroso concatenarsi degli eventi. È un
processo che esibisce e analizza non solo l’orizzonte tecnico del cinema, ma anche quello
comunicativo e che progressivamente ci mostra come funziona la macchina del cinema, come si
realizza il rapporto spettatoriale, come si costruisce la visione filmica, come si sviluppa la
narrazione e la messa in scena cinematografica. Il film sviluppa una riflessione sul fondamentale
voyeurismo dello spettatore. La situazione di Jeff – soggetto in condizione di sottomotricità forzata
e di impegno percettivo sovradimensionato rinvia palesemente alla situazione dello spettatore
cinematografico e il suo voyeurismo costitutivo. Jeff vede con terrore Lisa assalita e minacciata da
Thorwald nello stesso esatto modo in cui uno spettatore al cinema partecipa al pericolo che corre il
personaggio con cui si identifica, attaccato da un nemico pericoloso. Sulla sua sedia Jeff può
soltanto torcersi le dita, agitarsi emotivamente, perché è impotente di fronte a quello che vede:
perfetta icona dello spettatore cinematografico, impotente, inattivo e magari angosciato di fronte a
quello che accade sullo schermo.
Solo nel momento in cui Lisa mostra l’anello a Jeff, Thorwald si accorge dello spettatore e buca la
parete immaginaria che si era creata. Lo sguardo di Thorwald è uno sguardo che rompe la posizione
di voyeur non visto di Jeff e lo fa diventare egli stesso oggetto dello sguardo di un altro.
La finestra è di fondamentale importanza nel film perché è una struttura che presenta omologie
essenziali con la configurazione dell’obiettivo, dell’inquadratura e dello schermo.
Il film presenta un’organizzazione narrativa abbastanza anomala, in quanto l’asse della storia da un
lato si trasforma con lo svilupparsi del racconto, dal altro si moltiplica attraverso alcune microstorie
parallele, che alla fine si intrecciano e si mescolano.
Il film è infatti caratterizzato da un passaggio di orizzonte: da commedia sentimentale a thriller. Ma,
insieme delinea anche microeventi e microstorie legati alle esistenze dei personaggi di fronte, che
attraverso alcune situazioni particolari definiscono un percorso esistenziale.
Hitchcock in ogni episodio ricorre a tecniche di messa in scena e di montaggio diverse, che tuttavia
sottolineano le tecniche di segmentazione e di accumulo dei materiali visivi proprie del montaggio
narrativo.
Rear Window si afferma come una forma duale, in cui, insieme, tutto è funzionale alla narrazione e
allo spettacolo, e tutto ha una valenza metacinematografica. Sono due strutture sovrapposte e
intrecciate, autonome e integrate, che realizzano una forma complessa di tipo duale.
Le forme dell’armonia
Higanbana (Fiore d’equinozio) Ozu Yasujirò<