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LO STATO LIBERALE
L'uomo nello stato di natura detiene due tipi di potere, di cui, entrando nello stato civile, si spoglia a
beneficio della società, che ne diviene l'erede. L'uomo ha il potere di fare tutto ciò che ritiene
essenziale e giusto per la sua propria conservazione e per quella del resto degli uomini; se ne
spoglia affinché esso sia regolato e amministrato dalle leggi della società. In secondo luogo, l'uomo
ha il potere di punire i crimini commessi contro le leggi naturali, ovvero il potere di impiegare la
sua forza naturale per far eseguire queste leggi in modo opportuno; se ne spoglia per dare maggiore
forza al potere esecutivo di una società politica.
La società, erede degli uomini liberi dello stato di natura, possiede, a sua volta, due poteri
essenziali. L'uno è il LEGISLATIVO, che regola la maniera in cui debbono essere usate le forze di
uno Stato per la conservazione della società e dei suoi membri. L'altro è l'ESECUTIVO, che
assicura l'esecuzione delle leggi positive all'interno. Per l'esterno, per i trattati, la pace e la guerra,
agisce un terzo potere, d'altronde normalmente legato all'esecutivo, che Locke chiama
CONFEDERATIVO. A garanzia e a tutela dei cittadini, il potere legislativo ed il potere esecutivo, in
tutte le monarchie moderate ed in tutti i governi ben costituiti, devono necessariamente trovarsi in
mani diverse. Questo si rivela fondamentale in relazione ad una prima ragione assolutamente
pratica, cioè al fatto che il potere esecutivo deve essere sempre in funzione onde far eseguire le
leggi senza la minima interruzione, mentre il potere legislativo non necessita di trovarsi in costante
funzione, in quanto non esiste ragione di legiferare continuamente (non è sempre necessario fare
leggi, ma lo è sempre far eseguire quelle che siano state fatte). Vi si aggiunge una seconda ragione,
prettamente psicologica: la tentazione di abusare del potere si impadronirebbe di coloro nelle cui
mani i due poteri fossero riuniti. Questi due poteri distinti non sono eguali tra loro, in quanto il
legislativo è il supremo potere, è sacro, non può essere sottratto a quelli cui è stato una volta
rimesso; la prima e fondamentale legge positiva di ogni Stato è quella che fonda il potere
legislativo, che, come le leggi fondamentali della natura, deve tendere a conservare la società. Esso
costituisce dunque l'anima del corpo politico, da cui tutti i membri dello Stato traggono quanto è
loro necessario per la propria conservazione, unione e felicità. Logicamente, visto quanto premesso,
il potere esecutivo è in posizione subordinata; ma guardiamoci bene dal vedervi un semplice
commesso agli ordini del legislativo, che lo confinerebbe ad un ruolo subalterno, di pura e semplice
esecuzione. Il bene della società esige che si lascino molte cose alla discrezione di chi detiene il
potere esecutivo, in quanto il legislatore non pùo prevedere tutto né provvedere a tutto, e vi sono
anche casi in cui l'osservanza stretta e rigida delle leggi può non apportare alcun beneficio, ma
addirittura un gran danno.
In sostanza, secondo Locke, i diritti naturali degli uomini non vengono perduti in seguito al
consenso ad entrare in società, ma, al contrario, continuano e sussistono, e addirittura trovano
effettiva tutela e protezione. E sussistono per limitare il potere sociale e fondare la libertà. Insomma,
se gli uomini hanno scientemente deciso di uscire dallo stato di natura, che era ben lungi dall'essere
un inferno ma che presentava diversi inconvenienti prima citati, è stato per star meglio; è stato per
essere più sicuri di conservar meglio la loro integrità personale, la loro libertà, la loro proprietà mal
garantite nello stato di natura. Dunque non è concepibile che il potere della società, incarnato in
primo luogo dal legislativo, debba avere una estensione maggiore di quanto non lo richieda il bene
pubblico. Non avendo altro fine che la conservazione, il legislativo non potrebbe mai aver diritto di
distruggere, rendere schiavo, o impoverire intenzionalmente alcun suddito; gli obblighi delle leggi
di natura non cessano affatto nella società, anzi, in molti casi, vi divengono addirittura più forti. Il
medesimo ragionamento viene fatto e vale anche per l'esecutivo, in relazione a quel margine di
potere discrezionale che deve essergli riservato. Benché il legislativo sia proclamato supremo e
sacro, non c'è, sotto questo punto di vista, alcuna differenza fondamentale tra esso e l'esecutivo. Il
popolo (ovvero quell'insieme di individui che hanno consentito ad unirsi in società) accorda la sua
fiducia al legislativo come all'esecutivo, per la realizzazione del bene pubblico, niente di più, niente
di meno. Il potere è un deposito affidato ai governanti, a vantaggio del popolo. Se i governanti,
chiunque essi siano - parlamento o re -, agisce in modo contrario al fine per cui avevano ricevuto
l'autorità, cioè al bene pubblico, il popolo ritira la sua fiducia, ritira il deposito; riprende così la sua
sovranità iniziale, per affidarla a chi giudicherà opportuno. Il popolo si erge così a giudice. In
fondo, il popolo conserva sempre, in riserva, una sovranità potenziale; è lui, e non il legislativo, che
detiene il vero potere sovrano. Da parte sua, come detto, c'è deposito, non contratto di
sottomissione.
Così si giustifica che, contro la forza del legislativo come dell'esecutivo divenuta priva di autorità, il
popolo possa impiegare la forza. Arriviamo così al coronamento dell'edificio dialettico costruito
così abilmente da Locke: la giustificazione del diritto di insurrezione, che l'autore qualifica come
diritto di appellarsi al Cielo: <<Il popolo, in virtù di una legge che precede tutte le leggi positive
degli uomini, e che su tutte predomina..., si è riservato un diritto che spetta generalmente a tutti gli
uomini allorché non c'è possibilità di appello sulla terra: il diritto di esaminare se esiste giusto
motivo di appellarsi al Cielo>>. E, qualora si obiettasse che il riconoscimento di un diritto del
genere comporti l'incoraggiamento di perpetui disordini ed il rischio dell'anarchia, ecco la risposta:
in primo luogo, l'inerzia naturale del popolo non lo porta ad insorgere che nei casi estremi. In
secondo luogo, allorché il peso dell'assolutismo divenga insopportabile, non ci sarebbe più teoria
dell'obbedienza che tenga. Infine, e soprattutto, l'ordine esteriore non è tutto: nessuno sarebbe
disposto a pagarlo a qualsiasi prezzo, né, sotto il pretesto della pace, a rassegnarsi alla pace dei
cimiteri. VOLTAIRE
Voltaire, pseudonimo di Francois-Marie Arouet, nacque a Parigi il 21 novembre 1694 da famiglia
borghese. Nell'arco della sua vita ha ricoperto diversi ruoli, tra cui quello di filosofo, drammaturgo,
storico, scrittore, poeta, romanziere, enciclopedista e saggista. Il suo nome è indissolubilmente
legato al movimento culturale dell'Illuminismo, di cui fu uno degli animatori e degli esponenti
principali, e fu protagonista anche entro la vita dell'Encyclopédie. La vasta produzione letteraria di
Voltaire si caratterizza per l'ironia, la chiarezza dello stile da lui adottato, la vivacità dei toni e la
vena polemica. Voltaire vedeva nel dispotismo illuminato di un principe ben consigliato dai filosofi
la migliore garanzia contro i rischi dell'entrata in scena di masse incolte e bigotte.
Il filosofo nacque nella grande Francia del re Sole, morì (il 30 maggio 1778) in una nazione che si
avviava a grandi passi verso quella crisi rivoluzionaria che si rivelerà un passaggio fondamentale
per il futuro delle popolazioni europee. La sua vita accompagnò tutta la parabola dell'illuminismo
francese, del quale fu sino alla morte il "patriarca", il capo riconosciuto e celebrato, sia in patria sia
all'estero. Decisivo, per la formazione del suo pensiero, fu il soggiorno-esilio in Inghilterra del
1726-28: qui egli fece esperienza di un sistema politico e sociale assai più aperto e mobile di quello
francese, dove gli intellettuali godevano di una invidiabile indipendenza, anche economica, e di una
libertà di espressione assolutamente sconosciute a Parigi; sul piano filosofico, entrò in contatto con
il deismo, con la grande tradizione filosofica dell'empirismo di Bacone e di Locke e con la nuova
scienza di Newton, dottrine alle quali si ispirerà per costruire quella sua personale filosofia e che
divulgherà in Francia, dando forte impronta a tutto il pensiero illuminista.
Come detto, l'esperienza inglese si rivelerà decisiva per la formazione del pensiero politico di
Voltaire, ed i risultati si trovano condensati nelle "Lettere Filosofiche", in cui l'esaltazione del
sistema inglese - libertà di commercio, liberalismo politico, tolleranza religiosa - serve per condurre
un violento attacco al sistema francese, intessuto di evidente disuguaglianze giuridiche, di privilegi,
di intolleranza religiosa. E altrettanto penalizzante per la Francia è il confronto sul terreno
filosofico-scientifico: qui la metafisica di Cartesio e Malebranche, lì la filosofia sperimentale di
Bacone, Locke, Newton. Proprio quest'ultimo, secondo Voltaire, ha distrutto la fisica cartesiana,
fondando la scienza su una ragione legata all'esperienza e insieme consapevole dei propri limiti.
Due sono le opere che costituiscono la base del pensiero filosofico di Voltaire: gli "Elementi della
filosofia di Newton" e la "Metafisica di Newton". La prima costituisce il massimo sforzo di
divulgazione scientifica compiuto da Voltaire, nell'intento di rendere Newton comprensibile alla
massa, con chiaro intento di battaglia polemica e di illuminazione culturale. Si può comprendere
l'importanza di questo libro solo premettendo che in quel momento Newton era pressoché
sconosciuto al di fuori dell'Inghilterra e che l'ambiente filosofico e scientifico francese era dominato
da un cartesianesimo sovente irrigidito in scolastica; consensi entusiastici e attacchi furibondi
seguirono alla pubblicazione.
La "Metafisica di Newton" e il "Trattato di metafisica" offrono invece gli elementi della personale
metafisica voltairiana. Si tratta di una metafisica non dogmatica, non sistematica, ma fortemente
polemica verso i costruttori di sistemi filosofici. Da un lato, viene affermata l'origine empirica di
tutte le nostre conoscenze e la polemica contro la sostanzialità dell'anima; dall'altro, si ribadisce la
convinzione, mutuata da Newton e Clarke, circa l'esistenza di un Sommo artefice del meccanismo
del mondo e, all'interno del