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Giovanni quindi, è stato il primo artista a manifestare la coscienza che aveva di sé stesso. Questa vicenda
conferma la situazione particolare e privilegiata della scultura, il suo ruolo di arte-guida, di tecnica-pilota in
questo periodo. Il passaggio al nuovo stile era stato qui meno traumatico che in altri campi, come
testimonia la green head inglese, la testa umana frammista con elementi vegetali, che verrà ripresa anche
nel gotico. In molti centri dell’Italia settentrionale l’apertura a nuovi modi si precisa nel corso dei primi
decenni del 200 e questo è in parte dovuto alla radice classica della plastica emiliana, una tradizione
stabilita di Wiligelmo già a Modena. Diversamente le cose andranno in Toscana dove l’esempio di
Guglielmo nel pulpito oggi a Cagliari, ma prima a Pisa, si propose come modello e fece largamente scuola
in seguaci che dimostrano una grande attenzione alla scultura provenzale, quindi attraverso l’opera del
bronzista Bonanno e di maestri attivi al battistero, svilupperanno un rapporto privilegiato con Bisanzio. Gli
elementi gotici arriveranno in toscana solo con maestri antelamici, quindi, con l’arrivo dalla Puglia di Nicola
Pisano. Egli giunse in toscana prima della morte di Federico II, quindi fatto importante per testimoniare
come la cultura federiciana si sia riprodotta indipendentemente dalla chiusura dei cantieri imperiali. Forse il
primo soggiorno toscano di Pisano fu a Siena e ce lo fa pensare la comparazione tra i protomi animali
attribuitogli nella fontana dei cantali a Piombino, molto simili a quelle figure di animali dentro la cattedrale di
Siena. Passato a Pisa Nicola diresse il cantiere del battistero dove eseguì il pulpito per l’interno dell’edificio.
Uno straordinario monumento, evocante l’immagine della città sante celeste, dove elementi gotici e
classicismo federiciano trovano un luogo di sintesi. La vena classica di Nicola nel pulpito del battistero
andrà molto al di là di tanti episodi revivalistici. Da Nicola discenderà poi tutta una generazione di artisti
della nuova scultura italiana. In primis Arnolfo di cambio, uno dei discepoli di Nicola, e infine il figlio di
Nicola, Giovanni pisano. I due non seguiranno lo stesso itinerario: Giovanni imporrà la controrivoluzione
gotica con una scultura espressiva, drammatica e piena di pathos e di contrasti che si oppone agli equilibri
e all’armonia classica. Sul finire del 200 giovani è il più personale, il più geniale degli scultori europei che
porterà all’apogeo quel ruolo di tecnica-guida che la scultura aveva conosciuto con suo padre e con
Benedetto Antelami. A inizio 300 si presenta una situazione complessa: da una parte Giovanni e i suoi
seguaci, dall’altra ampie aree rimasti fedeli alle tradizioni di Nicola; infine la scultura senese, che aveva
sviluppato una cultura plastica particolare che cercava i suoi modelli in Giotto e non in Pisano, i cui
protagonisti non hanno un comportamento omogeneo, ma manifestano una chiara preferenza per un certo
tipo di rilievo. I confini quindi non erano rigidissimi e molti artisti vennero influenzati sia da una corrente che
dall’altra. Una straordinaria inventività la si ha anche nel campo del ritratto, dove gli scultori sembrano
precedere i pittori nella resa psicologica e fisiognomica, pur senza a arrivare a un ritratto autonomo slegato
dall’immagina tombale o celebrativa. Dall’esperienza federiciana, i nuovi ritratti di questo periodo
diventeranno più complessi e definiti. Il dialogo quindi tra scultura e pittura in questo periodo è più attivo
che mai.
4 – turiboli a forma di edifici ed edifici a forma di turiboli: arti suntuarie e microtecniche
Reliquari e ostensori trovavano come modelli il vasto repertorio del disegno architettonico e della teoria
progettuale gotica per proporre microesempi di architetture immaginarie più ardite e fantasiose di quelle
costruite. Un esempio è il reliquiario di san Galgano del museo dell’opera del duomo di Siena, una struttura
a pianta centrale a forma di torre. La struttura poligonale del micro edificio viene accentuata da un
elemento tipicamente gotico: i contrafforti torriti, che appoggiati contro gli spigoli, scandiscono per ogni
registro il succedersi delle scene, e che sono in realtà dei baldacchini coronati da cuspidi, timpani, loggette
e abitati da angeli. Accanto ai baldacchini molti altri elementi adducono al gotico francese, come le coppie
di santi situate sotto le arcate, evocanti le vetrate a personaggi delle chiese gotiche. Siena è in questo
periodo un attivissimo luogo di produzione per le tecniche suntuarie e gli elementi francesi trovano ampia
circolazione e una rielaborazione attraverso le regole tradizionali. Qui vengono prodotti i sigilli, che
marcavano ogni atto o documento e vennero scelti per la loro realizzazione solo i migliori artisti come
Guccio di Mannaia, una delle massime figure dell’arte senese tra due e trecento. La sua firma è visibile
anche sul calice di papa Niccolò IV, donato al Tesoro della Basilica di assisi. In quest’opera per la prima
volta troviamo splendidi esempi della nuova tecnica degli smalti translucidi, posti su placche d’argento e
lavorate in modo da essere visibili attraverso la pasta trasparente e colorata dello smalto così da arrivare
ad un mix tra pittura e scultura. Guccio di Mannaia sembra saper utilizzare con maestria i modi gotici
francesi, ma con un’espressività sempre più accentuata. Negli smalti del calice le capigliature, volti, le
lunga dita angolose, le pieghe profonde nei panneggi degli abiti dei personaggi mostrano come l’artista
avesse compreso lo spirito e le forme di questo momento di espansione europea della pittura gotica.
Tuttavia lo stile di Guccio non riuscirà ad affermarsi come possibile alternativa a Giotto, ma tuttavia
influenzerà la più giovane generazione di orafi senesi, come Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi e verrà
ad essere una componente presente nello stile di Simone e Pietro Lorenzetti. Lo smalto translucido
acquisterà quindi una grande fortuna e con questa tecnica sono state eseguite alcune delle più importanti
opere della storia senese del 300 come lo stupendo ciclo delle Storie di san Galgano del reliquario di
Frosini, o il celebre reliquario del santissimo corporale della cattedrale di orvieto, fantasmagorica facciata di
chiesa gotica in miniatura, tutta animata da smalti. Il successo e la diffusione dei prodotti senesi nelle arti
suntuarie si misurano attraverso un censimento e una localizzatone delle resistenze che sono manifestate
nei confronti dello stile senese. Un esempio di resistenza è il fregio in bronzo dorato, con sfondi smaltati,
inciso e niellato dall’orafo Pucci: qui niente della lezione di Guccio è presente, piuttosto solo un più severo
linguaggio gotico.
5- Dilettare gli occhi degli ignoranti o compiacere allo ‘ntelletto de’ Savi: la pittura agli inizi del Trecento
Generalmente in Italia i tempi della pittura non concordano con i temi dell’architettura o della scultura. Le
strade e i tempi della pittura toscana intorno alla metà del 13 secolo erano molto diversi da quelli del nord.
Penetrano nella pittura però già singoli elementi gotici, ma sono marginali e certi racemi che, nelle storie di
san francesco sopravvissute in modo tanto frammentario nella vanata della basilica inferiore di assisi,
trovano paralleli nelle pitture murali del Petit-Quevilly e in altre opere nordiche. La penetrazione dei nuovi
modi e soprattutto la loro favorevole ricezione, avverrà nel corso della seconda metà del duecento e avrà
straordinarie conseguenze: porterà alla fusione di elementi diversi, di spunti naturalistici gotici e di
rinnovata capacità di rappresentare lo spazio studiato e sperimentato su esempi tardo-antichi, a una
convergenza tra due tradizioni che offrirà risposta a molti problemi. In tempi brevi nel corso dell’ultimo
quarto del duecento nasce tra Roma e assisi una pittura che dominerà la scena europea. Tutto si giocò in
pochi anni, attorno alle basiliche che Niccolò III Orsini voleva restituire nella loro splendida decorazione,
attorno alla nuova chiesa di Assisi, tempi del grande ordine religioso in cui confluivano tensioni e spinte
tanto diverse e su cui Roma voleva mantenere, anche attraverso simboli e immagini uno stretto controllo.
Ad assisi fu lunga la contesa tra conventuali e spirituali, tra sfarzo e austerità che segnarono gli arresti e le
riprese della decorazione della chiesa superiore. A Roma furono il contendere delle grandi famiglie e le
resistenze dell’egemonia francese. Dopo la morte di Clemente IV, Carlo d’Angiò aveva installato proto
senatori in Campidoglio, fatto battere moneta di Roma con il proprio nome ed erigere una sua statua nel
luogo del governo cittadino. Contro il potere angioino si scaglierà Gregorio X visconti e si manifesta
pienamente con Niccolò III Orsini. La dominazione degli Orsini si attua attraverso una politica di controllo
sulla città portata avanti attraverso mezzi politici, progetti edificatori e vaste imprese artistiche. Le gradi
famiglie aristocratiche romane concentravano i loro interventi su determinate basiliche tradizionalmente
legate alla loro committenza, come san Pietro e san paolo per gli orsini, o san Giovanni in Laterano e santa
Maria maggiore per i colonna. Così Niccolò si fece costruire un palazzo presso la basilica vaticana e
Niccolò IV, legato dei colonna, eresse il proprio presso la basilica liberiana di santa Maria maggiore, la
chiesa su cui si concentrarono gli investimenti artistici del suo pontificato. Arrivarono a Roma quindi molti
artisti come Torriti e Cimabue. Sono questi tutti elementi che entrarono nella complicata vicenda, ma
splendida e breve stagione artistica detta l’estate di san Martino di Roma negli ultimi decenni del duecento.
Fu Roma quindi ad esercitare una continua influenza, un permanente controllo sui programmi iconografici
della basilica ad assisi, e fu da Roma che l’equipe di artisti mosse verso l’Umbria. Roma divenne quindi il
luogo in cui si incontravano la spazialità della pittura antica e le capacità dinamiche ed espressive del
disegno gotico. Un problema fondamentale della pittura, come della scultura gotica, era stato proprio quello
della rappresentazione dello spazio, inoltre permaneva ancora lo stile romanico di non rappresentazione
illusionistica dello spazio delle scene sacre. Il mutamento del duecento alla fine avevano finito con
l’eliminare questa resistenza gotica, offrendo quindi la possibilità dell’emergere di una nuova figurazione. È
ora che si avverte l’esigenza di rinnovamento, dell’introduzione di formule che affrontassero e risolvessero
il problema della rappresentazione tridimensionale e si pone a questo punto il problema di Giotto. È
sicuramente stato lui a propor