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Carr cita alcuni dati in totale controtendenza con quelli mostrati da Wellman e Rainie, in base ai quali l’uso
di Internet starebbe riducendo sensibilmente il tempo dedicato alla lettura, senza invece intaccare il
predominio della Tv. In merito a questa incongruenza, è utile ricordare che tutte le ipotesi si fondano su
una base empirica parziale, e che spesso studi diversi danno indicazioni divergenti o addirittura
contradditorie.
Walter Benjamin definì, negli anni trenta del ‘900, il “consumo distratto”, quale modo tipico della cultura di
massa: anche in questo caso è chiaro come una variazione quantitativa inneschi un cambiamento di tipo
qualitativo, nel bene o nel male.
Altri autori hanno assunto una posizione intermedia tra quella critica appena citata e quella più ottimistica
di Lessig, insistendo proprio sulla necessità di sottoporre a revisione i valori correnti di qualità, per evitare
di valutare la cultura emergente in base a parametri vecchi, formati in un contesto profondamente diverso.
Tra questi, le posizioni più influenti sono probabilmente quelle di David Weinberger e Clay Shirky.
Secondo Weinberger il campo della conoscenza è sempre stato sconfinato, anche in passato, e fuori dalla
portata del singolo e delle sue capacità di comprensione. Quello che il Web sta facendo non è quindi
aumentare la quantità di informazione, ma mostrare il fatto che il mondo è sempre stato troppo grande
per essere conosciuto.
La vera novità della rete non è data dall’aumento dei contenuti disponibili, quanto dall’indebolimento dei
filtri: se ad esempio una biblioteca è costretta, a causa dei limiti dello spazio fisico, ad escludere la grande
maggioranza dei libri pubblicati, sul Web tutto può essere incluso. Per Weinberger, la differenza
fondamentale è data dal fatto che i meccanismi di selezione tradizionali funzionavano per esclusione (filter
out), mentre quelli digitali operano per indicizzazione (filter forward): includono tutti i contenuti e agiscono
sulla loro organizzazione, ma non tagliano fuori nulla di quello che viene prodotto. In realtà, la tesi di
Weinberger è qui imprecisa, perché i meccanismi di filtro attivi sul Web operano anche per esclusione: è il
caso dei motori di ricerca, che non soltanto sottopongono i contenuti ad un preciso ordine gerarchico, ma
li pescano anche da una porzione limitata, e comunque minoritaria, del totale delle pagine Web esistenti.
La metafora della “stanza intelligente”: idea che la combinazione delle energie dei singoli, in rete, produca
qualcosa di più della loro somma e generi un sistema dotato di una razionalità qualitativamente diversa
(appunto quella della stanza che, nella metafora, risulta più intelligente delle persone che la abitano).
L’esempio più chiaro è dato dalle tag: le marcature proposte dagli utenti, attraverso le quali i contenuti
vengono indicizzati e consegnati alla memoria del sistema. Le tag impongono infatti un metodo di
organizzazione del tutto nuovo, perché, a differenza dell’ordine alfabetico, mostrano come un oggetto
possa appartenere simultaneamente a più di una classe, e lo rendono quindi recuperabile a partire da
interessi diversi, e da diverse stringhe di ricerca. In questo senso, la complessità del Web sembra sfuggire ai
metodi convenzionali di gestione del sapere – appunto l’ordine alfabetico, le classificazioni ad albero, e le
classi chiuse e reciprocamente esclusive – e portare con sé la necessità di una nuova organizzazione della
conoscenza.
Un punto di vista simile è quello di Clay Shirky. Secondo Shirky sulla rete prima si pubblica e poi si filtra, nel
senso che non esistono criteri di selezione rigidi all’accesso, e la partita si gioca invece sulla successiva
indicizzazione dei contenuti. Questo stato di disordine, che Shirky definisce “surplus cognitivo”, è tipico di
tutte le fasi in cui l’innovazione tecnologica cambia i metodi di produzione e abbatte i costi di realizzazione
delle opere, sommergendo il mercato con una quantità ingovernabile di contenuti.
Uno stato di “surplus”, prosegue Shirky, è il prodotto di un’improvvisa accelerazione della tecnologia, al
punto che la società, all’inizio, non sa letteralmente cosa farsene, né dispone degli strumenti necessari ad
interpretarlo: si trova di fronte ad un’immensa riserva di “materiale grezzo”, in altre parole, che richiede di
essere compreso ed elaborato.
La storia della cultura può essere così vista come una continua alternanza tra fasi di “scarsità” e fasi di
“surplus”: dove queste ultime, come quella attuale, sono caratterizzate da un’intensa accelerazione dei
processi di produzione, da un allargamento del campo della cultura, e da una disordinata sperimentazione
intorno alle possibilità dei nuovi mezzi. Per questo, osserva Shirky, è normale che alla diffusione di una
nuova tecnologia segua un primo periodo di &nb