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APITOLO

Per formulazione del caso si intende l’ultimo step del processo diagnostico cioè la

traduzione dell’etichetta nosografica in una descrizione idiografica, un resoconto narrativo

delle informazioni raccolte e dedotte nel corso dei colloqui di valutazione. Si tratta dunque

di una modalità di spiegazione che permette di integrare l’approccio descrittivo,

concretizzatosi nell’etichetta diagnostica, con la parte unica interpretativa-esplicativa del

caso. L’approccio descrittivo non sarebbe infatti sufficiente per la formulazione di un caso

in quanto non prevede di indagare l’etiologia e la patogenesi dei disturbi ma solo la loro

espressione in epifenomeni e il clinico necessita di queste ed ulteriori informazioni per

poter progettare un piano di trattamento adeguato. Diventa quindi qui centrale, come

afferma Westen, il tema della soggettività sia per quanto riguarda il paziente, un soggetto

che costruisce attivamente se stesso e gli altri e plasma il suo mondo interpersonale

facendo si che comportamenti simili possano assumere significati diversi, sia per quanto

riguarda il clinico. Infatti anche se negli ultimi anni la soggettività del diagnosta è stata

negata a favore dell’oggettività e della scientificità della diagnosi essa esiste e deve essere

presa in considerazione in quanto parte integrante del processo diagnostico. Negare la

soggettività sarebbe improduttivo, essa deve favorire lo sviluppo di capacità di ascolto e

comprensione del paziente che possono poi essere tradotte in deduzioni cliniche. Inoltre

mentre l’approccio descrittivo è ateorico la formulazione del caso è sempre guidata da una

teoria poiché le domande e le ipotesi del clinico sulla personalità del paziente sono

necessariamente guidate da ciò che il clinico intende per personalità e dal tipo di relazione

che ipotizza tra personalità e sintomatologia. Quindi la formulazione del caso integra

l’approccio descrittivo e quello interpretativo-esplicativo attraverso un’ipotesi sulle cause e

i fattori che hanno influenzato e continuano ad influenzare i problemi psicologici e

comportamentali di una persona, organizzando le informazioni in modo da dare significato

ad eventuali contraddizioni nel comportamento o nelle relazioni del paziente anche

nell’ottica della programmazione di un trattamento terapeutico. La natura delle ipotesi (ad

esempio trauma nell’infanzia; problemi di apprendimento o disturbi biologici e genetici;

problemi socioculturali; schemi e credenze mal adattative sul sé e sugli altri..) dipende

molto dalla formazione e dall’orientamento teorico del clinico. L’incontro tra la diagnosi e

la formulazione del caso, così come è stato descritto, si concretizza e trova la sua

espressione prototipica nella diagnosi funzionale di Westen, cioè l’analisi di funzioni

discrete ma interagenti. La formulazione del caso dunque è necessaria per comunicare allo

psicoterapeuta e al paziente cosa di quest’ultimo si è compreso nella diagnosi, è utile per

“ripensare” il paziente e identificare le aree che richiedono ulteriore esplorazione, e per

poter evitare le angosce che inevitabilmente attaccheranno quel terapeuta che si sentirà

costretto ad iniziare una terapia senza una buona comprensione delle strutture di

13

Riassunti integrati di testi, appunti e slide del corso di

“Strumenti di valutazione della personalità”

personalità del paziente. L’importanza della formulazione del caso è stata sostenuta da

alcuni apporti teorici che si sono sviluppati negli stessi anni e che hanno sottolineato come

questa sia necessaria al fine di una pianificazione efficace del trattamento terapeutico. Un

contributo è stato portato con la teorizzazione del “tailoring the treatment” di Horwitz

(1996). Egli, a seguito della sua esperienza con i pazienti borderline, fu il primo a proporre

l’idea che fosse il trattamento a doversi adattare al paziente e non viceversa (il termine

“tailoring” fa riferimento alla metafora del sarto che cuce il vestito addosso al

committente). I trattamenti standardizzati infatti hanno necessariamente un esito infausto

sia che il paziente si adatti ad essi pur non trovandoli utili o pur non sentendosi a suo agio,

sia che il paziente abbandoni il trattamento. Diviene quindi fondamentale che i clinici non

ritengano le proprie teorie perfette o immodificabili, anche dal momento che la ricerca

sull’outcome ha mostrato l’efficacia di trattamenti diversi, e che lavorino sul “What works

for whom” (Roth e Fonagy) cioè cerchino di identificare cosa serve a fare che cosa, per

quali persone e in quali circostanze. Dunque il tailoring the treatment è un aspetto

speculare della formulazione del caso che sottolinea come sia importante avere una

descrizione delle caratteristiche e delle peculiarità del funzionamento clinico di un

individuo per poter modellare su queste un eventuale piano di intervento terapeutico.

Altro contributo teorico è quello del “Treatment Planning” di Makover (1996) o

“Treatment Goals” di Bihlar e Carlsson (2000) che sottolinea la possibilità di pianificare

obiettivi di trattamento da condividere con il paziente, obiettivi che andranno monitorati

durante e al termine della terapia. Molti clinici ritengono questa possibilità

controproducente in quanto secondo loro il trattamento dovrebbe prendere forma

durante lo svolgimento della terapia (vari psicoanalisti sostengono poi che porre degli

obiettivi significhi controllare il paziente ma ci sono comunque state delle aperture da

parte della psicoanalisi); questo è sicuramente vero ma bisogna notare che anche la

formulazione di obiettivi prevista dal treatment goals/planning non implica una rigida

progettazione del trattamento in quanto gli obiettivi stessi possono cambiare durante il

corso della terapia (ad esempio nel momento in cui mi accorgo che questi sono cambiati) a

favore di nuovi obiettivi più utili e adattativi per il paziente. Inoltre gli obiettivi prefissati

non comportano, o non esclusivamente, modificazioni comportamentali ma cambiamenti

strutturali intrapsichici, più difficili da ottenere ma più duraturi nel tempo. Tale

pianificazione ci permette ad esempio di individuare punti di debolezza su cui focalizzarsi

durante la psicoterapia che sarà volta a rinforzarli; essa risulta più semplice nella terapie di

tipo cognitivo comportamentale e più complessa in quelle di tipo psicodinamico entro le

quali è più difficile operazionalizzare i costrutti. La pianificazione inoltre aiuta anche la

costruzione e il mantenimento lineare di una buona alleanza terapeutica e, infine, è

favorita da tematiche di ordine economico-sociale in quanto permette di valutare

14

Riassunti integrati di testi, appunti e slide del corso di

“Strumenti di valutazione della personalità”

l’efficacia della terapia e il suo valore in termini di rapporto costi-benefici. Infine altro

contributo teorico rilevante deriva dal “Difficult to treat population” di Hengeller e Santos

(1997) che sottolinea l’importanza della formulazione del caso nel delineare le

caratteristiche di un individuo che appartenga ad una delle popolazioni considerate

appunto difficili da “trattare”, come ad esempio i ragazzi antisociali, persone affette da

gravi disturbi della personalità o con gravi compromissioni dell’esame di realtà, dal

momento che spesso questo non traggono giovamento da contenuti teorici classici e da

modalità tradizionali di intervento (per questo l’aiuto psicologico per tali pazienti è negli

ultimi anni stato “abbandonato” a favore della loro istituzionalizzazione in strutture e a

terapie farmacologiche). In questi casi infatti è ancora più importante avere chiare le

peculiarità di funzionamento dell’individuo in modo da poter pianificare un trattamento

che si focalizzi su cambiamenti anche piccoli ma fondamentali per la vita del paziente (ad

esempio aiutare il paziente a vivere insieme ad altre persone che condividono le stesse

difficoltà in modo relativamente autonomo). Attraverso queste riflessioni teoriche si

giunge dunque ad una ri-concettualizzazione della diagnosi che, allontanandosi sempre più

dalla tradizione nosografica e descrittiva, non viene più intesa come ateorica e sindromica

ma viene intesa come un tentativo di comprensione del paziente che si pone di individuare

le cause etiopatogenetiche dei suoi disturbi psicologici guidato da una determinata

prospettiva teorica. La formulazione del caso inoltre aiuta anche il terapeuta a valutare la

natura della relazione terapeutica, delle difficoltà relazionali e infine ad aiutarlo ad esperire

la massima empatia per il paziente al di là dei problemi presentatisi. Da questo punto di

vista assume un’importanza centrale il tema della modalità dell’incontro: il momento

diagnostico è sempre più inteso come un porsi in relazione e la relazione stessa, intesa

come macrocontenitore in cui troviamo aspetti come la relazione reale, l’alleanza

diagnostica e terapeutica, il transfert e il controtransfert, si colloca per i clinici al centro

della guarigione; essa non è la bottiglia in cui è contenuta la medicina ma è la medicina

stessa (Michels). Il concetto di relazione rimanda al concetto di alleanza diagnostica: essa

consiste in una posizione emotiva specifica del paziente per cui voglia esplorare e

comprendere il proprio problema, stringendo una relazione di fiducia col clinico, seppur

limitata all’obiettivo diagnostico e limitata nel tempo, ma anche una posizione emotiva

specifica del clinico in cui sospende il giudizio sul paziente per comprendere quest’ultimo e

cosa gli possa effettivamente essere d’aiuto. È importante in questo senso non pensare

che dal momento che ha chiesto un incontro il paziente si trovi nella posizione richiesta

dall’alleanza diagnostica.

La formulazione di un caso può assumere caratteristiche diverse a seconda dell’approccio

teorico e degli strumenti utilizzati dal clinico. Un esempio di formulazione del caso secondo

un approccio cognitivista è quella che si focalizza sulle credenze mal adattive sul sé, sugli

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Riassunti integrati di testi, appunti e slide del corso di

“Strumenti di valutazione della personalità”

altri, sul mondo e sul futuro, elaborata da Beck e altri. Tali autori hanno elaborato quattro

formulazioni del caso basate sulle caratteristiche cognitive, su schemi ed elaborazione

delle informazioni difettosi caratteristici dei quattro disturbi (cui corrispondono le

formulazioni): depressione, disturbo d’ansia, disturbo di personalità, disturbo da abus

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Publisher
A.A. 2012-2013
98 pagine
10 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/03 Psicometria

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Shotamoti di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Strumenti di Valutazione della Personalità e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano - Bicocca o del prof Parolin Laura.