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- Il modello della probabilità di elaborazione sostiene che quando le persone ricevono una comunicazione e si
trovano nella condizione di decidere se accettare o meno la posizione in essa presentata, queste provvedono a
formarsi un’opinione sulla validità della comunicazione stessa attraverso due vie: centrale e periferica.
Queste due strade segnando i confini di un continuum di modi variabili, che tenderanno alla via centrale quando
avremo motivazione e risorse ed abilità per elaborare dettagliatamente (teorie precedenti) le informazioni, e
tenderanno alla via periferica quando invece non avremo queste volontà o facoltà a nostra disposizione.
La motivazione è da intendere come frutto di numerose variabili, tra cui le conseguenze possibili, l’umore del
soggetto e le stesse predisposizioni individuali. Aldilà di ciò, è intuitivo e dimostrato che la persuasione indotta
tramite via centrale è più persistente della persuasione processata attraverso le vie periferiche.
- Il modello euristico-sistematico non si discosta molto dal modello precedente. Anziché parlare di vie, esso
parla di modalità di elaborazione, riferendosi ad un’elaborazione sistematica (approfondita, come la via
centrale), e ad un’elaborazione euristica, simile alla via periferica poiché caratterizzata da scarso sforzo
cognitivo, ma facente uso delle sole euristiche, e non anche di altri strumenti come ad esempio il
condizionamento classico.
Le due modalità, a differenza dal precedente modello, non sono autoescludentisi, ma possono anzi cooperare.
La “combinazione” dei due tipi di elaborazione è spiegata attraverso due ipotesi: per quella additiva, gli indizi
della via sistematica e di quella euristica si sommano, con conseguente prevalenza dei più numerosi sistematici;
per quella del bias, invece, utilizzata per lo più in situazioni non chiare, quando siamo davanti ad informazioni
ambigue, tendiamo a dare importanza - nel dubbio - ad indizi periferici (credibilità della fonte, simpatia, etc.).
Come la teoria della probabilità di elaborazione, inoltre, anche il modello euristico-sistematico sostiene che alla
base dei nostri processi di lavoro cognitivo debba esserci motivazione. Lo fa però sviscerando più
approfonditamente questi requisiti, postulando il principio di sufficienza, ossia la necessità di raggiungere un
grado sufficiente, un valore soglia di fiducia, prima di accettare una posizione.
La persuasione come pubblicità
In breve, la pubblicità è un grand’esempio di persuasione, anche per le ragioni commerciali e sociali dietro essa.
Grande, senz’altro, è l’influenza del subliminale nelle pubblicità. Su questo genere di persuasione, gli studi
compiuti sono stati tantissimi: da essi, è emerso che funziona, ma non come probabilmente pensiamo.
In particolare, i soggetti testati hanno dimostrato di “cascarci” nei casi di esigenza, necessità (es. se ho sete bevo
quel drink, altrimenti non lo compro, malgrado la pubblicità), quasi sempre solo dopo poco tempo
dall’esposizione al messaggio, e meglio ancora se accanto al messaggio subliminale è stato compiuto,
parallelamente, un lavoro di condizionamento classico.
Inoltre è appurato che i meccanismi dietro la pubblicità variano anche in base al prodotto presentato. Prodotti
più tipicamente legati alle emozioni sono più facilmente promossi da campagne che usano le emozioni come
leitmotiv. Allo stesso tempo, è anche vero che se si cercano coinvolgimenti emotivi anche per prodotti il cui
acquisto è comunque neutro o legato alla cognizione più che all’emozione, la vendita degli stessi è incentivata.
Cambiamento di atteggiamenti indotto da incentivi
Gli incentivi sono sollecitazioni, stimoli operati per ottenere comportamenti desiderati dagli altri. Sono spesso
operati dai governi per modificare comportamenti ed educare la cittadinanza verso particolari atteggiamenti.
Rispetto alla persuasione, richiedono meno tempo per dimostrarsi efficienti, tuttavia necessitano di controlli
affinché l’incentivo risulti essere meritato.
Gli incentivi sono oggettivamente efficaci, in linea di massima. Tuttavia, essi non hanno un buon effetto, ad
esempio, quando ad essere incentivato è un comportamento già compiuto per il piacere di farlo: in questo caso,
incentivare può significare in un certo senso indurre il soggetto a non fare, poiché già di per sé intrinsecamente
motivato prima. Motivare ulteriormente (sovragiusticare) farebbe perdere il gusto di fare in maniera spontanea.