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IL SOFISTA
Con Platone abbiamo diverse definizioni di sofista:
- colui che va a caccia di giovani ricchi
- commerciante che commercia un sapere spirituale
- lottatore esperto nell’arte del combattere con i discorsi
- colui che è esperto nell’arte della confutazione
Quindi quando si cerca di definire il sofista non si riesce ad ottenere una definizione unica.
Problema: anche il filosofo e il politico sono esperti nell’arte della confutazione—> la
definizione migliore è applicabile anche ai soggetti che si vuole distinguere dal sofista.
Lo straniero di Elea però dice che anche il lupo e il cane sembrano simili, quindi offre una
settima definizione di sofista, che però apre molti problemi: il sofista è colui che possiede
una scienza apparente—> sa imitare e imbrogliare. Come si può imitare qualcosa che non
esiste? Verità: quando c’è un’adeguamento tra ciò che io dico e la cosa in sè. La
questione della verità presuppone che ci sia qualcosa di FISSO all’interno della realtà di
cui stiamo parlando. C’è bisogno di qualcosa che sia: ENTE/ESSERE. La cosa si complica
quando si parla di un’affermazione falsa: manca la corrispondenza, una cosa sembra
come non è davvero. Il problema dell’errore chiama in causa il NON ESSERE: problema.
Il sofista è colui che mente, che cade in errore, è esperto dell’apparenza, che dice le cose
come non sono, quindi il sofista dice il non essere. Parmenide dice che l’essere è e non
può non essere: è impossibile il divenire—> non posso dire che qualcosa non è.
L’unicorno E’ inesistente.
Essere è un PREDICATO= caratteristica che si applica ad alcuni soggetti. Quindi i
predicati caratterizzano, dunque dividono (metodo dicotomico)—> una cosa appartiene
ad un insieme e non ad un altro. Essere è un predicato GENERALISSIMO che riguarda
tutte le cose.
Ci sono persone che parlano secondo verità e altre secondo falsità; i primi usano
affermazioni che costituiscono corrispondenza tra ciò che stanno dicendo e cosa di cui si
sta parlando; chi cade in errore parla di cose che sembrano in un modo ma che in realtà
non sono. Ma l’essere si riferisce a tutte le cose, quindi tutte le cose sono, quindi non ci
sono cose che non sono—> il non essere non può essere nominato (parmenide)—>
non ci sarà mai un soggetto che non è.
Il non essere sembra innominabile, ma secondo Platone ci sono persone che dicono il non
essere, quindi deve risolvere questo problema e distingue all’interno del non essere: è
necessario commettere un parricidio (verso Parmenide) e iniziare a nominare il non
essere. Le cose possono partecipare anche di più generi; la dialettica è la capacità del
filosofo di attribuire ai soggetti i giusti predicati.
Essere: si divide in predicato verbale e predicato nominale. Può essere sinonimo di
STARE. Come predicato nominale mette in relazione un soggetto con le sue qualità, rende
le qualità come se fossero un predicato unico; in questo senso indica IDENTITA’. Dunque
il verbo essere può essere usato nel senso di stasi e di identità.
Ora diventa facile nominare il non essere, che prima non veniva nominato perché veniva
inteso in senso assoluto. Si può dire il non essere in senso RELATIVO, si può usare in
senso verbale per indicare che qualcosa non è in un certo luogo. Il non essere entra in
gioco quando nominiamo il MOVIMENTO, ma si può nominare anche quando indica
DIFFERENZA (essere altro).
Platone sta cercando di risolvere il problema del divenire e il problema dell’errore; il primo
si risolve dicendo che le cose non divengono da sé.
TIMEO: Platone nomina il non essere (in senso assoluto) a cui prova a dare una forma
concreta. Dice che sono 3 i livelli metafisici di cui si può parlare:
- ideale, che non possiamo cogliere direttamente
- cose sensibili che stanno in flusso indistinto che non vediamo mai: il mondo che si pone
davanti ai nostri occhi è una realtà continua, non discreta. Noi non vediamo un
continuum, ma una porzione della continuità a cui è stata impressa una forma. La
forma è il limite, il confine. Vediamo il mondo sensibile come una serie di porzioni di
materia formate
- la continuità, la materia, che non cogliamo, non dispone ancora di forme. Non possiamo
vedere la materia informe. Per parlare di questo genere è necessario un discorso ibrido,
ai limiti del dire—> la continuità non è dicibile.
CHORA= regione—> indica uno spazio che accoglie le forme e che non ha una forma.
Traducibile anche con “spazio”. Non ammette deperimento perché la materia assoluta non
nasce né muore.
Percepiamo il mondo sensibile attraverso la doxa: ci facciamo opinione del mondo.
In ogni affermazione di essere c’è sempre il non essere; così Platone prende le distanze
da Parmenide. Il non essere è nominato nell’idea di Chora.
Dire che qualcosa non è significa dire che qualcosa è DIVERSO da qualcos’altro. Il
filosofo è colui che sa cogliere i NESSI REALI tra le cose, e l’errore sta nel non riuscire a
farlo. Parlare significa attribuire ai soggetti dei discorsi dei predicati.
Quindi il sofista è colui che IMITA LE OPINIONI, quindi è a livello della doxa (verità
inferiore), che possiede l’arte del PRODURRE APPARENZE per mezzo di discorsi.
LE LEGGI: opera della vecchiaia di Platone, compendio di tutto il suo lavoro; non compare
Socrate. Il protagonista è il filosofo di Atene, cioè forse Platone.
IL POLITICO: prosieguo ideale del Parmenide (in cui interveniva anche il giovane
Aristotele). Qui c’è Socrate che scambia solo qualche battuta, non conduce il dialogo, che
viene condotto dallo straniero di Elea, con cui interloquisce un ragazzino chiamato Socrate
—> Platone si sta riferendo ad un personaggio storico reale, così come nel Parmenide c’è
un personaggio che si chiama Aristotele. Vuole chiudere tutte le problematiche lasciate
aperte nei dialoghi dialettici (Teeteto, Sofista, Politico) i quali si svolgono uno di seguito
all’altro. Si vogliono definire il sofista, il politico e il filosofo. Troviamo qui il mito dell’età di
Crono. Il filosofo però non viene definito e manca un dialogo che ci aspetteremmo
chiamato “il filosofo”; forse Platone non ha fatto in tempo a scriverlo, forse il filosofo
coincide con il politico, forse il filosofo è stato definito tra le righe.
Cerca di dare una definizione del politico tramite il metodo dialettico; viene definito come
colui che possiede una scienza direttiva, colui che ha una capacità insita di governare.
Traccia l’analogia come il pastore di un gregge: il politico deve sapersi prendere cura
degli uomini—> deve avere la stessa natura dei suoi sudditi? Questo significa interrogarsi
di nuovo sulla democrazia e sul tema della legittimità.
1° definizione: pastore di uomini. Questa definizione risulta insufficiente perché troppo
generica, va bene anche per altri mestieri (medico, maestro di ginnastica)
Quando la filosofia non è più sufficiente, Platone fa ricorso al MITO: foriero di una verità
ulteriore, non razionale, che necessita di essere interpretata, ma verità che può risolvere
alcuni problemi non risolvibili con la sola ragione. Qui troviamo il mito dell’età di Crono:
età precedente rispetto alla nostra in cui gli uomini conoscono la data della loro morte e
possono prepararsi al processo che li giudicherà, così possono allenarsi nella retorica per
corrompere i giudici. L’età arcaica che viene raccontata qui appare essere la mitica età
dell’oro, in cui tutto funziona perfettamente, mentre l’età di Zeus è quella in cui tutto è
meno perfetto ed è così come lo vediamo oggi; sembra che l’età dell’oro sia la migliore in
assoluto e che quindi ci sia stata una decadenza—> come nel mito del buon selvaggio di
Rousseau. Nel Gorgia c’è un progresso, qui sembra che ci sia una decadenza rispetto
all’età dell’oro: questi uomini che vivono in uno stato di natura sono sottoposti ad una
schiavitù ma positiva perché tutto funziona e non c’è bisogno della politica; però sono
quasi privi della libertà e non possono esercitare il bene maggiore cioè la ricerca della
conoscenza e quindi non possono essere realmente felici.
In questo mondo, quello descritto dal mito, tutto procede al contrario rispetto a noi, quindi
allora la terra generava gli uomini, anziani, e ringiovanivano, vivendo una vita felice e
beata. Questo cambia con l’età di Zeus, in cui gli uomini sono affidati a loro stessi, c’è
libertà ma devono sapersi autoregolare.
Passaggio da un mondo all’altro provoca grandi cataclismi; nell’età di Crono, in cui tutto
procede al contrario, la morte è dolce.
Daimon= demone, spirito che abita qualcosa, semi-dio. La sua vera natura è quella della
voce della coscienza, è una voce interiore che abita in ognuno di noi e ha una natura
divina—> tutto è pieno di dei. E’ qualcosa di divino che ci abita e ci indirizza. Vale
soprattutto in Socrate, il quale lo nomina tantissime volte. Queste piccole divinità guidano
le varie città (età di Crono).
Nell’età di Crono era tutto così perfetto che gli animali non si mangiavano tra loro, non
esisteva la guerra. I daimon pascolavano gli uomini come noi oggi pascoliamo il bestiame
quindi gli uomini erano in una condizione inferiore. Dato che era un dio ad amministrare
gli uomini, non esistevano regimi politici, così come il gregge non ha bisogno di una
politica ma solo di un pastore. Le persone con desiderio di conoscenza però non sono
felici, l’età più felice è quella di Zeus perché si può perseguire la conoscenza.
Ad un certo punto il mondo inizia a girare nella nostra direzione—> Platone sta
descrivendo un processo di emancipazione, con la nascita della polis gli uomini non si
ritengono più assoggettati a queste divinità, e vanno incontro ad una debolezza perché
non sanno come mantenersi da soli.
Il politico anticamente quindi era davvero il pastore di un gregge, ma il mito porta fuori
strada nonostante ci faccia riflettere sulla natura del politico. Porta ad un’immagine del
politico che oggi non va più bene, ma ha presentato il politico come colui che ha il potere
sulla città e questo è positivo.
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