Storiografia Greca - Carone di Lampsaco
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4. Traduzione e commento di FGrHist 262 F 1
Il frammento è tratto da Ateneo XII 19:
Ta_ o(/moia i(sto/rhse kai_ peri_ Kardianw=n o( Lamyakhno_v Xa/rwn e)n deute/rw?
«Bisa/ltai
(/Wrwn gra/fwn ou!twv: ei)v Kardi/hn e)strateu/santo kai_
e)ni/khsan. (Hgemw_n de_ tw=n Bisalte/wn h]n Na/riv. Ou[tov de_ pai=v w!n e)n th?=
Kardi/h? e)pra/qh, kai/ tini Kardihnw=? douleu/sav korswteu/v e)ge/neto.
’
Kardihnoi=v de_ lo/gion h]n w(v Bisa/ltai a)pi/contai e)p au)tou_v, kai_ pukna_
peri_ tou/tou diele/gonto e)n tw?= korswthri/w? i(za/nontev. Kai_ a)podra_v e)k th=v
Kardi/hv ei)v th_n patri/da tou_v Bisa/ltav e!steilen e)pi_ tou_v Kardihnou/v,
a)podeixqei_v h(gemw=n u(po_ tw=n Bisalte/wn. Oi( de_ Kardihnoi_ pa/ntev tou_v
i(/ppouv e)di/dacan e)n toi=v sumposi/oiv o)rxei=sqai u(po_ tw=n au)lw=n: kai_ e)pi_
<w(/sper
tw=n o)pisqi/wn podw=n i(sta/menoi toi=v prosqi/oiv xeironome/ontev>
’
w)rxou=nto e)cepista/menoi ta_ au)lh/mata. Tau=t ou]n e)pista/menov o( Na/riv
e)kth/sato e)k th=v Kardi/hv au)lhtri/da: kai_ a)fikome/nh h( au)lhtri/v ei)v tou_v
Bisa/ltav e)di/dace pollou_v au)lhta/v, meq’ w[n dh_ kai_ strateu/etai e)pi_ th_n
Kardi/hn. Kai_ e)peidh/ h( ma/xh suneisth/kei, e)ke/leusen au)lei=n ta_ au)lh/mata
o(/sa oi( i(/ppoi tw=n Kardihnw=n e)cepistai/ato: kai_ e)pei_ h!kousan oi( i/(ppoi tou=
au)lou=, e!sthsan e)pi_ tw=n o)pisqi/wn podw=n kai_ pro_v o)rxhsmo_n e)tra/ponto.
Tw=n de_ Kardihnw=n h( i)sxu/v e)n th?= i(/ppw? h]n, kai_ ou/(twv e)nikh/qhsan».
«Gli stessi fatti sono stati narrati anche a proposito dei Cardiani da Carone di
Lampsaco, che nel secondo libro degli Annali scrive così: “I Bisalti fecero una
spedizione contro Cardia e vinsero. Al comando dei Bisalti vi era Naride. Costui
era stato venduto a Cardia da bambino, e dopo essere stato schiavo di un cardiano
era diventato barbiere. I Cardiani avevano una profezia secondo cui i Bisalti li
avrebbero attaccati, e discorrevano spesso di questo seduti nella bottega del
barbiere. Fuggito da Cardia alla volta della patria, Naride fu designato
comandante dai Bisalti e li guidò all’attacco dei Cardiani. Tutti i Cardiani
insegnavano ai loro cavalli a danzare al suono del flauto durante i simposi: i
13
cavalli, reggendosi sulle zampe posteriori, con quelle anteriori, muovendole a
ritmo, eseguivano movimenti di danza, riconoscendo le musiche del flauto.
Sapendolo, Naride si procurò una flautista di Cardia: una volta arrivata, la
suonatrice istruì numerosi auleti, accompagnato dai quali Naride si mise in marcia
contro Cardia. Quando la battaglia ebbe inizio, egli ordinò loro di suonare tutte le
melodie per flauto che i cavalli di Cardia erano in grado di riconoscere; e quando i
cavalli udirono il suono del flauto, si alzarono sulle zampe posteriori e si
lasciarono trascinare nella danza. La cavalleria era il punto di forza dei Cardiani, e
fu così che furono sconfitti”».
Si tratta di una citazione testuale piuttosto cospicua, che Ateneo afferma di aver desunto
dal secondo libro degli Annali di Lampsaco (‘=Wroi ), la sola opera di
Lamyakhnw=n
Carone che, insieme ai , è attestata con certezza dai frammenti.
Persika/
Il testo di Carone si riesce a isolare con una certa facilità sia grazie alle indicazioni di
Ateneo, che segnala in modo inequivocabile l’inizio della citazione (Xa/rwn... gra/fwn
sia per le particolarità linguistiche del testo stesso. Salta subito agli occhi la
ou/(twv),
coloritura ionica della prosa di Carone, che contrasta in modo evidente con il dettato
atticizzante di Ateneo: sono presenti il tipico vocalismo in (Kardi/h
, in
h Kardihnoi/
luogo di , ), forme psilotiche (a)pi/contai), desinenze non contratte
Kardi/a Kardianoi/ 23
(Bisalte/wn), forme verbali proprie del dialetto ionico (e)cepistai/ato) .
La presenza degli ionismi non è però costante: accanto a parole che potremmo definire a
tutti gli effetti “erodotee” si trovano anche le più comuni forme attiche (a)fikome/nh,
senza psilosi). Vi sono inoltre alcune voci verbali che a prima vista sembrerebbero più
tipiche della prosa erudita di età imperiale che della scrittura di uno storiografo ionico di
V sec. a. C. (ad esempio aoristo passivo con vocalismo in luogo dello ionico
e)pra/qh, a
oppure l’uso del piuccheperfetto) e potrebbero pertanto non risalire
e)prh/qh,
direttamente a Carone ma essere innovazioni successive.
Pur con tutta la dovuta cautela, la presenza nel frammento di una commistione di
23 In realtà l’imperfetto con desinenza ionica di attestato in Erodoto è (cfr. Hdt.
e)p i/stamai e)p iste/ato
VIII 123, 3). La forma potrebbe essere esito di un errore di itacismo, tanto più probabile se
e)pistai/ato
Ateneo citava Carone a memoria o rifacendosi a trasmissori “intermedi” cronologicamente vicini a lui.
14
elementi linguistici differenti, lungi da voler essere un dato puramente fine a se stesso,
sul versante storico apre al complesso problema del rapporto tra gli storici frammentari
e le fonti che li tramandano: se, cioè, nel caso specifico, Ateneo leggesse direttamente
Carone, o se lo conoscesse attraverso la mediazione di uno o più trasmissori intermedi,
che potrebbero quindi aver alterato in misura più o meno consistente il testo originale.
Da un lato la notevole distanza cronologica che separa Ateneo da Carone induce a una
certa prudenza circa la possibilità che nella tarda età imperiale gli Annali di Lampsaco
potessero essere ancora in circolazione nella loro forma originaria; dall’altro, però,
l’indicazione precisa del libro dell’opera da cui è tratto il frammento e, per contro, il
fatto che Ateneo non menzioni nessun autore che possa avergli tramandato il testo di
Carone sembrerebbero suggerire che egli possa aver lavorato direttamente su una
qualche copia degli Annali. Altrettanto arbitrario sarebbe cercare di stabilire se Ateneo
citasse a memoria Carone, magari con l’ausilio di appunti e commentari
u(pomnh/mata,
redatti nel corso della lettura dell’opera, o se avesse invece sott’occhio una copia di
riferimento, anche se la prima ipotesi potrebbe in effetti spiegare la patina dialettale non
uniforme del frammento.
Dal punto di vista del contenuto, il frammento è di carattere aneddotico molto più che
storico, e si inquadra pienamente nel tipico gusto per i mirabilia che caratterizza le
opere erudite di età imperiale. Sarebbe pertanto fuorviante cercare di valutare l’opera di
Carone – così come di qualsiasi altro storico frammentario – sulla base del contenuto di
questo frammento, senza tener conto dell’epoca, del genere letterario e delle finalità del
suo trasmissore.
L’episodio narrato, riguardante uno scontro tra la città di Cardia e la popolazione dei
Bisalti, si inserisce all’interno di una lunga disquisizione, intervallata da numerosi
aneddoti tratti dagli autori più svariati, a proposito di alcune particolarmente
po/leiv
dedite alla lussuria (trufh/
). A partire da XII 15 Ateneo si sofferma in particolare sulla
città di Sibari, proverbiale per la sua dissolutezza fin dall’età arcaica, epoca a cui risale
la sua rivalità con l'acerrima nemica Crotone (considerata, al contrario, un esempio di
moderazione e purezza di costumi, anche grazie al ferreo regime di vita promosso dalla
scuola pitagorica, che lì aveva sede). Dopo essersi diffuso per alcuni capitoli sulle varie
forme di praticate dai Sibariti, all’inizio di XII 19 Ateneo si sofferma sulla loro
trufh/ 15
abitudine di far danzare i cavalli alle feste e riporta un frammento della perduta
di Aristotele (fr. 583 Rose): «I Crotoniati, essendo a conoscenza
Subaritw=n politei/a
di ciò, come afferma Aristotele nella Costituzione a loro dedicata, quando fecero guerra
ai Sibariti insegnarono ai loro cavalli la melodia su cui danzare: nella compagine del
24
loro esercito vi erano infatti anche dei flautisti» .
Proprio questo aneddoto consente ad Ateneo di chiamare in causa Carone, che racconta
un episodio molto simile a proposito della città di Cardia, nel Chersoneso tracico. La
citazione del testo di Carone costituisce una breve digressione, terminata la quale
Ateneo riprende immediatamente a parlare dei Sibariti. Sul piano narrativo, pertanto, la
funzione del frammento è solamente quella di variare e vivacizzare il racconto
inserendovi un aneddoto poco noto: la citazione avviene per pura e semplice
associazione di idee e si conclude in se stessa, senza segnare il passaggio a un nuovo
argomento.
La somiglianza tra il racconto di Aristotele e quello di Carone, benché i due frammenti
siano riferiti a città diverse, induce a ipotizzare che Aristotele, cronologicamente
posteriore, avesse presente il testo degli ‘=Wroi e abbia volutamente
Lamyakhnw=n
ripreso l’episodio modificandone l’ambientazione, come osservava già George Huxley
25
in un articolo di alcuni decenni fa . Il racconto di Carone sarebbe quindi stato
reimpiegato come una sorta di che, ricontestualizzato, ben si addice a una città
to/pov
proverbiale in tutto il mondo greco per la sua e, al tempo stesso, all’interno di
trufh/
un’opera storica, quale era la aristotelica, introduce una nota di colore,
Politei/a
funzionale a divertire il lettore spezzando la monotonia della narrazione.
24 ’
Tou=t ou]n ei)do/tev oi( Krotwnia=tai o(/te au)toi=v e)pole/moun, w(v kai_ )Aristote/lhv i(storei= dia_
th=v Politei/av au)tw=n, e)ne/dosan toi=v i(/ppoiv to_ o)rxhstiko_n me/lov: sumparh=san ga_r au)toi=v
kai_ au)lhtai_ e)n stratiwtikh?= skeuh?=.
25 Cfr. Huxley 1972, p. 166. 16
5. Carone negli studi moderni: breve rassegna bibliografica
Forse a causa della scarsità non solo dei frammenti, ma anche delle informazioni
storicamente significative che da essi si possono ricavare, nel corso dell’ultimo
decennio Carone è stato oggetto di un numero di studi piuttosto limitato.
L’ultimo, in ordine di tempo, è un articolo di Pier Giovanni Guzzo, apparso nel 2010
sulla rivista Incidenza dell’Antico (n. 8, pp. 197-212), dal titolo “Intorno a Lampsake:
ipotesi di un modello foceo”. Esso prende in esame la colonizzazione della città di
Lampsaco da parte dei Focesi, descritta da Carone in FGrHist 262 F 7a, il cui
trasmissore è Plutarco (Mul.Virt. 18, 255 a-e), al fine di porre a confronto le modalità di
fondazione di questa città con quelle di altre colonie focee. Un’analisi di questo tipo era
già stata svolta una quindicina di anni prima da Antonietta Brugnone, che, in uno studio
sulle testimonianze relative alla fondazione di Massalia (“In margine alle tradizioni
ecistiche di Massalia”, La Parola del Passato 50, 1995, 50, pp. 46-66), poneva a
confronto tale tradizione con il racconto di Carone a proposito della fondazione di
Lampsaco.
Da questi contributi emerge un interesse nei confronti di Carone, e nella fattispecie del
frammento 262 F 7a, come fonte per comprendere alcune dinamiche relative al
fenomeno della colonizzazione; e non è da escludere che l’opera di Carone fosse in
effetti ricca di notizie riguardanti fondazioni di città, se la Suda gli attribuiva, tra le altre
opere che oggi gran parte della critica spurie o inesistenti, uno scritto intitolato Kti/seiv
26
.
po/lewn
Del 2005 è, infine, un articolo dello studioso americano Victor Parker, pubblicato sulla
rivista Philologus (149, pp. 3-11), dal titolo “Pausanias the Spartiate as depicted by
Charon of Lampsacus and Herodotus”, in cui si individua Carone come possibile fonte
per l’excursus tucidideo su Pausania (cfr. Thuc. I 95). Sulla stessa linea si collocava, già
nel 1977, anche Westlake, che dedicò uno studio (“Thucydides on Pausanias and
Themistokles: a written source?”, Classical Quarrel 27, pp. 95-110) all’analisi delle due
figure di Pausania e Temistocle in Tucidide, ipotizzando la dipendenza di quest’ultimo
da una fonte scritta alternativa a Erodoto, che quindi doveva necessariamente
26 A una fondazione fa riferimento anche il brevissimo 262 F 6 (Phot. Lex. s.v. ).
o)stako/v
17
27
identificarsi in Carone , in quanto autore di o, comunque, di narrazioni di
Persika/
argomento persiano.
Negli stessi anni di Westlake, dunque tra la seconda metà degli anni ’70 e i primi ’80,
diversi studiosi hanno cercato di fare luce sui rapporti tra la storiografia erodotea e
l’opera di Carone, sempre nei limiti di ciò che si può desumere dallo stato frammentario
di quest’ultima. Del 1982 è “La leggenda di Ciro in Erodoto e Carone di Lampsaco” di
Silvio Accame (Miscellanea Greca e Romana 8, pp. 1-43), che, come si è accennato in
un precedente capitolo, ritiene plausibile che Erodoto conoscesse Carone, ma che il suo
racconto sia comunque indipendente da quello del suo predecessore e, inoltre, propende
per una comune dipendenza di entrambi da una terza e non meglio identificabile fonte.
Diversa la posizione di Mauro Moggi, che, in “Autori greci di Persiká” (Annali della
Scuola Normale Superiore di Pisa 8, 1977, pp. 1-26), affermava che non solo Erodoto
non abbia tenuto presente l’opera di Carone, ma che non ne avesse neppure conoscenza.
Al rapporto tra Carone ed Erodoto è dedicato infine un contributo di Luigi Piccirilli
(“Carone di Lampsaco ed Erodoto”, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa 5,
1975, pp. 1239-1254), in cui si sosteneva che tale rapporto fosse essenzialmente
polemico e che la narrazione erodotea non solo non dipenda da quella di Carone, ma se
ne distacchi volutamente.
27 In realtà l’ipotesi che Tucidide possa dipendere da Carone per quanto riguarda la caratterizzazione sia
di Pausania che di Temistocle è oggi assai dibattuta, data l’esiguità delle informazioni che si possono
ricavare dai frammenti di Carone: chi è maggiormente scettico a questo proposito è Hornblower (cfr.
Blösel 2012, pp. 226-227). 18
6. Conclusioni
L’analisi di ciò che sopravvive dell’opera di Carone e di come questo autore è stato
preso in esame dagli studiosi moderni non è certo sufficiente, data l’incertezza delle
notizie che possediamo su di lui e lo stato frammentario della sua opera, a delinearne la
fisionomia in modo esaustivo e completo. Tuttavia, lo studio della documentazione
antica e moderna permette se non altro di individuare alcuni elementi a partire dai quali
sia possibile tentare un seppur approssimativo inquadramento di Carone nel panorama
della storiografia greca.
Pur con tutte le incertezze relative alla cronologia di Carone, di cui si è cercato di dare
conto in questa breve trattazione, sulla base delle testimonianze antiche e del parere
della maggior parte degli studiosi moderni appare verosimile che lo storico si collochi
nella prima metà del V secolo a.C., quindi nell’alveo della storiografia pre-erodotea (o
anche coeva, ma comunque ancora legata a modalità di composizione che non si
possono ancora definire storiche a tutti gli effetti) di ambito ionico. Carone sarebbe
28
quindi, per ricorrere alla terminologia tradizionale, un logografo , vale a dire uno di
quegli autori di cronache locali che vedono la luce nella Ionia di inizio V sec. a.C. e che
si considerano i diretti antecedenti non solo di Erodoto, ma della storiografia come
29
genere letterario . A questo proposito è particolarmente significativo il fatto che l’opera
principale di Carone – che è anche la sola a essere concordemente riconosciuta come
autentica – sia intitolata ‘=Wroi, cioè Annali, se è vera la tesi secondo cui l’impianto
annalistico sarebbe caratteristico di queste primissime storie locali, che verosimilmente
30
attingevano dai documenti ufficiali e dai registri della di riferimento .
po/liv
Sulla validità dell’opera di Carone è difficile dare un giudizio basandosi sui pochi
28 Anche se, come fa notare Meister (Meister 1990, trad. it. M. Tosti Croce 1992, p. 21), “sarebbe meglio
non usare il concetto di logografi in questo contesto: innanzitutto in Tucidide la parola indica in
generale gli ‘scrittori in prosa’. In secondo luogo egli non ne esclude [...] Erodoto, anzi polemizza
soprattutto con lui. In terzo luogo gli scrittori menzionati da Dionigi [di Alicarnasso: cfr. de Thuc. 5]
non rappresentano un gruppo omogeneo [...], ma sono autori che in parte si sono dedicati, sulle orme di
Ecateo, al mito e in parte hanno dato vita a opere storiche su singoli popoli e terre”.
29 Cfr. Accame 1982, p. 29, in cui viene ribadita la distinzione tra una prima generazione di logografi,
anteriori alla guerra del Peloponneso, al cui interno si collocherebbe Carone, e una seconda generazione
nella seconda metà del V secolo.
30 Cfr. Meister 1990 (trad. it. M. Tosti Croce 1992), p. 21, che però respinge questa teoria e difende
invece quella di Jacoby, secondo cui le cronache locali non vedrebbero la luce prima della fine del V
sec. a.C., e quindi non sarebbero anteriori ma posteriori a Erodoto.
19
frammenti che possediamo, sia perché essi costituiscono una parte assai ridotta di quella
che doveva essere la sua produzione (anche se non siamo ovviamente in grado di
quantificarne l’ampiezza totale), sia perché non è detto che il loro contenuto rispecchi le
caratteristiche dell’opera nel suo complesso, ma per ciascun frammento bisogna tener
conto delle finalità, degli orientamenti e del genere letterario di appartenenza del suo
trasmissore.
L’impressione che si può tuttavia ricavare è che Carone, pur non essendo un autore di
primissimo piano nell’ambito della storiografia greca, fosse considerato dagli antichi
una fonte tutto sommato credibile, utile per confermare o smentire dati a seconda degli
scopi dei trasmissori. La collocazione cronologica dei trasmissori stessi induce a
ipotizzare che Carone abbia iniziato a godere di una certa fortuna diversi secoli dopo la
sua morte, mentre i dati che possiamo ricavare da autori precedenti sono molto incerti e,
comunque, scarsi. Sulla vexata quaestio del rapporto con Erodoto si è già detto a
sufficienza e né lo stato della documentazione né i pareri discordi degli studiosi
permettono di pronunciarsi con sicurezza a riguardo; sembra invece più convincente
quanto emerso dall’analisi del frammento 262 F 1 (cfr. supra) a proposito del fatto che
Carone possa essere stato una fonte di Aristotele per una sua opera storica perduta (se
anche di altre, o per altri passi della stessa, è impossibile dire).
In età ellenistica, l’opera di Carone deve essere andata incontro a più tentativi di
sistemazione, verosimilmente da parte degli eruditi alessandrini, che si presume siano
31
stati la fonte principale della Suda ; è pertanto molto probabile che almeno una parte di
essa sia circolata in più redazioni, diversamente intitolate e suddivise al loro interno, ma
anche sul numero esatto e sul titolo dell’opera – o delle opere – di Carone sussistono,
come si è visto, non pochi dubbi. È altresì impossibile stabilire quale fosse lo stato di
conservazione di questa produzione nelle epoche cui risalgono i trasmissori e, anzi, si
può anche immaginare che essa fosse già in parte frammentaria, e che proprio
l’esistenza di lacerti che circolavano autonomamente abbia spinto gli eruditi antichi e
bizantini a ipotizzare che essi provenissero da una serie di opere indipendenti una
dall’altra.
Purtroppo l’esiguità della documentazione impedisce di spingersi oltre e di fornire dati
31 Cfr. Accame 1982, p. 30. 20
più accurati su un autore cui i manuali di storiografia dedicano a stento qualche riga in
sede introduttiva, all’interno di quel variegato quanto incerto insieme di autori che si
collocano agli albori della storiografia di V secolo e che costituiscono i predecessori dei
suoi più illustri rappresentanti.
L’auspicio è che nuovi studi, magari con il supporto di ulteriori ritrovamenti di
materiale antico che possa aggiungersi a quello già in nostro possesso, gettino una luce
un po’ più nitida su queste prime testimonianze storiografiche e sulle singole personalità
degli scrittori che possiamo considerare i della narrazione storica.
prw=toi eu(rhtai/
21
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher amber_90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storiografia greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Genova - Unige o del prof Gazzano Francesca.
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