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Roma. Nel 1655 dovette accettare l’imprimatur ecclesiastico. Anche dopo la fine del 15 secolo in spagna, Italia e
Portogallo l’azione repressiva continuò. E con ancora più vigore. Se il catalogo di clemente 8 conteneva 2100 voci,
quello del suo successore, clemente IX, ne conteneva 11.000. gli indici del 1661 e del 1681 abbandonarano la
suddivisione in tre categorie tipica del tridentino e disposero le opere in ordine alfabetico. Il primo clementino si
limitava a proibire opere magiche e astrologiche. Con le seguenti vennero proibiti libri che potevano riferirsi
all’eliocentrismo, giansenismo, molinismo, misticismo, quietismo e a controversie politiche e religiose di vario
genere. Simili furono anche gli indici spagnoli, ma che possedevano un carattere più moderato. Gli indici erano la
teoria, la prativa era l’effettiva volontà repressiva. Le disposizioni ufficiali erano una cosa, la pratica un’altra. I
permessi di lettura di testi proibiti dovevano essere concessi dal sant’uffizio per periodo non superiori a tre anni a
studiosi maturi di provata dottrina e fiducia e in ogni caso non potevano includere gli scritti di astrologia giudiziaria,
di Machiavelli, tutti quelli contro la religione. Di fatto questi permessi sembrano divenire presto una franchigia a
tempo indeterminato, ottenibile senza troppe difficoltà. Dopo la metà del 600 non risultano persecuzioni per il
semplice possesso di titolo proscritti. La repressione vera e propria si indirizzava invece versi quelle dottrine e quelle
pratiche che potevano avere pericolosi risvolti sociali. Significative a questo proposito sono le vicende
dell’inquisizione spagnola. A differenza degli archivi romani quelli iberici sono più ricchi di informazioni. Ogni anno
ciascun libraio doveva dichiarare all’inquisitore i testi che deteneva in bottega, mostrare i cataloghi delle fiere di
Francoforte, consegnare tutti i libri compresi nell’ultimo indice e dare notizia di ogni richiesta di opere proibite. La
pratica era ben lontana dal seguire tali norme. Negli archivi dell’inquisizione risultano ben poche liste del genere. Gli
stessi librai madrileni non sembravano spaventati dalle rigide norme previste. Solo nei riguardi delle esportazioni in
America c’era più severità. Anche qui i processi per detenzione di libri proibiti risultano minimi e si fecero sempre più
rare le denuncie. Solo da metà 700 si vedrà rianimarsi il controllo inquisitoriale. A Madrid durante il 600 i controlli
posti non erano così gravi. Si verificavano controlli anche alle dogane, risultati come routine. L’inquisizione spagnola
aveva competenza anche in Sicilia e Sardegna. Nelle isole c’era l’abitudine di utilizzare sia le norme romane che
spagnole. Infatti in Sicilia si utilizzava il codice tridentino e anche in questo i processi erano ben pochi. Anche nel
resto d’Italia la repressione appare limitata. Era caso raro che si perseguitasse qualcuno per possesso di libri proibiti.
L’intervento repressivo non partiva dall’iniziativa inquisitoriale, ma erano gli stessi confessori a indurre i fedeli ad
autodenunciarsi e il tutto di solito si risolveva con l’assoluzione. Anche in terre di confine come i territori veneti e
imperiali del Friuli era piuttosto inconsueta la persecuzione per testi eretici- più frequente era invece quella dei libri
libertini e di magia. Risulta comunque che in quest’are di confine tra mondo italiano e germanico c’era
un’attenzione maggiore a riguardo. Anche a Venezia l’azione repressiva si concentrava sui libri di magia; e anche a
Napoli l’azione repressiva era molto occasionale. Quindi nonostante la progettazione di un sistema repressivo, la sua
attuazione pratica era lontana dall’essere perfetta. Tuttavia ancora a lungo in pochi si azzardavano a leggere libri
proibiti, ne fa mostra l’alto tasso di richiesta all’autorità di licenze di lettura. Tra seconda metà del 500 e prima metà
del 600 cominciarono varie reazioni al clima repressivo. Si trattava principalmente di inconsapevoli manifestazioni di
fastidio che sfociarono in dichiarate avversioni nei riguardi del sistema esistente. Furono ovviamente coloro che
subirono i danni maggiori del clima repressivo a reclamare la possibilità di operare senza sottostare a continue
minacce. I primi furono i librai appunto, che escogitarono vari stratagemmi per eludere il controllo. Ci sono
addirittura famiglie che si manifestavano cattoliche o protestanti a seconda dell’occasione, come i Gabiano (cattolici
a Venezia e protestanti a Lione). I grandi librai del mondo cattolico che riuscirono a superare le tempeste della
seconda metà del 500 furono coloro che si adeguarono alle prescrizioni degli indici e che abbandonarono la lettura
pericolosa per un più tranquillo e redditizio mercato del libro religioso. Il rapporto tra autori e sistema censorio vede
due facce: da una parte molti si adeguarono costretti ad esso; molti altri vi aderirono spontaneamente in quanto
erano del parere che la libertà di parola nuocesse ad uno stato ben ordinato. Nel decenni centrali del 600 tuttavia la
trattativa tra scrittori e censura fu un po’ turbolenta per alcuni. Furono i libertini a pagare di più il peso repressivo
dell’inquisizione. Si ricorda la vicenda di Pallavicino. Quindi a tutti i livelli cominciarono a diffondersi sensazioni di
fastidio contro il sistema censorio anche per questo parte del potere minaccioso del’inquisizione e degli indici finì per
affievolirsi. Cominciarono anche, a Ginevra e in Germania, a contraffarsi gli indici proibiti ed espurgatori. Nonostante
tutto i diffusi malumori non riuscirono a creare un dibattito per il diritto alla libera espressione. Diversa fu la vicenda
dell’Inghilterra dove lo scrittore John Milton scrisse una propria riflessione a difesa della libertà di stampa.
Nonostante Milton non venne immediatamente ascoltato, nel 1695 l’Inghilterra fu il rimo paese europeo ad abolire
la censura preventiva.
4 – assolutismo e censura
L’antagonismo complementare tra chiesa e stato giunse ad un punto di svolta durante il 17 secolo quando il secondo
prevalse sul primo, anche se ancora a lungo la chiesa continuò a far valere le sue ragioni, ma il clima era cambiato.
Mentre uscivano indici sempre più densi, l’attività dell’inquisizione aveva perso di severità. Le capacità repressive del
sant’uffizio erano in via di esaurimento. Tutti gli stati europei erano al lavoro per porre limiti alla sua azione. In
spagna la sua attività rallentò nella seconda metà del 600. Salì al trono Filippo V che intraprese rapporti con la
Francia, da cui giungevano libri scientifici e in più accentuò tendenze regaliste. In Italia si rianimava il commercio
librario. Nella Napoli del secondo 600 era possibile far giungere agevolmente libri dal nord-europeo. A Venezia tra il
1688 e 1695 recuperò tutti gli spazi che era stata costretta a cedere all’inquisizione a metà secolo. Persino nel ducato
di Savoia perse azione. In questi decenni divenne sempre più vitale per tutti i regnanti influenzare in prima persona
la produzione e la circolazione delle idee. Il rafforzamento dei poteri centrali dello stato portò con sé la necessita di
controllare direttamente la circolazione di qualsiasi scritto. Soprattutto bisognava insinuare nei sudditi idee e
informazioni circa il corretto operato dei sovrani. Ma nel momento in cui i regnanti si illusero di poter condizionare i
pensieri dei sudditi si innescò un meccanismo che a lungo andare finì per ritornar loro contro. È la Francia a costituire
un modello e un punto di riferimento sia per il livello e la qualità della produzione letteraria ed editoriale, sia per le
risoluzioni che vi si presero. Il sistema francese venne messo a punto da Richelieu e Colera. Nel 1623 si era stabilito
di porre tutta la stampa sotto la sorveglianza reale. Il consiglio del re creò così 4 censori d’ufficio che avevano il
compito di analizzare tutti i libri dubbi, ma non di carattere religioso. Venne istituito un vero e proprio ministero
incaricato di sovrintendere alle attività letterarie ed editoriali (LIBRAIRIE). Il manoscritto veniva affidato ad un
censore che forniva un suo parere. Ogni anno il 10-15% delle domande aveva esito negativo, a causa della loro
categoria di appartenenza: superstizione, pezzi scandalosi o satirici, opere politiche o libri indefiniti. Questo sistema
di vigilanza, però, cominciò a funzionare solo negli ultimi decenni del secolo, con l’aggiunta di un luogotenente della
polizia alle dipendenze della cancelleria e del direttore della librairie che si occupava de rispetto dei decreti reali, del
controllo dei traffici illeciti e del sequestro delle opere. Il 19% dei prigionieri della Bastiglia erano responsabilità di
reati di librarie, quindi il sistema funzionava. Di pari passo con il rafforzamento delle strutture statali, cominciò anche
una complessa manipolazione del pubblico francese attraverso pamphlet, gazzette e giornali , scritti da storici e
letterati, ostili alla controriforma e che collaborarono perché convinti in ciò che stavano scrivendo. Tutto questo
aveva una valenza propagandistica. Nella prima metà del 700 la macchina burocratica censoria francese si complicò
ulteriormente. La crescente produzione editoriale richiese un numero sempre più elevato di revisori al fine di
effettuare con la massima tempestività le pratiche per le licenze. La struttura della censura del regno non appariva
più in grado di sostenere il peso. La librarie finì sotto la direzione di Malesherbes che suggeriva di ridurre i motivi di
proibizione e di aumentare le responsabilità degli autori e censori ai quali si dovevano prescrivere norme precise. I
divieti si sarebbero dovuti limitare alle opere calunniose, oscene o agli attacchi contro religione e monarchia. Tutto il
resto sarebbe stato libero, anche le critiche allo stato. Malescherbes giocava un ruolo ambiguo, infatti salvò spesso la
vita e la reputazione di molti letterati, come Rousseau. Negli stati italiano il processo di statalizzazione della censura
e di contenimento dell’inquisizione fu molto lento e maturò solo nel secondo 700. Nel 1648 nel ducato di Savoia, la
reggente Maria Cristina aveva per la prima volta ottenuto che fosse posto sullo stesso piano il ruolo dello stato e
della chiesa per la concessione delle licenze. Tuttavia fu una presa di posizione priva di rilievo. Negli anni di Vittorio
Amedeo 2 si irrigidirono i rapporti con l’inquisizione. Si concepì un progetto di riforma della revisione libraria simile a
quella Venezia in cui l’imprimatur diveniva un semplice visto. Si recuperarono così un sacco di autori, tra cui anche
Sarpi. Ma il piano rimase a lungo inattuato. Venne riproposto nel 1745 con alcune attenuazioni, come la scomparsa
delle liste di autori da proibire, ma ne vennero aggiunt