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Roma ma anche nei riguardi delle elezioni episcopali e del clero minore con

l’accentuarsi della condanna alla simonia: erano i principi secolari, con i loro interessi

familiari, a indurre alla corruzione i chierici. Alcuni vescovi aderirono al provvedimento,

sottraendo al potere regio sia il controllo di Roma, sia la solida base su cui era fondato il

potere pubblico dall’età post-carolingia; altri invece si indignarono, in quanto erano

riluttanti a misconoscere la sacralità del principe.

• Alessandro II (1061-1073) e Gregorio VII (1073-1085)

Alessandro II, successe a Niccolò II e sotto il suo pontificato si delineò la separazione di

cui abbiamo appena parlato. Anselmo da Baggio fu eletto come prescriveva il

decreto del 1059 e simpatizzava per i patarini e l’arcidiacono Ildebrando e l’aristocrazia

romana si alleò con la corte tedesca e l’episcopato lombardo. Era evidente che le idee

moderate di Pier Damiani, le quali affermavano il primato esclusivamente sacerdotale

di Roma, erano state abbandonate in favore di una nuova prospettiva, secondo la quale

per consentire alla curia papale di svolgere il suo ruolo di vertice dell’istituzione

ecclesiastica era necessario stipulare e consolidare alleanze politiche.

Avvenne di colpo un rovesciamento di ruoli: prima, la simbiosi regnum-sacerdotium

era stata rifiutata poiché il ruolo egemone dell’Impero impediva di godere della Libertas

ecclesiae, ora viene riaffermata con una supremazia papale in procinto di definirsi e

consolidarsi.

Gregorio VII, successe ad Alessandro II: egli portava avanti i suoi interessi senza tener

conto delle consuetudini locali sempre grazie all’appoggio delle amicizie laiche di cui si

è saputo circondare. Seguendo questa condotta, si sarebbe presto scontrato con il

potere pubblico: il conflitto ebbe inizio quando decise di vietare al re di investire i

vescovi, allo scopo di impedire scelte dettate da ragioni non religiose.

Enrico IV lo fece deporre da un’assemblea di vescovi tedeschi ma, Gregorio, contando

sull’appoggio della famiglia dei Canossa, sciolse i sudditi dalla fedeltà e dalla

giurisdizione del re il quale inoltre fu scomunicato. Era l’applicazione pratica dei principi

che aveva enunciato in un suo testo, chiamato dictatus pace in cui affermava la

supremazia spirituale e temporale del Papa. Enrico IV, distratto anche dalla politica

interna riguardo l’opposizione da parte della Sassonia e della Franconia, nel 1077

dovette chiedere il perdono ma, suo malgrado, Enrico perse la carica dato che gli

oppositori, nel frattempo avevano già eletto un nuovo re. Nel frattempo, Enrico, dopo

aver ricevuto una seconda scomunica, fece eleggere un secondo papa a Ravenna ma i

Normanni intervennero ponendo fine alla vicenda. Nel frattempo Gregorio morì a

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Salerno. Anche se con Gregorio morirono anche i suoi progetti, le sue idee conferirono

un nuovo ordinamento alla società e avrebbero trovato nei suoi successori (Innocenzo

III) notevoli sviluppi. Il conflitto tra le due istituzioni proseguì accentuato dalla

riscoperta del diritto domano con il quale veniva giustificata la supremazia del potere

imperiale.

• Urbano II (1088-1099), Pasquale II e Callisto II

Urbano II, operò secondo l’idea gregoriana dell’illimitato potere della sua carica su

tutta la Chiesa cristiana. Ivo di Chartres, nello scontro ideologico tra Gregorio e

Enrico, sostiene che il vescovo avrebbe dovuto ottenere anche il potere temporale,

accompagnato sempre, però, dall’assenso del re. Questo sfondo dottrinale, determinò

gli sviluppi successivi: l’accordo di Sutri stipulato da Enrico V e Pasquale II, si

mostrò come un compromesso, infatti il re avrebbe dovuto rinunciare a intervenire nelle

concessioni vescovili e nella gestione dei beni donati alle chiese, mentre il Papa

convinse i vescovi a restituire al re tutte le riscossioni fiscali e la giurisdizione in quei

luoghi in cui in precedenza era stato loro concesso dall’ autorità pubblica. Nei fatti fu

impossibile applicare quanto stabilito e la faccenda si risolse soltanto dopo il

Concordato di Worms (1122) tra Enrico V e Callisto II. Esso era un accordo per

limitare le investiture.

In Germania, l’imperatore poteva influire sulle elezioni ma in Italia e in Borgogna no: il

Papato sarebbe diventato ben presto il centro di un nucleo politico di tipo monarchico

dalla potenza smisurata, in grado di controllare l’episcopato europeo, i movimenti e

molti potenti laici.

- L’affermazione della monarchia papale

Dopo la lunga stagione di concili tra il IV e il V secolo e dopo il concilio di Costantinopoli

dell’869-870, nessun altro concilio fu definito “ecumenico” per la separazione netta tra

Oriente e Occidente. Quei concili erano dominati dai teologi di origine greca o comunque

orientale e venivano convocati con il comune accordo tra l’Imperatore e i patriarchi. Nella

Roma del XII secolo, fu convocato un nuovo concilio che poteva definirsi ecumenico ma ormai,

l’Imperatore non aveva più voce in capitolo. In maniera del tutto autonoma, Callisto II, nel

1123 convocò trecento vescovi nella basilica di San Giovanni in Laterano per consolidare

l’autorità papale e confermare i principi egemonici dell’istituzione ecclesiastica. Oltre alla

condanna delle simonia e del concubinato, fu stabilito il preciso ordinamento nella

stratificazione gerarchica delle varie cariche clericali e la totale esclusione dei laici dalle

decisioni dei prelati e fu riaffermata la legislazione canonica di tipo politico. Così, nel Concilio

Lateranense I il papato si pose definitivamente ai vertici della società cristiana e non mancò

occasione in cui la Chiesa fosse intervenuta a colmare i vuoti di potere e le carenze

dell’ordinamento pubblico. Il Papato, quindi, voleva porsi di proposito in opposizione al potere

dell’Impero, istituzione posta sempre come protettrice e coordinatrice della cristianità. In

netta opposizione alla tendenza post-carolingia di provincializzazione e complicazione dei

nuclei di potere, per poter acquisire anche prerogative giuridiche, nacque una nuova scienza

del diritto, il diritto canonico, che era fondato su un’organizzazione centralizzata e su una

nuova razionalizzazione delle sfere d’influenza. La situazione presente, poteva essere

orientata solo secondo un’idea di fondo di restaurazione di un qualcosa che già c’era: i

canonisti conferirono ordine razionale a quelle auctoritas che avrebbero dovuto disciplinare il

fedele e guidarlo verso la salvezza attraverso l’utilizzo degli strumenti della tradizione. Essi

usarono un metodo derivato dalla discussione teologica, la ratio, mediante la quale era

possibile conferire omogeneità a una serie di testi apparentemente irrelati: dal piano teologico

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fu impegnata in quello giuridico. Riguardo la stesura del compendio canonico, ritroviamo la

testimonianza di Graziano con la Concordatia discordantium canonum o Decretum. A

partire da questa opera, i decretisti si impegnarono ad aggiungere riflessioni personali: ecco la

palese manifestazione del volontarismo legiferante del pontefice, espressa nella

creazione di un vero e proprio corpus legislativo. Sempre più Papi e vescovi, erano giuristi,

mescolando teoria e prassi: infatti gli stessi soggetti di occupavano di legislazione e nello

stesso tempo si curavano di applicarla nei problemi concreti. La ierocrazia papale (l’essere

solenne e austero), si era ormai affermata rimediando anche le carenze del potere regio come

avvenne, ad esempio in Inghilterra.

In seguito alla morte di Enrico I, nel 1135, scoppiò una crisi dinastica e, gli inglesi chiesero

l’aiuto del pontefice. Innocenzo II, nominò il vescovo di Winchester suo legato e gli affidò il

compito di eleggere un concilio durante il quale venne eletta la figlia di Enrico I (vedova

dell’imperatore Enrico V) Matilde. Nel dare inizio al concilio, il legato pontificio di presentò

come un risolutore del vuoto istituzionale. I conflitti, però, persistettero fino all’elezione di

Enrico il Plantageneto nel 1153, nulla togliendo alla partecipazione attiva

dell’organizzazione ecclesiastica nelle questioni secolari. C’è da sottolineare che non in tutti i

casi, i papi riuscirono a convincere i prelati dell’autorità assoluta ecclesiastica: infatti i più

vicini alle idee moderate di Bernardo di Clairvaux, sostenevano il fatto che la supremazia

papale si dovesse limitare esclusivamente all’ambito sacerdotale. Ci troviamo di fronte ad una

situazione in cui i giudizi sono contrastanti. Tra i grandi canonisti più vicini alle idee moderate

si ricorda Rufino il quale confermò il diritto del pontefice di asserire l’imperatore e di punire

abusi e irregolarità negli affari secolari, ma smentì il fatto che gli si dovesse affidare l’esercizio

concreto del potere. La preoccupazione di Rufino verteva sul fatto che la figura del pontefice

si avvicinasse più all’imperato Costantino che al successore dell’apostolo Pietro: la ierocrazia

era un prodotto dell’applicazione di concetti tradizionali a quello nuovo di supremazia

giurisdizionale sulla cristianità, ovvero gli schemi giuridici e di simboli direttamente derivanti

dall’ideologia universalistica dell’Impero Romano.

Il canonico di Reichersberg, Gerhoh, temeva che la Chiesa Romana si fosse ormai trasformata

in Curia Romana, dove l’espressione curia indica un nucleo governativo, simile a quello

imperiale, fondato sulla figura del Papa e sul contributo del cardinalato. Il cardinalato, prima

formato da cinquanta soggetti e, dopo l’XI secolo da venti, scelti direttamente dal Papa, si

occupava della causae maiores, ovvero delle questioni più importanti come missioni

diplomatiche ed ecclesiastiche in qualità di legati. La cancelleria e la la capella erano altri

due organi che si occupavano dei compiti liturgici non più curati dai cardinali, affaccendati

nelle questioni politiche e amministrative.

La vita clericale stava diventando un vero e proprio cursus honorum, ovvero la scalata alla

piramide gerarchica dell’istituzione ecclesiastica, una vera e propria carriera che da cappellani

di cancelleria, o da suddiaconi, può giungere sino ai più alti gradi e infine alla dignità

pontificia.

L’attività curiale non si limitava alla sola Roma e quando i Papi lasciavano la loro sede per

recarsi in giro per l’Europa, dovevano affidarsi alle famiglie locali per difendere la Curia e i

suoi interessi: si creò nuovamente un ceto aristocratico locale che stava tornando a

controllare le cariche, ma nello stesso tempo, l’attività itinerante della Curia, fece aumentare

esponenzialmente la sua influenza: addirittura furono edificate numerose residenze papali

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
9 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cricetina93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Senatore Francesco.