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Magnanimo che espanse il territorio aragonese fino ai Balcani attraverso forme di governo
diretto con la creazione di quelle regioni di vicereami affidati a funzionari iberici. Questo
progetto, nuovamente disturbava i Genovesi, i Veneziani e i Fiorentini. Alla metà del XV seolo,
l’unità di dominazione meridionale pareva ricostituita ma Alfonso stesso dispose al figlio
Ferrante che pervenisse il regno con capitale in Napoli, separato dal resto degli stati ereditari,
ai quali continuava invece a essere collegato il viceregno di Sicilia. La rottura provocata dal
Vespro, stentava ricostruirsi e la frammentazione del potere in molteplici signorie baronali e le
vive resistenze delle collettività urbane e borghigiane all’invadenza regia e signorile
testimoniano di una società multiforme e vivace per tutto il XIV secolo, non soffocata dalle
dominazioni angioina e aragonese.
• A Napoli
A napoli, alcune famiglie attive sul piano economico si innalzarono socialmente, furono
presto integrate nella nobiltà: non in quella provinciale, ma in quella capitale (nobiltà
dei sedili) da cui si traevano i legisti, gli ufficiali regi, i prelati. Le risorse economiche del
continente e della Sicilia arricchirono mercanti e banchieri dell’Italia
centro-settentrionale e di Catalogna. Alfonso V, dopo la metà del secolo XV, assegnò ai
domini italiani il compito di fornire i prodotti agrari, mentre alle terre e agli uomini della
penisola iberica sarebbe spettata l’attività industriale, mercantile e finanziaria:
d’altronde dopo la conquista di Napoli, la banca catalana si irrobustì notevolmente, ed
Alfonso V non dovette più ricorrere ai suoi finanziatori fiorentini.
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La consapevolezza politica ed economica del re d’Aragona, conteneva livelli di progettualità
sconosciuti agli spontanei processi economico-sociali e alle libere sperimentazioni
politico-istituzionali che avevano caratterizzato la vita dell’Europa occidentale nei secoli
precedenti. A Napoli, Alfonso V si circondò di collaboratori catalani, aragonesi e valenziani,
come iberici furono i viceré e i funzionari periferici. L’amministrazione centrale e periferica del
regno di Napoli non ridusse il potere dei baroni, le cui autonomie furono talvolta accresciute:
ne derivò un fragile equilibrio più volte rotto nel corso del secolo XV da rivolte baronali, da
non sopite pretese angioine e francesi sul regno e da insurrezioni popolari, che esplodevano
quando la fiscalità regia e l’esosità signorile in congiuntura con una sfavorevole situazione
economica diventavano intollerabili.
- Gli stati regionali dell’Italia centro-settentrionale: dall’equilibrio alla crisi della libertà italiana
L’impresa napoletana di Alfonso V Il Magnanimo fu possibile anche grazie al ruolo giocato da
Filippo Maria Visconti, duca di Milano: il progetto verteva ad un inquadramento politico
della penisola italiana in due grandi aree, quella centro-settentrionale dominata dai Visconti e
quella meridionale dal re
aragonese. Stabilitosi a
Napoli, Alfonso tendeva ad
indebolire genovesi,
fiorentini e veneziani ma gli
anni venti e trenta del XV
secolo videro rinnovarsi lo
scontro tra il ducato di
Milano e la repubblica
veneziana, alla quale si
appoggiava Firenze, guidata
dalla figura di Cosimo de’
Medici.
La Pace di Lodi del 1454,
tra Milano e Venezia, fu
garantita dalla Lega italica
del 1455 tra le maggiori
potenze: il regno di Napoli,
il papato, la Repubblica di
Firenze, il ducato di Milano
e la Repubblica di Venezia:
dei veri e propri stati
regionali.
La pace di Lodi stabilizzò la
carta geo-politica d’Italia,
che, pur con alcune
variazioni, grosso modo
rimase tale alla metà del XV
secolo al XVIII. Dalla pace di
Lodi e dalla Lega italica,
l’equilibrio delle forze
derivava dal definirsi di
aree di potere e di centri
politici italiani in grado di
bilanciarsi in un rapporto di
complessiva interdipendenza tra cinque potenze. Questo equilibrio concludeva un conflitto
generale in cui ogni potenza voleva prevalere sulle altre; adesso l’Italia si definisce in modo
più stabile nel quadro europeo.
Mentre nel Mezzogiorno si era mantenuto un assetto “unitario” nonostante le autonomie
baronali, nell’Italia centro-settentrionale la coordinazione regionale avvenne in maniera
diversa.
• I Savoia 8
La regione subalpina era dominata dalla potenza della dinastia dei Savoia, nata come
forza autonoma che pian piano aveva subordinato a sé signori laici ed ecclesiastici
espandendosi fino a Nizza nel 1388. Nel 1416, Amedeo VIII (che poi divenne papa Felice
V nel 1439) ottenne il titolo di duca dal re Sigismondo ed emanò una riforma per
consolidare i suoi poteri.
• I Visconti
Dopo la crisi del Trecento, i Visconti acquistavano via via altre città Padane. La potenza
dei Visconti si fondava essenzialmente (XIV secolo) sulla signoria di Milano collegata ai
centri urbani di altre città padane. Il saldo controllo delle città garantiva la
coordinazione dei territori e i Visconti lo facevano sovrapponendosi alla situazione
istituzionale esistente. In ogni caso, essi dimostrarono cautela nei confronti dei
particolarismi signorili infatti le
tradizionali autonomie erano
mantenute in cambio del
riconoscimento della
supremazia territoriale
viscontea.
Dall’XI al XV secolo, si è ben
osservato come le infeudazioni
erano un mezzo di
ricomposizione territoriale
nell’integrare all’interno dello
stato regionale i particolarismi
signorili rurali.
Gian Galeazzo Visconti,
riuscì a dominare in modo
continuo i territori della
dominazione milanese istituendo nuovi organismi all’interno del ducato. Inoltre, più
frequente fu il ricorso ad investiture feudali, che rispondeva all’esigenza di imbrigliare
all’interno dell’armatura amministrativa e istituzionale, il particolarismo signorile che
cercava protezione dal principe in quanto aumentava le possibilità di mantenere le
proprie autonomie. Ciò, però, comportava anche la perdita dell’indipendenza
soprattutto per i centri urbani di riconquistare l’antica “libertà” appena se ne offrisse
l’occasione. Quest’ultima venne concessa alla morte di Gian Galeazzo, nel 1402,
quando il ducato di Milano si decompose nel periodo di transizione dai Visconti agli
Sforza.
Quando Filippo Maria Visconti, morì nel 1445, fu emanata la Repubblica Ambrosiana,
dal consiglio dei novecento di Milano ma essa, venne ostacolata dalla ripresa delle
agitazioni interne e dalla difficoltà di difendersi dalle altre potenze. Cosicché si fece
ricorso alla potenza militare di Francesco Sforza, marito della figlia dell’ultimo dei
Visconti; egli era un homo novus, un condottiero.
∼ L’esercito
Per quanto riguarda la composizione dell’esercito, in tutte le potenze italiane, si passò
dalla milizia cittadina alle truppe professionali (già dagli inizi del XII secolo). Negli ultimi
anni del Trecento, prevalsero mercenari stranieri, poi il reclutamento di condottieri e
truppe di guerra era affidato a professionisti assunti a contratto (la condotta) e le
battaglie erano combattute prevalentemente da stipendiari. A partire dalla metà del XV
secolo, le grandi potenze cominciarono a tenere con regolarità truppe direttamente
dipendenti dallo Stato: erano i primi annunci della futura costituzione di eserciti
permanenti.
• I Gonzaga (Mantova): Gian Francesco Gonzaga, signore di Mantova, fu uno dei
primi italiani a svolgere il ruolo di condottiero, prima sotto la repubblica veneziana e poi
sotto Filippo Maria Visconti. I suoi servizi erano pagati oltre che con il denaro, anche con
importanti possedimenti territoriali. Nel 1433 fu intitolato marchese dal re Sigismondo. I
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Gonzaga erano subentrati con un colpo di mano nel 1327 ai Bonaccorsi e riuscirono a
mantenere la loro stabilità anche grazie all’alleanza alternata con Milano e Venezia.
• Firenze
Tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV, la Repubblica fiorentina conquistò Arezzo,
Pisa, Cortona e Livorno. Firenze, a differenza dei Visconti, elimina, appena possibile,
ogni forma di potere mediato: i poteri signorili sono sostituiti con il governo diretto di
funzionari della Repubblica e città e contadi entrano a far parte del più vasto e
uniforme “territorio e contado” di Firenze. L’autonomia giurisdizionale delle città
dominate viene frantumata ulteriormente e le comunità rurali sono disciplinate in
organismi federativi coincidenti territorialmente con le nuove aree amministrative. Il
margine di autonomia appare, dunque, come elemento di partecipazione alla vita dello
stato: la repubblica fiorentina stimola questa partecipazione soprattutto nelle zone in
cui il dinamismo socio-politico risultava soffocato dalla anteriori dominazioni cittadine.
Altrove, invece è costretta a contenerla, dove le diverse comunità dal punto di vista
giuridico risulta difficile l’ordinata distribuzione dell’intreccio delle giurisdizioni statali e
locali.
Dunque, Firenze lascia talune autonomie alle comunità rurali e cittadine ma non accetta
compromessi con i poteri signorili.
Gli Estensi (Ferrara): A differenza di Firenze, la dominazione estense, che si
estendeva dalla foce del Po alla Garfagnana, incontrò nuclei signorili di notevole
robustezza; alcune famiglie aristocratiche, addirittura, avevano staccato le loro
terre, rivendicando piena autonomia dai marchesi d’Este.
• Espansione di Venezia
la Repubblica veneziana, non soltanto rispettò le autonomie signorili, ma le riconobbe
anche attraverso l’infeudazione. Nel 1435, Venezia ebbe il vicariato imperiale dal re
Sigismondo, così da legittimare il dominio di “terraferma” e la dipendenza dei feudatari
“imperiali”. L’intolleranza di presenze di forti nuclei di potere nel territorio, portò la
repubblica ad intraprendere iniziative centralizzatrici per sgretolare le autonomie
feudali e signorili.
Genova: i grandi casati sono al tempo stesso le forze più attive della politica della
città e i possessori di signorie. L’ordinamento del territorio ne risulta condizionato in
quanto a coerenza e uniformità.
• Dominazione pontificia
Avignone, non riuscì ad imporsi in modo pressante sulle autonomie non solo delle zone
laziali ma anche in Umbria, Marche, e Romagna. La figura di Cola di Rienzo è
peculiare poiché, riuscì ad occupare il Campidoglio nel 1347 con il supporto di milizie
popolari e divenne signore di Roma