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SITUAZIONE RESA PRECARIA DALL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE FASCISTISSIMA,

ERETTA SU PRINCIPI quali il senso massimo di responsabilità e la supremazia della

libertà dello Stato rispetto a quelli dei cittadini. I cardini della legge erano due articoli

che rispettivamente prevedevano la creazione della figura del direttore responsabile

che doveva ricevere il riconoscimento del procuratore generale presso le Corti

d’Appello e l’istituzione dell’Albo dei giornalisti, gestito dal Sindacato fascista,

vincolante per esercitare la professione, la cui iscrizione era subordinata ad un

certificato di buona condotta politica.

Nel corso del 1926 i fogli dell’opposizione furono sottoposti a sequestri ed

intimidazioni. Ogni attentato contro Mussolini era un pretesto per assalire le loro sedi.

Il terzo ed ultimo attentato a Mussolini venne usato come scusa per mettere tutti a

tacere una volta per tutte: la sera stesa dell’attentato, il Ministro dell’Interno

Federzoni, ordinò ai prefetti di sospendere per misura di ordine pubblico e fino a nuovo

avviso, tutti i giornali di opposizione. Gli squadristi si scatenarono in diverse città. Il 5

novembre dello stesso anno, il governo decretò lo scioglimento di tutti i partiti di

opposizione e la soppressione di tutti i giornali avversi al fascismo. Vennero dichiarati

decaduti i 120 deputati dell’Aventino. Il 21 novembre venne approvata la legge per la

difesa dello Stato che introduceva la pena di morte.

Capitolo 6: Stampa e radio nel regime fascista

6.1 La fascistizzazione integrale

Rispetto alla scelte compiute da Mussolini circa il problema della stampa, sono due gli

aspetti più importanti da considerare: il modo con cui egli decise di procedere alla

fascistizzazione dei maggiori quotidiani convertiti all’obbedienza e gli strumenti

utilizzati per indottrinarli ed inserirli nella macchina dell’organizzazione del consenso

senza farne dei giornali di stato. I veri fiduciari di Mussolini e del regime erano i

direttori responsabili dei giornali, mentre poco gli importava delle proprietà (che

d’altra parte erano già quasi tutte allineate). Di conseguenza i passaggi di mano

avvennero da quel momento in poi solo se situazioni estreme lo richiedevano. Inoltre,

egli non intendeva perdere ma anzi sfruttare il prestigio e la diffusione delle testate

più importanti in Italia e all’estero e di conseguenza utilizzò una tattica morbida prima

con IL “Corriere” e poi con “La Stampa”, chiedendo loro momentaneamente solo la

fascistizzazione della parte politica. Questo d’altronde era parte della sua strategia

per durare: mantenere ed accrescere l’appoggio della Monarchia, della Chiesa, del

ceto imprenditoriale e della casta militare (in questa direzione si devono leggere ad

esempio l’allontanamento di Farinacci dal Pnf, lo smorzamento di toni delle frange

estremiste del partito e la maggiore importanza data ai prefetti piuttosto che ai

segretari delle Federazioni provinciali fasciste). Il Consigliere ed il factotum di

Mussolini in campo giornalistico era il fratello Arnaldo, il quale manteneva rapporti con

il mondo degli affari, quello editoriale e nello stesso tempo teneva a bada Farinacci.

Invece interprete ed esecutore era il segretario del Pnf dal 1926, Augusto Turati.

Nel giro di tre anni, alla direzione del “Corriere” si susseguirono tre diversi direttori che

determinarono tutti un ulteriore passo in avanti verso il fascismo, del giornale. Il primo

fu Pietro Croci, indicato dallo stesso Albertini, che nutriva ancora qualche speranza che

non tutto fosse perduto, ma non durò a lungo. Il secondo, Ugo Ojetti, fu designato

dallo stesso Mussolini per aver dimostrato lealtà al fascismo e nello stesso tempo

perché avrebbe garantito una continuità delle tradizioni del giornale. Tuttavia, egli non

fascistizzò il “Corriere”, tanto quanto Mussolini avrebbe voluto, ma inizialmente

quest’ultimo decise di essere indulgente e di lasciarlo alla direzione. Quando ottenne il

suo scopo ossia quello di mantenere un uguale standard di copie vendute, lo sostituì

(ma lo fece rimanere come principale collaboratore del “Corriere”) con Maffio Maffiii,

direttore della “Gazzetta del Popolo” ed ex dipendente del suo ufficio stampa.

Si chiuse nello stesso periodo la storia de “Il Secolo”, perché tutti i tentativi di rilancio

di Arnaldo M. erano falliti, quindi questo venne accomunato alla testata della “Sera”,

in una nuova azienda editoriale che comprendeva anche “L’Ambrosiano” ed era

controllata dallo stesso Arnaldo.

Più difficile era il problema della “Stampa”, del momento che Frassati possedeva

ancora le quote di maggioranza. Tuttavia la sospensione delle pubblicazioni dopo

l’attentato di Bologna e le pressioni dei capi del fascismo torinese accelerarono la

situazione. Nel novembre del 1926 il giornale uscì con un nuovo direttore (Andrea

Torre) edito da una nuova società controllata dalla Fiat. Mussolini fu anche sempre

molto attento alle esigenze di Agnelli.

“La Gazzetta del Popolo”, ora di proprietà di una società idroelettrica piemontese

venne fatta dirigere dal segretario del Sindacato fascista Amicucci. Al “Giornale

d’Italia”, venne designato Virginio Gayda, già direttore de “il Messaggero” e sotto di lui

il giornale tornò a ricoprire il ruolo di portavoce ufficioso del ministero degli Esteri.

I Perrone che erano rimasti in disparte, in quanto Mussolini non li aveva favoriti nella

soluzione del problema dell’Ansaldo, affidarono la direzione del “Messaggero”, al loro

uomo di fiducia, P.G. Breschi. “La Tribuna” assorbì “Idea Nazionale” e venne diretta da

Roberto Forges Davanzanti. Talamini a Venezia poté riprendere le edizioni del

“Gazzettino”.

I casi più spinosi restavano quelli de “Il Resto del Carlino” e del “Mattino”, a causa

delle rivalità fra fazioni fasciste. Per quanto riguarda il primo, nel 1927 venne ceduto

da Agnelli a Leandro Arpinati, segretario del fascio, ma non si placarono le lotte interne

in quanto Arpinati avrebbe voluto alla direzione Mario Missiroli, mentre Mussolini non

fidandosi di lui del tutto si oppose e designò come direttore Pini, ex direttore

dell’”Assalto”. Il secondo era invece conteso fra gli eredi di Scarfoglio, le fazioni del

fascismo napoletano e la segreteria nazionale del Pnf. Mussolini voleva liberarsi sia

degli Scarfoglio che dei Ras locali e raggiunse l’obiettivo quando nel 1930 accollò al

Banco di Napoli sia la proprietà del “Mattino” che del “Roma”.

Per ciò che concerne gli interventi sulla stampa provinciale, gli interventi furono più

sbrigativi, nonostante qualche opposizione da parte degli editori, non perché non

aderenti al regime ma per non perdere le proprie posizioni di potere. Alcuni vennero

chiusi, altri inglobati nel foglio fascista locale, altri ancora vennero invece fondati nelle

zone di confine (Trento, Trieste, Bolzano). Caso particolare fu quello del “Lavoro” di

Genova, diretto da Canepa che aveva come collaboratore principale Ansaldo. Esso

venne fatto uscire di nuovo senza pretendere passaggi di proprietà o di indirizzo per

dare una parvenza di tolleranza agli ex dirigenti della Confederazione generale del

lavoro ed all’organizzazione internazionale del lavoro. Lo stesso Ansaldo che era stato

in carcere per aver tentato un espatrio clandestino, e poi al confino, fu riammesso per

aver accettato il fatto compiuto ma non poté mai firmare.

Molto moderato fu l’atteggiamento verso la stampa cattolica, a parte qualche

intervento dei ras fascisti in alcune città. Nel 1929 chiuse “Il Momento”, ma quello

stesso anno ci fu la conciliazione fra Stato e Chiesa e tutti i restanti giornali cattolici si

allinearono.

Nel settore dei giornali fascistissimi continuavano ad andare forte “Regime Fascista” e

“Corriere Padano”, mentre a Roma ad esercitare un’azione di punta nei circoli fascisti

erano “L’Impero” ed “Il Tevere”, che non conquistarono mai un pubblico vasto. Il foglio

del Sindacato fascista “Il Lavoro d’Italia”, poi “Il Lavoro fascista”, venne praticamente

disarmato dalla posizione di subordinazione in cui Mussolini mise i sindacati stessi. A

dare ordine al pullulare dei giornaletti personali o di fazione intervenne Turati,

chiudendo alcuni fogli o sottoponendo alla propria autorizzazione le nuove testate e

poi Mussolini stesso, che bloccò il numero dei quotidiani possibili a 70. In questo modo

Mussolini volle favorire il proprio giornale ed alcune testate più deboli, riducendo la

potenza dei fogli più ricchi.

I quotidiani dell’ultimo scorcio degli anni Venti apparivano ancora modesti e solo pochi

raggiungevano considerevoli tirature. Il divario editoriale e tecnico fra la stampa

italiana e quello dei paesi industrializzati aumentava sempre di più.

Lo strumento principale di sorveglianza e di direzione rimaneva l’Ufficio stampa che

Mussolini aveva potenziato fin dal 1925 unificando insieme quello della presidenza del

Consiglio e quello dell’Interno. Da questo ufficio partivano i dispacci telegrafici ai

prefetti perché intervenissero presso i direttori dei quotidiani. Questi aumentarono dal

1926 in poi così come aumentarono i fondi segreti volti a sovvenzionare giornali e

giornalisti. L’obiettivo degli interventi era duplice: cancellare o minimizzare quanto di

nocivo poteva esserci verso il duce ed esaltare o addolcire le notizie e riguardavano

gli argomenti più disparati, dalla costruzione del mito del Duce, alle questioni politiche,

alla cronaca nera (sulla quale Mussolini, spalleggiato dal fratello puntava molto).

L’Agenzia Stefani era stata posta dal 1924 sotto il comando del fidato Manlio Morgagni

ed era divenuto un altro strumento di omogeneizzazione politica, in quanto i fogli che

non potevano contare su corrispondenze particolari sia dall’Estero che dall’Italia erano

costretti a ricorrere ai dispacci di questa agenzia e poi perché lo stesso Ufficio Stampa

ordinava di servirsi dell’agenzia per le notizie riguardanti Mussolini, le decisioni del

governo ed i fatti politici più delicati. Di conseguenza la Stefani passo dallo stato di

ufficiosità a quello di ufficialità. Tra il 1927 ed il 1928 venne istituita

l’irreggimentazione legale dei giornalisti con il via ufficiale al Sindacato fascista, a cui

era possibile iscriversi solo se si era aderenti al Pnf e se si era data prova di fedeltà al

Regime, e con l’istituzione dell’Albo (gestito dal Sindacato e sorvegliato dal ministero

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A.A. 2011-2012
73 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Silviettaboa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dei media e del giornalismo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Forno Mauro.