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Il Governatore dell'Eritrea Cerrina Ferroni
Il Governatore dell'Eritrea Cerrina Ferroni, in una missiva inviata al Ministero delle Colonie, sottolineò il pericolo che gli ascari schierati in Libia potessero interrogarsi sul perché, pur essendo sudditi della stessa Nazione, i libici fossero trattati in maniera diversa dai colonizzatori. Anche il colonnello Dusnasi si soffermò sul problema, proponendo l'assiduo governo disciplinare come antidoto all'indebolimento delle virtù guerriere degli ascari, che tornavano dalla Libia imbevuti di vanità, lassismo e soprattutto idee moderne sui diritti civili e politici.
Battaglioni misti
Gli italiani scelsero l'impiego di battaglioni misti, composti principalmente da indigeni nati oltre confine. Questa scelta fece emergere quelli che saranno gli elementi di preoccupazione fino alla guerra d'Etiopia: un'aliquota di congedati istruiti minore delle esigenze della Milizia Mobile, l'inizio di un processo di inurbamento da parte
degli indigeni non sudditi ad Asmara; il rischio di addestrare uomini d'oltre confine che potenzialmente potevano trasformarsi in nemici, soprattutto gli etiopici. Sembrava infatti che dal 1932 gli ascari etiopici di ritorno dalla Libia venissero arruolati dai vari Ras. Con il Regolamento del 1893, l'amministrazione italiana decise quindi di affidare l'Artiglieria ai Sudanesi, perché robusti e soprattutto di stirpe estranea e ostile agli abissini. Anche durante il conflitto italo-etiopico il principio di assegnare i musulmani ai reparti mitraglieri e di artiglieria continuò ad essere osservato. Questo aspetto del reclutamento suggerisce come i comandi italiani nutrissero dubbi sull'affidabilità dei cristiani dell'altopiano, che pure rappresentarono la maggioranza delle truppe eritree. Per venire incontro alle necessità delle popolazioni eritree danneggiate dall'invasione delle cavallette nel 1927, il Governatorato accettò un
numero di arruolamenti molto superiore ai bisogni reali; il maggiore afflusso di eritrei alle armi alterò la composizione dei battaglioni misti in loro favore. La guerra d'Etiopia modificò ulteriormente la composizione dei reparti indigeni: già agli inizi del 1936 furono attivati centri di reclutamento ad Adua per accettare le richieste di volontari che avessero già prestato servizio in Libia e che fossero nativi delle regioni etiopiche fino allora occupate. I battaglioni riunivano insieme cristiani e musulmani, eritrei, somali, etiopici e sudanesi, senza distinzioni.
Il fuoriuscitismo eritreo ed etiopico
Un altro fenomeno che si profila negli anni Trenta è quello del fuoriuscitismo eritreo: esemplare è il caso di due ascari che, salutando cordialmente il loro ufficiale in ricordo del servizio prestato insieme in Libia, annunciarono di volersi mettere al servizio dell'Etiopia a causa del cattivo trattamento ricevuto dal proprio residente; si
suddivisi in due classi, quella degli ufficiali italiani e quella degli ufficiali indigeni. Questa politica di discriminazione e sottomissione contribuì a creare un clima di insoddisfazione tra gli ascari abissini, che spesso si sentivano trattati come cittadini di seconda classe. Nonostante ciò, non possiamo negare che molti ascari abissini si arruolarono volontariamente nel Regio Corpo, spinti da motivazioni diverse come la ricerca di un lavoro stabile, la possibilità di migliorare la propria condizione sociale o la fedeltà verso il proprio capo tribù. Tuttavia, è importante sottolineare che la maggior parte degli ascari abissini non aveva una reale consapevolezza delle dinamiche politiche e coloniali in atto, e spesso venivano sfruttati e manipolati dal potere coloniale italiano. In conclusione, l'atteggiamento degli ascari abissini durante il periodo coloniale italiano in Etiopia è un argomento complesso e controverso. Mentre alcuni di loro si ribellarono e cercarono di favorire la diserzione e gli sconfinamenti, molti altri si arruolarono volontariamente o furono costretti a farlo. La discriminazione e la sottomissione subite dagli ascari abissini contribuirono a creare un clima di insoddisfazione e tensione, ma è importante considerare anche il contesto storico e politico in cui si inserivano.indigeni. L'Armata Nera La trasformazione del processo di reclutamento, innescato con la guerra d'Etiopia, diede un ulteriore impulso al progetto mussoliniano di creare un'Armata Nera, un grande esercito coloniale di 300.000 indigeni da preparare e addestrare entro il 1940. Il progetto prevedeva due fasi: la prima, da concludersi alla fine del 1937, si basava sull'arruolamento volontario e sullo chietà solo nel caso di urgente mobilitazione; la seconda fase, da concludersi nel 1940, continuava a prevedere il reclutamento volontario ma con l'introduzione graduale dell'obbligatorietà del servizio. Tale modalità avrebbe permesso in tre anni di quadruplicare le forze. Osservando la difficoltà nell'imporre da subito l'obbligatorietà del servizio nei territori di recente conquista, Rodolfo Graziani suggerì l'inserimento in ciascuna unità coloniale di una banda a servizio saltuario; ciò consentivaagli indigeni di tornare al lavoro agricolo e di essere comunque pronti al richiamo delle armi in qualsiasi contingenza. Il sistema delle bande avrebbe permesso anche di imporre il principio per il quale nessun indigeno maggiorenne e idoneo poteva aspettarsi qualcosa dallo Stato senza prima diventare un ascaro. Approvando pienamente il lavoro svolto, il Duce diede disposizioni perché l'Armata Nera avesse dei buoni quadri e soprattutto insistette sulla necessità di completa autonomia dell'Impero rispetto alla Madrepatria. Il progetto dell'Armata Nera alla fine fu accantonato, probabilmente a causa dello scontro tra amministrazione coloniale, esercito e PNF. Nel 1939 si avviò lo studio per un nuovo ordinamento delle forze militari dell'AOI che prevedeva circa 180.000 ascari. Shiftà e prigionieri Fino al 1939 l'Etiopia fu teatro di duri scontri fra le forze italiane e la resistenza etiopica e le truppe indigene assolsero un ruolo fondamentale.nelle operazioni di contro-guerriglia, tornando al loro tradizionale impiego di piccole unità veloci e letali. I loro nemici erano gli shiftà, ibanditi: per gli italiani erano indistintamente shifta sia il partigiano che il predone. Fu una guerra spietata, dove il ribelle catturato era subito passato per le armi; il generale Guglielmo Nasi emanò un'apposita circolare con la quale ordinava di tradurre i prigionieri nei campi di concentramento anziché fucilarli sul posto. La vicenda dei prigionieri eritrei della Seconda Guerra Mondiale è invece un aspetto trascurato dagli studiosi ed è raro trovare accenni alle vicende umane degli ascari catturati: chi aveva del denaro poteva tornare a casa, gli altri venivano rinchiusi in aree recintate col filo spinato; là si difesero dagli assalti degli gnam gnam, i sudditi coloniali inglesi, che tentavano di derubarli. Il razzismo coloniale fascista Uno degli elementi più qualificantidella popolazione italiana un sentimento di superiorità e discriminazione nei confronti delle persone di colore. Questo atteggiamento razzista si manifestò anche attraverso l'istituzione di scuole separate per gli italiani e per gli indigeni, la segregazione nei trasporti pubblici e l'esclusione dalle attività sociali. La politica razziale italiana in Eritrea fu parte integrante del progetto coloniale fascista, che mirava a sottomettere e controllare le popolazioni indigene. Questo modello di società separata e discriminante ha avuto un impatto significativo sulla vita quotidiana degli eritrei, limitando le loro libertà e opportunità. È importante sottolineare che non tutti gli italiani in Eritrea condividevano gli stessi sentimenti razzisti. Alcuni individui si opposero attivamente alla politica razziale del regime fascista e cercarono di promuovere una convivenza pacifica e rispettosa tra le diverse etnie presenti nel territorio colonizzato. Tuttavia, il razzismo e la discriminazione razziale rimasero una caratteristica predominante dell'esperienza coloniale italiana in Eritrea nel periodo compreso tra il 1934 e il 1941. Questo aspetto oscuro della storia coloniale italiana è stato oggetto di dibattito e riflessione negli anni successivi, contribuendo a una maggiore consapevolezza e comprensione delle ingiustizie perpetrate durante quel periodo.della società eritrea un processo di elaborazione politica per cui l'unica opzione era la fine della presenza coloniale italiana. Le specializzazioni La presenza di un esercito moderno in colonia introdusse l'innovazione tecnologica. Anche se la maggioranza degli ascari faceva parte dei battaglioni di fanteria, una ridotta aliquota ebbe accesso ai corsi di specializzazione i cui principali beneficiari erano gli appartenenti all'Artiglieria e al Genio. Nel 1922 il Servizio Genio diventò Comando Genio con una compagnia di indigeni zappatori, telegrafisti, radiotelegrafisti e automobilisti; tale composizione restò immutata fino al 1932. Nel 1922 l'Artiglieria disponeva di quasi mille soldati indigeni e le specializzazioni erano diversificate: coloro che utilizzavano l'arma, gli addetti alle trasmissioni, al trasporto dei pezzi e delle munizioni, esploratori e riparatori. Verso la fine degli anni Venti la necessità di creare degli specialisti.Iniziò a farsi pressante e nel 1927 si tennero due gare svolte dai reparti di Artiglieria, una relativa alla velocità di mettere in batteria i pezzi e l'altra relativa alla velocità di messa in stazione e all'esattezza di trasmissione e ricezione degli eliografisti. Lo stesso anno si costituì l'Ufficio Tiro e un Nucleo Specialisti indigeni.
Fessahezie Beienè Nato a Cheren, probabilmente di religione cristiana e già ascaro, arriva in Italia nel 1921 come autista della famiglia Montenero. In quella casa contrae una relazione intima con Girolama Ricucci e nel 1923 fa ritorno in Eritrea, impossibile dire se per sua volontà oppure obbligato. Nel 1924 nasce suo figlio Claudio. Nel 1927 è di nuovo in Italia come accompagnatore degli allievi piloti yemeniti e l'anno seguente consegue egli stesso il brevetto da pilota militare. Nel 1931 viene trasferito non nella sezione aeronautica del RCTC in Eritrea, ma in Somalia addetto.
al Comando, di cui rimarrà effettivo fino al 1936.Claudio era stato riconosciuto dalla madre ed era diventato cittadino italiano, ma nel frattempo sia lei che Beienè si erano sposati e avevano avuto ciascuno altri figli. Claudio, figlio della colpa e meticcio, era fonte di estremo imbarazzo. Girolama acconsentì quindi perché il padre lo portasse in colonia; non lo riconobbe come suo, in quanto un suddito coloniale non poteva riconoscere un figlio cittadino, ma lo nominò erede e si impegnò a fargli continuare gli studi. Nel 1937 gli fu concesso l’autorizzazione a recarsi in Somalia e gli fu proibito di rimettere piede in Italia. Nonostante i grandi servigi resi allo Stato, testimoniati da un rapporto del generale Luigi Frusci, non godette di alcun canale preferenziale.Nel 1940 il Ministero dell’Africa Italiana torna ad occuparsi della faccenda: il governatore della Somalia, Caroselli, denuncia al ministro Teruzzi non solo il comportamento
inappopriato delragazzo, ma suggerisce anche che Claudio, essendo cittadino meticcio, è da considerare dirazza ariana e quindi impossibilitato a vivere con il