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La tradizione letteraria antica ci dà notizia di generi di documenti a carattere crittografico.
Nella Vita di Lisandro Plutarco parla di una comunicazione crittografata avvenuta tra il
generale spartano Lisandro e gli efori. Svetonio svela il non complicato metodo
crittografico usato da Cesare nelle lettere inviate ai suoi intimi. Ma il caso di Cesare è del
tutto anomalo in quanto tale tipo di documenti sono pressoché andati perduti
integralmente; una grave perdita, essi infatti ci avrebbe potuto far capire molto di quella
storia vera che R. Syme chiama la "storia segreta".
V I falsi documenti
Non bisogna "feticizzare" il documento, esso, infatti, può anche essere falso. Dopo
l'incendio dell'acropoli e la distruzione di tutti i documenti d'archivio li conservati attuato dai
Persiani (480 a.C.), la ricostruzione dei fatti precedenti tale data fu del tutto fumosa e
dubbiosa. Le "leggi di Solone", per esempio, quando furono ricostruite? Forse subito dopo
l'incendio, per ridare fondamento alle istituzioni; esse restarono comunque soggette a
dubbi e confusioni da quel momento in poi. Stesso discorso valga per le "leggi di Clistene".
Anche il IV secolo a.C. fu un secolo di falsi. Nel 1960 fu pubblicato il cosiddetto " decreto
di Temistocle" in cui si organizzava lo spostamento degli Ateniesi a Trezene e Salamina e
si allestiva la flotta che doveva scontrarsi con i Persiani. Poco tempo dopo la sua
pubblicazione, il "decreto" si rivelò essere un falso di IV secolo a.C., elaborato per fini
politici volti alla celebrazione del panellenismo in occasione della creazione della seconda
lega navale (378). Lo stile celebrativo e nostalgico nei confronti del "sano" panellenismo
delle guerre persiane è un tratto comune a molti documenti falsi elaborati in tale periodo.
Demostene farà uso proprio di un documento falso nel corso della sua Terza filippica al
fine di rivolgere contro la potenza macedone quello stesso spirito patriottico e panellenico
che aveva animato le guerre contro i Persiani.
VI La "scuola" dei falsi
Le scuole greche di oratoria furono spesso fonte di documenti falsi, come quelli utilizzati
nel discorso di Demostene Per la corona. Tali documenti costituivano il corredo che
serviva, in sede giudiziaria, a fondare e arricchire le orazioni. Costruiti secondo modelli
piuttosto abili, essi furono smascherati come falsi all'inizio del secolo scorso.
VII La tutela degli archivi
Ma falso non era solo il documento inventato o ricostruito con i materiali disponibili, esso
era anche quello che veniva intenzionalmente modificato. Una legge sugli archivi dell'isola
di Paro (ca 150 a.C.) comminava pesanti pene per chiunque modificasse con aggiunte o
scalpellature i documenti esposti; l'eventuale verifica dell'autenticità del documento
epigrafico veniva attuata tramite il confronto con gli originali su papiro in archivio. Tale
reato doveva essere frequente se vi era una specifica legislazione a proibirlo. Una delle
falsificazioni possibili avveniva quando, per esempio, persone non appartenenti alla
cittadinanza ateniese ponevano abusivamente il proprio nome nelle liste di cittadinanza
della città, reato, questo, considerato gravissimo.
VIII Storici e antiquari alle prese con l'archivio
Tuttavia, l'uso e la creazione di documenti falsi nel IV secolo è una spia della maggiore
considerazione progressivamente data al documento. Proprio in tale secolo, presso il
Liceo aristotelico d'Atene comincia una raccolta di vari documenti di carattere storico-
politico ma anche teatrale, come per esempio le decine e decine di costituzioni di città
greche e barbare. Tale ricerca, però, resta volta a usi più che altro antiquari più che
storiografici. La storiografia per parte sua, fa un uso ancora molto scarso del documento,
sentito spesso come stilisticamente "brutto" in un testo; gli storici di età classica e Polibio
sono un'eccezione a tale regola. Col tempo, in età romana, l'uso fecondo e frequente del
documento diverrà fondamentale per gli storici; è allora che le loro strade si divideranno da
quelle dei biografi.
Ma quanto ci è rimasto delle opere degli storici antichi? Praticamente una piccolissima
parte se pensiamo ai frammenti che ci sono rimasti di innumerevoli opere e gli autori di cui
non abbiamo assolutamente nessun lavoro a parte il nome degli stessi: si pensi a gravi
perdite di opere storiografiche come quelle di Posidonio di Apamea, di Asinio Pollione o di
Cratero il Macedone, oppure l'intera raccolta delle Costituzioni portata avanti da Aristotele
e i suoi discepoli, di cui ci resta solo la Costituzione degli ateniesi.
IX Del buon uso del documento
Per quanto riguarda l'opera di Tucidide, egli utilizzò ben dieci documenti in extenso, per
uno di essi noi possediamo persino il relativo e identico documento epigrafico. E' evidente
che per quanto riguarda l'opera di Tucidide, noi ci troviamo di fronte ad un testo organico,
in cui fu attuata una selezione di documenti precedente la stesura dell'opera. Non così fu
per il lavoro di Senofonte, il quale sia nella sua opera memorialistica (Anabasi) sia in
quella storiografica (Elleniche) utilizza un "io narrante", e quindi l'integrazione
documentaria la può fruttuosamente integrare.
A titolo di esempio, nelle Elleniche , manca del tutto il racconto di un fatto importante che
ci è invece attestato da un documento epigrafico conservato ad Atene. Esso è un
bassorilievo in cui è trascritto un decreto che in realtà comprende anche due decreti
precedenti sulla stessa materia. Il decreto risale al 405 a.C., in un momento critico per
Atene, cioè dopo la disfatta di Egospotami; per questo Atene decise di elargire la
cittadinanza a tutti i Sami "che si erano schierati con il popolo di Atene", cercando un
estremo rafforzamento della propria posizione. Le cose si complicano un po' in quanto noi
non possediamo il documento del 405 ma uno di due anni dopo in cui la situazione era del
tutto cambiata, poiché la guerra era finita come pure il governo ultra-oligarchico dei Trenta
tiranni; ora che essi sono caduti, l'assemblea popolare su proposta di Cesisofonte volle
riconfermare il precedente decreto che i Trenta avevano evidentemente abolito. Abbiamo
così arricchito di un nuovo contributo conoscitivo un periodo di storia così importante come
la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.)
X La cittadinanza bene supremo
Gelosissima del diritto di cittadinanza fin dai tempi di Solone, in cui la distinzione tra
cittadini (liberi e uguali) e schiavi (non-liberi) fu molto chiara, Atene fu sempre molto restia
a concedere tale diritto; esso spesso era concesso in via individuale per grandi servigi resi
alla città dagli stranieri. Si capisce come il decreto su citato riguardo la concessione di
cittadinanza ai Sami sia, quindi, qualcosa di molto straordinario. Sparta seguì una politica
del tutto simile, cultrice di un diritto alla cittadinanza per via sanguigna, essa la concesse
in via eccezionale ai Messeni in rivolta nel VII secolo. E' tale chiusura, così lontana
dall'apertura di Roma che, nell'opera di Tacito, l'imperatore Claudio condannerà come
causa delle decadenza delle due città.
XI "Internazionalismo antico"
Ma la concessione fatta ai Sami valeva, è bene dirlo, solo per i democratici che tra essi si
sarebbero schierati con Atene in pericolo. La lotta tra fazioni oligarca e democratica portò
spesso e volentieri a cercare "agganci" internazionali con città straniere o attuare decreti
così straordinari come quello di Samo. Tale internazionalismo, però, fu fin da principio
portato avanti da Atene, come poi da Sparta, con una logica non paritaria ma bensì
egemonica. Tutto l'impero ateniese (478 a.C.- 404 a.C.) è dominato da una logica di
imposizione, repressione, anche violenza. Si pensi alla dura repressione di Samo, che
come tante altre realtà all'interno dell'impero era sfiancata dagli esosi tributi richiesti da
Atene; essa fu assediata, sottomessa e obbligata ad accettare un governo democratica da
Pericle stesso (441). Insomma quelli degli alleati di Atene e Sparta non fu mai una vera
alleanza, bensì una sudditanza.
XII "Nascondere" un documento: la saga di Melo
Tucidide fa qualcosa di inquietante quando ci fornisce il famoso racconto della brutale
sottomissione della neutrale repubblica di Melo da parte degli Ateniesi (416 a.C.), essa,
infatti, non avrebbe voluto schierarsi con nessuna delle due parti in lotta, cioè Atene e
Sparta, venendo poi costretta alla sottomissione dalla prima. Tucidide tace però del tutto il
fatto che Melo non era una repubblica indipendente e neutrale ma bensì un'alleata di
Atene nella lega delio-attica, come dimostrato dalle tavole di marmo ritrovate sull'acropoli
con su scritte le liste dei tributari di Atene e tra cui figura anche la stessa Melo!
Un'omissione volontaria quella di Tucidide, molto probabilmente volta a discreditare il
governo democratico ateniese, da lui, in quanto filo-oligarca, non amato.
XIII "Revisionismo" e nuovi documenti
Un altro uso poco congruo dei documenti attuato da Tucidide ci dimostra la sua intenzione,
come nel caso dei Meli, di utilizzare le fonti storiche più a fini politici che di verità storica.
Il mito fondatore della democrazia ateniese era sicuramente quello del tirannicidio di
Ipparco per opera dei congiurati Armodio e Aristogitone(514 a.C.), poi uccisi a loro volta.
Anche se la vera cacciata del tiranno Ippia e la fine della tirannia ad Atene si ebbe grazie
all'intervento degli Spartani (oligarchici) di re Cleomene, i due congiurati furono in seguito
visti come i paladini della libertà e della democrazia e ad essi furono pure erette delle
statue. Tale mito si afferma sopratutto a livello popolare e autolegittima la democrazia sulla
base della coppia antitetica democrazia/tirannide. Solo in ambito filosofico e storico
troviamo delle critiche a tale forme di governo; Platone nella sua Repubblica ravvisa nella
eccessiva libertà insita nella democrazia una causa della successiva schiavitù nel
momento in cui il popolo si affida a dei "protettori" che diventano poi tiranni. Erodoto nel
dialogo avvenuto, secondo lui, in Persia dopo la morte di re Cambise (522-521 a.C.)
riguardo la migliore forma di governo, mette in bocca al sostenitore dell'oligarchia l'identità
tra popolo sovrano e tirannide.
Ma Tucidide doveva compiere un'operazione molto forte se non scandalosa quando,
documenti alla mano, dà un'interpretazione nuova, non più politica dell'uccisione di
Ipparco per opera di Armodio e Aristogitone; secondo lui, infatti, il primo aveva ricevu