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Il gold standard consisteva innanzitutto nel rispetto di tre norme fondamentali: la fissazione di una parità aurea legale, la piena convertibilità a vista delle
banconote, il libero commercio dell’oro. Esisteva poi una regola tacita che prevedeva che la variazione dello stock di moneta doveva essere direttamente
proporzionale alla variazione delle riserve. Così, attraverso la variazione del tasso ufficiale di sconto e la cooperazione tra le banche centrali, era possibile
mantenere stabili i prezzi e realizzare il pareggio della bilancia dei pagamenti. [il tasso ufficiale di sconto è il tasso a cui la BC cede la moneta = costo della
]
moneta !
Il modello di riferimento era il testo “ La teoria del flusso dell’oro e dei prezzi” di David Hume, secondo il quale l’entrata e l’uscita d’oro innescavano una
concatenazione di eventi che riportavano all’equilibrio iniziale. L’equilibrio dei prezzi e della bilancia dei pagamenti si sarebbe ottenuto attraverso la seguente
concatenazione:!
- nei paesi importatori: importazioni - deflusso d’oro - riduzione di M - caduta dei prezzi - aumento della competitività internazionale!
- nei paesi esportatori: esportazioni- afflusso d’oro - aumento di M - aumento dei prezzi - riduzione della competitività internazionale !
Il mutamento dei prezzi così generato avrebbe riequilibrato la bilancia commerciale invertendo il ciclo. Il meccanismo però funzionava solo in teoria: il gold
standard facilitava indubbiamente gli scambi ma la stabilità economica non era un fatto automatico: una fuoriuscita d’oro non provocava un’immediata stretta
monetaria e allo stesso modo pratiche oligopolistiche potevano limitare i fenomeni deflattivi (potevano infatti esserci accordi di cartello che mantenevano i prezzi
alti, come nel caso tedesco). In secondo luogo bisognava considerare che il sistema aveva notevoli conseguenze in termini di interdipendenza tra i vari mercati
nazionali: un paese che avesse fatto registrare un andamento negativo della propria bilancia dei pagamenti sarebbe stato stimolato a ridurre le proprie
importazioni, generando effetti negativi sui suoi partner commerciali. Dal 1880 si va verso un processo di riduzione dei prezzi a livello generalizzato per l’elevata
!
concorrenza internazionale. !
Dopo il 1870 la Gran Bretagna, nonostante il continuo incremento del suo prodotto nazionale e degli scambi commerciali, perse posizioni a favore di Germania
e Stati Uniti. Tessili, carbone, ferro e costruzioni meccaniche, le basi delle prosperità britannica, conservavano la loro importanza. Alla vigilia della 1° guerra
mondiale essa era ancora il paese commercialmente più importante ma controllava ormai solo un sesto dei traffici mondiali. Le politiche fortemente
protezionistiche adottate dagli altri paesi europei orientarono il commercio inglese verso le colonie; l’Inghilterra infatti dipendeva molto dalle esportazioni. !
Ci sono però altri elementi che spiegano il relativo declino inglese: un sostanziale fallimento della strategia imprenditoriale e le ridotte dimensioni delle imprese
britanniche. L’introduzione tardiva di nuove industrie ad alto tasso tecnologico come quella della chimica organica, dell’elettricità e dell’alluminio, sono un segno
dell’inerzia imprenditoriale; in aggiunta la risposta degli imprenditori britannici alle nuove tecnologie in industrie tipiche britanniche fu tardiva. Gran parte degli
investimenti britannici si concentrava sui settori tradizionali, che avevo un basso potenziale di crescita. Inoltre,diversamente da quelli tedeschi, i sindacati
britannici non cooperavano strettamente con i datori di lavoro, né a livello di impresa, né a livello nazionale. !
Le difficoltà poste dal Bubble Act alla creazione di società per azioni e la scarsa dotazione di capitale fisso richiesta dalle tecnologie della prima rivoluzione
industriale, assecondarono alcune tendenze di fondo del capitalismo britannico: l’essere di fatto un capitalismo famigliare e il fare affidamento quasi
esclusivamente sul credito commerciale a breve e sull’autofinanziamento. Una fetta sostanziale dei risparmi britannici veniva di fatto destinata agli investimenti
esteri, perché i loro rendimenti erano in apparenza maggiori. Inoltre la storiografia, tra le cause del relativo declino, ha individuato le deficienze del sistema
scolastico: la Gran Bretagna fu l’ultimo grande paese occidentale ad adottare l’istruzione elementare pubblica per tutti, presupposto fondamentale per la
formazione di una forza lavoro specializzata. Tassi di scolarizzazione insufficienti crearono una barriera all’ingresso nei settori tipici della seconda rivoluzione
industriale; le università inoltre dedicavano scarsa attenzione all’educazione scientifica e meccanica. Nonostante questo comunque la Gran Bretagna rimaneva
!
un paese molto all’avanguardia: nel 1914 il cittadino medio britannico godeva di un tenore di vita che non aveva eguali in Europa. !
!
Lo sviluppo economico nel 19° secolo: i casi nazionali: gli Stati Uniti!
I tre elementi che caratterizzano il percorso di sviluppo statunitense sono l’enorme disponibilità di terra e risorse naturali; la relativa scarsità di lavoro, che li
caratterizzò fino alle migrazioni dell’800-900; la ristretta disponibilità di capitali, sia in termini finanziari sia in termini di equipaggiamenti. Fin dall’epoca coloniale
la scarsità di manodopera in rapporto alla terra e alle altre risorse avevano comportato salari più elevati ed un più alto tenore di vita rispetto all’Europa. Fu
questo fatto, unito alle libertà religiose e politiche godute dai cittadini americani, ad attirare gli immigranti europei. Il tasso di crescita elevato degli Stati Uniti è
dovuto sia all’abbondanza di terre e risorse naturali, che alla crescente specializzazione regionale; tuttavia ci sono dei fattori specifici proprio americani, come la
scarsità e l’alto costo della manodopera che rendevano particolarmente proficuo l’impiego delle macchine. L’industria del cotone del New England rimase fino al
1860 la maggiore industria americana e una delle più produttive del mondo intero. Sulla sua scia si svilupparono molte altre industrie, come la manifattura di
fucili con parti intercambiabili, che posero le fondamenta della successiva produzione industriale di massa. !
Intorno alla metà del 19° secolo emersero chiaramente alcune caratteristiche peculiari del processo di crescita statunitense: l’industrializzazione andava di pari
passo con un sostenuto sviluppo del settore primario; il paese non aveva avuto una tradizione feudale ma nonostante questo, basava parte delle sue attività
sullo sfruttamento di manodopera schiavile; l’ampia disponibilità di terreni incontaminati offriva opportunità inedite, ma era anche un freno alla sviluppo, per via
della totale assenza di infrastrutture e centri urbani. !
Le 13 colonie inglesi erano situate a est dei monti Appalachi; erano sottoposte a una legislazione mercantilistica, il cui scopo principale era quello di aumentare i
benefici economici inglesi attraverso l’imposizione di vari dazi. Lo Sugar Act (1764) inasprì le misure contro il contrabbando e innalzò le tariffe su indaco, caffè e
molti prodotti tessili importati da Londra; lo Stamp Act (1765) decretò l’obbligo apposizione di bolli di vario prezzo su contratti, licenze, giornali. Il ceto mercantile
americano viveva male tali restrizioni; ma più che i provvedimenti in sé, quello che contribuì a creare tensione con la popolazione locale fu la loro imposizione
unilaterale. !
Successivamente ci furono altri provvedimenti: quello del 1765 stabilì che le spese di sistemazione delle truppe fossero a carico delle popolazioni locali; il
Townshend Act del 1767 impose dazi su tè, vetro e carta; il Tea Act del 1773 garantì il monopolio commerciale del tè alla East India Company. Il movimento di
opposizione ai dazi su merci di largo consumo sfociò nel 1775 in una vera e propria guerra (Boston Tea Party) e nel 1776 con la Dichiarazione di Indipendenza
nacquero gli Stati Uniti. Dal punto di vista economico la creazione del nuovo stato non ebbe effetti immediati sullo sviluppo della regione: per alcuni decenni gli
Stati Uniti rimasero una ‘colonia’ britannica, specializzata nell’esportazione di materie prime e nell’importazione di manufatti industriali. Quello che cambiò fu la
specializzazione economica del nuovo Stato: la crescita della domanda internazionale di cotone(specialmente inglese) stimolò le produzioni americane,
sopratutto dopo l’invenzione della cotton gin(sgranatrice) da parte di Eli Whitney nel 1790. !
C’era un dualismo economico in America: il centro della produzione cotoniera e dell’agricoltura erano gli stati meridionali, mentre dai primi anni dell’800 il
principale emporio commerciale divenne NY che aveva da sempre offerto un facile approdo per le navi provenienti dall’Inghilterra ed era così diventata il
principale punto di ingresso delle importazioni americane. Tra la fine del 700 e i primi anni dell’800 vennero avviati commerci triangolari tra New York, gli stati
del Sud e l’Europa: i commerci stimolarono la nascita di servizi finanziari di cui usufruivano sia le attività mercantili, sia quelle produttive. !
A parte il commercio di cotone, nei decenni successivi all’indipendenza le capacità commerciali degli Stati Uniti si ridussero perché non erano più una colonia
protetta entro un largo impero mercantilistico; inoltre c’erano state le guerre napoleoniche e il blocco navale europeo. Il Blocco continentale, la reazione inglese
e l’approvazione negli USA dell’ Embargo Act (1807), crearono la domanda necessaria per stimolare la creazione di stabilimenti industriali: fu così che nacquero
le prime manifatture tessili nel New England. Con gli Embargo Act infatti viene praticamente bloccato il commercio mondiale e ciò rappresenta un incentivo
all’industrializzazione americana. !
Il primo problema che l’America dovette affrontare fu quello della scarsità della manodopera che spingeva verso l’alto i salari. La soluzione fu proposta nel 1816
da Francis Lowell, che voleva creare un unico stabilimento che riunisse filatura e tessitura, nel quale potesse trovare lavoro principalmente manodopera
femminile. Inizialmente non si trattò di lavoratrici stipendiate a tempo pieno; la manodopera permanente fu introdotta solo dopo il 1840, quando si cominciò a far
ricorso al lavoro degli emigrati irlandesi. I primi sviluppo dell’industria non avrebbero avuto seguito senza la rapida crescita demografica che caratterizzò il
paese nella prima metà dell’800: la popolazione tra il 1820 e 1840 si duplicò raggiungendo i 17 milioni; grazie all’immigrazione ma sopratutto a tassi di natalità
decisamente più elevati di quelli europei. La crescita della popolazione diede ori