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LA LENTA CRESCITA DELLA GRAN BRETAGNA
Nel secondo dopoguerra, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia ebbero destini comuni, segnati dalla costruzione dell’Unione Europea, ma
ognuno seguì un proprio percorso per realizzare il grande sviluppo della seconda metà del XX secolo.
La Gran Bretagna si trovò in gravi difficoltà; durante la guerra aveva accumulato un pesante debito estero e fu costretta a chiedere un prestito
di ben 5 miliardi di dollari agli Stati Uniti e al Canada per pagare le importazioni di derrate e di materie prime.
Il nuovo governo laburista mise mano a una serie di nazionalizzazioni. L’80% delle industrie rimase ai privati e le imprese
nazionalizzate si ritrovarono a rimorchio di quelle private. Importanti furono i provvedimenti tesi a realizzare il Welfare State. Fu
instituito il Servizio sanitario nazionale, che doveva garantire la completa assistenza medica a tutti i residenti nel Regno Unito. Si
varò un vaso programma si edilizia pubblica per ricostruire gli immobili distrutti dai bombardamenti e si introdussero diverse forme
di assistenza ai lavoratori e ai cittadini e venne migliorato il sistema dell’istruzione.
L’economia riprese a crescere, ma si trattò di una crescita lenta. Gli Inglesi non si impegnarono particolarmente nella modernizzazione
dell’economia e trascurarono campi come la “ricerca e sviluppo”, l’incremento della produttività e l’innovazione tecnologica. La bilancia
commerciale continuava a essere passiva, perché si importava di più di quanto si esportasse. Anche la crisi petrolifera contribuì al blocco
dell’economia britannica.
Negli anni 80, la politica neoliberista di Thatcher portò alla privatizzazione di molte industrie statali, alla riduzione della spesa pubblica e a un
processo di ristrutturazione industriale, che comportò la chiusura delle fabbriche inefficienti e un aumento della disoccupazione. Le
privatizzazioni, comunque, fecero sì che molti cittadini diventassero azionisti, fornendo capitali alle imprese.
Negli anni 80 e 90, si svilupparono nuovi settori di avanguardia, in particolare l’elettronico, a scapito dell’industria pesante e di quella tessile.
Inoltre, la Gran Bretagna e la Norvegia iniziarono a sfruttare i ricchi giacimenti petroliferi scoperti nel Mare del Nord.
A cavallo del nuovo secolo, l’economia britannica conobbe una fase di crescita accelerata, anche grazie a una competitività dei prodotti
nazionali. La Gran Bretagna recuperò il ritardo accumulato e Londra riacquistò il ruolo di importante centro finanziario mondiale. Essa attirò un
gran numero di banche estere, diventando la seconda piazza finanziaria del mondo dopo quella di New York.
Anche l’agricoltura si andò modernizzando; si iniziò a fare ricorso alle nuove tecnologie per sfruttare le terre più fertili, ma ciò fece perdere
posti di lavoro. Il settore, sostenuto dagli aiuti comunitari, aveva ormai un ruolo marginale nell’economia britannica, una delle più terziarizzate
al mondo.
La Gran Bretagna decise di non aderire all’euro e conservò la sua sterlina. Anche se la metà dei traffici britannici si svolgevano con l’Europa, il
governo decise di tenersi fuori dall’euro perché non si voleva cedere all’Unione Europea la propria sovranità monetaria e si voleva conservare
la possibilità di fissare i tassi d’interesse.
L’ECONOMIA FRANCESE
La Francia presentava alcune debolezze sostanziali: la popolazione era rimasta invariata nei 50 anni precedenti, e perciò era invecchiata;
l’economia era chiusa verso l’esterno e riusciva a sostenersi solo con misure protezionistiche e grazie ai rapporti commerciali con le colonie. Il
Paese, inoltre, era ancora troppo legato all’agricoltura, che aveva un numero di addetti particolarmente elevato.
Dopo la liberazione, però, la Francia fu capace di uno slancio nazionale e di un rilancio in tutti i settori. La popolazione riuscì a invertire la
tendenza negativa e riprese a crescere a ritmi sostenuti. Ancora una volta, la crescita demografica si è rilevata un importante fattore di
sviluppo.
L’obiettivo principale fu la modernizzazione sotto la guida dello Stato. La Francia si indirizzò verso una forma di economia mista, con la
creazione di un ampio settore pubblico accanto a quello privato. Il primo passo fu la nazionalizzazione di diverse imprese, che riguardò alcuni
settori strategici: l’energia, i trasporti e il credito.
Grazie all’impegno di Jean Monnet, fu introdotta la pianificazione economica, mediante l’approvazione di piani quadriennali, volti dapprima
alla ricostruzione e poi alla crescita economica. L’agricoltura si modernizzò, fece largo uso di macchine e vide aumentare la sua produttività. Lo
Stato promosse anche l’apertura dell’economia verso l’esterno: furono abbandonate le pratiche protezionistiche e le strategie autarchiche.
La crisi petrolifera degli anni 70 portò la Francia a puntare sulle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Dopo la crisi, la politica
economica francese fu caratterizzata da un alternarsi di privatizzazioni e nazionalizzazioni.
Negli anni 80, il governo socialista effettuò ulteriori nazionalizzazioni e aumentò i salari e la spesa pubblica per rilanciare i consumi
interni. Ma poi rivide il suo programma: tagliò le spese, congelò i salari e svalutò il franco. Negli anni 90 furono anche riprivatizzate
alcune imprese precedentemente nazionalizzate.
Oggi la Francia ha un’economia prospera, fondata principalmente sui servizi, e possiede la più forte agricoltura dell’Unione Europea e
un’industria si altissimo livello. Lo Stato conserva una considerevole presenza nell’economia e controlla la maggior parte delle attività
industriali e finanziarie. La pubblica amministrazione è molto efficiente per il fatto che essa è composta da funzionari molto preparati.
LE DUE GERMANIE
La Germania rimase priva di un proprio governo fino al 1949. Gli occupanti, specialmente i Sovietici, cominciarono a smantellare l’industria
degli armamenti e altre industrie pesanti. Lo scopo degli Alleati era di impedire alla Germania di ricostruire un apparato produttivo e una
concentrazione del potere economico che le avevano consentito di sostenere il peso di due guerre mondiali a distanza di poco tempo. Perciò,
smembrarono le grandi imprese e le grandi banche, che furono divise in società di più modeste dimensioni.
Per ciò che riguarda la moneta, gli Americani e i loro alleati, senza consultare i Sovietici, introdussero, nel 1948, una nuova moneta per i
territori sotto il loro controllo, il Deutsche Mark, in sostituzione del vecchio Reichsmark. Questo provvedimento portò alla definitiva divisione
della Germania in due Stati separati.
La Germania occidentale (Repubblica Federale Tedesca), divisa in 10 Lander (stati federali) che godevano di ampia autonomia, era la
parte più industrializzata e meglio dotata di infrastrutture e risorse naturali. Gli Americani ne favorirono la ricostruzione e lo
sviluppo, inserendola nel programma di aiuti del Piano Marshall, e qualche tempo dopo fu possibile anche la ricostruzione dei grandi
gruppi bancari e imprenditoriali che erano stati precedentemente smembrati. Da allora ebbe inizio il “miracolo economico tedesco”
Furono eliminate le bardature protezionistiche e autarchiche del periodo nazista e fu liberalizzata l’economia. La Germania si ispirò
all’economia sociale di mercato, una forma di economia mista basata sul libero mercato, ma che prevede un’incisiva azione pubblica
per perseguire la giustizia sociale e la solidarietà fra le diverse componenti della collettività. Questo modello fu completato con la
cogestione, cioè con la partecipazione dei lavoratori, mediante rappresentanti eletti, alla conduzione delle aziende.
La crescita dell’economia tedesco-occidentale si basò principalmente sulle esportazioni. La Germania occidentale esportava,
prevalentemente, beni a elevato contenuto tecnologico, il cui valore a ¼ della produzione complessiva, facendo apprezzare, in tal
modo, i prodotti tedeschi in tutto il mondo. Essa si potè giovare anche di un continuo flusso di lavoratori immigrati. L’economia della
Germania occidentale diventò la più solida dell’Europa e assunse la funzione di “locomotiva” dello sviluppo dell’intera Comunità
europea.
La Germania orientale (Repubblica Democratica Tedesca), viceversa, nacque come uno Stato accentrato e attuò, sull’esempio
sovietico, l’economia pianificata. Essa costituiva la parte meno sviluppata della Germania anche se si pose tra le nazioni più ricche e
avanzate del Blocco sovietico. Essa subì una perdita di manodopera, che spesso mise in crisi la continuità del lavoro nelle fabbriche.
La pianificazione puntò sull’industria pesante, a scapito dei beni di consumo, e l’agricoltura socializzata diede scarsi risultati.
LA RIUNIFICAZIONE TEDESCA
La riunificazione fu realizzata nel 1990, dopo la fine del regime comunista nella Germania orientale. Avvenne pacificamente per annessione,
cioè i territori orientali chiesero di entrare a far parte della Repubblica Federale Tedesca come nuovi Lander.
Il costo dell’operazione fu molto elevato. Il governo, infatti, dovette sostenere spese ingenti, coperte con nuove imposte, per la
modernizzazione delle infrastrutture e il risanamento dell’apparato industriale della parte orientale. Le imprese furono privatizzate e quelle
poco produttive smantellate, con l’incremento della disoccupazione.
Negli anni 90, l’economia rallentò la sua crescita e furono necessari alcuni interventi di ristrutturazione produttiva (delocalizzazione) e di
riduzione delle spese pubbliche. L’economia tedesca restò comunque molto solida e rimase fortemente ancorata alle esportazioni. Negli ultimi
anni, però, la Germania ha perso il primato come paese esportatore, essendo stata superata dalla Cina e dagli Stati Uniti. Tuttavia resta
l’economia più forte del continente europeo.
30. L’ECONOMIA ITALIANA
LA RICOSTRUZIONE
Le condizioni dell’Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, erano disastrose. La guerra aveva provocato ingenti danni al patrimonio
abitativo e al sistema dei trasporti. Nessuno avrebbe immaginato che sarebbero bastati appena cinque anni per ritornare al livello di prima
della guerra, né che lo sviluppo successivo sarebbe stato eccezionale, tanto da far parlare di “miracolo economico”.
Negli anni della ricostruzione, la nuova classe politica repubblicana si trovò ad affrontare alcuni problemi immediati, come la ripresa della
produzione e la lotta all’inflazione, e dovette effettuare scelte fondamentali per il futuro del Paese. La ricostruzione fu rapida, soprattutto
grazie ag