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Il ruolo dei sindacati e del welfare state nel capitalismo
Nelle nazioni capitalistiche, poi, l'affermazione dei sindacati ha contrastato la tendenza all'impoverimento degli operai e ha difeso il potere d'acquisto dei salari. Contemporaneamente, la diffusione del welfare state e di adeguate legislazioni sociali, ha tutelato lo status e le condizioni di lavoro. Inoltre, grazie all'enorme potenziale produttivo del capitalismo, i governi hanno potuto traslare parte del reddito a soggetti, quali anziani, disoccupati o emarginati, estranei o esterni al circuito produttivo.
Non può non essere riconosciuto a Marx, invece, di aver individuato l'origine di fenomeni che hanno svolto un ruolo predominante nell'evoluzione del capitalismo e che ne hanno rappresentato delle incrinature, le quali hanno favorito, se non determinato, l'avvento della stessa globalizzazione. Questa, infatti, nei suoi eccessi, ha in parte cancellato i processi evolutivi descritti e conseguenti proprio all'affermazione del capitalismo.
Agli albori
globalizzazione economica che caratterizzano il mondo contemporaneo. La borghesia, secondo Marx ed Engels, ha giocato un ruolo fondamentale nella trasformazione delle industrie nazionali e nell'introduzione di nuove industrie che hanno sostituito quelle precedenti. Questo processo ha portato alla distruzione delle antiche industrie nazionali e alla creazione di un mercato mondiale in cui i prodotti provenienti da Paesi e climi lontani sono necessari per soddisfare i nuovi bisogni. Inoltre, si è verificato un passaggio dall'autosufficienza e dall'isolamento nazionale a uno scambio universale e a un'interdipendenza tra le nazioni. Questo passaggio ha aperto la strada alla diffusione delle multinazionali e alla creazione di reti economiche transnazionali.delocalizzazione di manodopera, tipici dellaglobalizzazione.E' importante rilevare che nonostante l'elevato incremento dellamanodopera impiegata sul mercato mondiale, la partecipazione dei salari alreddito nazionale, invece di aumentare, sia diminuita dal 70 al 60 %, afavore dei profitti e delle rendite. Questo significa che la globalizzazione, siase considerata per la crescita del commercio e della ricchezza mondiale, siase considerata a somma zero, perché l'avanzo delle bilance dei pagamentidi alcune nazioni corrispondono ai deficit di altre, ha comunque causatouna non equa redistribuzione del reddito pro capite all'interno dellenazioni.Alle ineguaglianze a livello globale e all'emarginazione appartiene ancheuna dimensione ideologica che alimenta ostilità e conflitti; perciò, si devericonoscere l'esistenza di una relazione che merita di essere approfonditatra povertà e violenza.Ma lo stimolo maggiore alla rilettura di Marxderiva oggi dalla già accennata riflessione sul processo di globalizzazione, nei suoi aspetti positivi e negativi. E questo anche perché la diffusione dei debiti pubblici degli Stati ha dato vita a un sistema di credito internazionale " secondo cui un popolo diventa tanto più ricco, quanto più affonda nei debiti ". La crisi dei debiti sovrani che colpisce attualmente la maggior parte dei paesi dell' unione monetaria europea, a causa delle politiche del rigore poste e imposte dalla Germania, appare un ulteriore motivo di rilettura dell'opera di Marx. E' pur vero, però, che tale rilettura può dare, comunque, solo un'interpretazione parziale degli accadimenti contemporanei, soprattutto perché la più grave crisi di sovrapproduzione e di speculazione finanziaria che l'economia contemporanea ricordi, cioè quella del '29, successivo alla rivoluzione russa del '17 e all'avvento del sistema.collettivistico in quellanazione, non riuscì ad abbattere il capitalismo come previsto da Marx. Anzi, i progressi teorici compiuti dalla scienza economica, contribuirono a fornire la chiave di volta per la sopravvivenza e l'espansione del capitalismo stesso. Tra i principali fautori di tali progressi, un posto di tutto rilievo merita Keynes. La sintesi e, al tempo stesso, le differenze tra la crisi del '29 e quella attuale possono essere efficaciemente sintetizzate da una riflessione, del premio nobel per l'economia Stiglitz: "Durante la Grande depressione... Keynes formulò la propria teoria sulla disoccupazione evidenziando quali fossero gli interventi che lo Stato poteva realizzare per ripristinare la piena occupazione e per rimettere in moto la crescita... Ha fatto più Keynes per salvare il sistema capitalistico che tutti i finanzieri pro-mercato messi insieme. La Grande Depressione sarebbe stata più lunga e più grave e avrebbe creato
l'esigenza di un'alternativa al capitalismo". 6-Crisi e rinascita del capitalismo. La dottrina Marxiana aveva posto in discussione uno dei capisaldi su cui poggiava il regime libero concorrenziale: la legge degli sbocchi, che garantiva l'equilibrio del mercato grazie al principio che l'offerta crea sempre la propria domanda. Essa presupponeva che tutto il reddito percepito dall'impiego dei fattori della produzione fosse speso; escludeva, conseguentemente, qualsiasi forma di tesaurizzazione e assegnava alla moneta un ruolo di semplice intermediaria nelle transazioni. Poiché nell'impostazione classica si supponeva il pieno impiego delle risorse, un'eccedenza di determinate merci era possibile solo se una certa quantità di queste risorse era disinvestita dalla produzione di altre merci. Un'offerta superiore in alcuni settori era sempre compensata da un'offerta inferiore in altri. Inoltre, poiché nei primi i prezzidiminuivano e nei secondi aumentavano, gli imprenditori avevano convenienza a spostare i fattori della produzione verso questi ultimi, causandone l'incremento dell'offerta e, quindi, la riduzione dei prezzi: l'equilibrio si sarebbe così ristabilito nel sistema economico nel suo complesso.
Questa legge, però, sembrava essere smentita dagli accadimenti ancor prima della nascita di Marx: in Inghilterra, all'indomani delle guerre napoleoniche, la sovrabbondanza di merci invendute e la diffusa disoccupazione assunsero caratteri drammatici. L'eccedenza dell'offerta era stata provocata dal calo della domanda di forniture militari, che aveva assorbito gran parte della capacità produttiva dell'industria, e, con la conversione di quest'ultima a scopi civili, dalla netta riduzione delle esportazioni. I Paesi importatori, infatti, furono impossibilitati allo scambio con l'Inghilterra dalla carestia del 1816-1817, che ne falcidiò il
potered'acquisto.In verità, tali difficoltà non erano causate dal fatto che l'Inghilterraproduceva troppo, ma dal fatto che altre nazioni producevano troppo poco.La durata della recessione, tuttavia, e la sua intensità, mostrarono l'inadeguatezza degli automatismi del mercato al rientro verso unacondizione di equilibrio.Questi furono i motivi che spinsero Malthus a indagare sulle cause chepotevano condurre il capitalismo a una crisi di sovrapproduzione e aproporne i rimedi. L'analisi di Malthus anticipò il lavoro di Keynes.
Quali sono le cause di una riduzione della capacità d'acquisto? I lavoratorisono retribuiti con quanto necessario alla loro sussistenza e riproduzione; illoro salario, allora, sarà tutto speso in beni di consumo e non vi saràmargine per il risparmio.Gli imprenditori, al contrario, per accumulare i capitali per l'investimento,da una parte diminuiscono la domanda di beni di consumo,
dall'altra, impiegando detti capitali in capacità produttiva, aumentano l'offerta sul mercato. Questo squilibrio poteva essere superato, secondo Malthus, attraverso il consumo alimentato dai lavoratori improduttivi: domestici, impiegati, militari e altri, i quali non partecipavano al processo di produzione delle merci, ma offrivano soltanto dei servizi. Questi lavoratori dovevano ricevere dai ricchi la remunerazione alle prestazioni rese e, prevalentemente, dai proprietari terrieri. Perciò, Malthus individuò nella rendita la fonte del consumo improduttivo e difese il ruolo sociale ed economico dei proprietari terrieri all'interno del sistema capitalistico. Più in generale, egli ritenne che la domanda effettiva, ossia necessaria ad assorbire l'offerta dei beni prodotti, poteva essere sostenuta anche con quelle attività, quali la riparazione di strade o l'attuazione di lavori pubblici. Le somme per il loro finanziamento, infatti, potevanoessere ottenute permezzo di un'imposta.Il rapporto tra produzione e consumo fu studiato anche da De Sismondi perspiegare le crisi di sovrapproduzione. La sua tesi può essere così sintetizzata: in una società industrializzata, l'aumento del reddito degli imprenditori rispetto a quello dei lavoratori, provoca un disuguale accrescimento della domanda. La parte di quest'ultima che alimenta le industrie che approvvigionano i lavoratori, non potrà incrementarsi in proporzione alla capacità produttiva, poiché solo il reddito del capitalista aumenta proporzionalmente alla produzione. L'altra parte della domanda, rivolta alle industrie che fabbricano beni destinati ai capitalisti, sarà insufficiente a compensare la prima; anzi, aggraverà ancor più la sovrapproduzione. I rimedi che Sismondi proponeva erano il rifiuto del "laissez faire", l'intervento dello Stato per attenuare le cause e gli effetti delle
crisi e il ritorno a una società formata da piccoli imprenditori che riunivano capitale e lavoro. Il principio dell'automatismo del mercato fondato sul regime della libera concorrenza e le modalità con le quali il capitalismo era stato teorizzato al suo sorgere andavano in qualche modo reinterpretati. Questo, d'altronde, appariva più aderente alla realtà, non soltanto per il ripetersi di crisi di diversa intensità, ma soprattutto, per la trasformazione della loro natura in rapporto alla progressiva affermazione ed evoluzione degli elementi costitutivi del capitalismo.
Nel 1873, il pagamento delle indennità di guerra da parte della Francia alla Germania favorì la speculazione sui corsi dei valori industriali nelle Borse di Vienna e Berlino, nonostante l'accelerato ridimensionamento della produzione. Ridimensionamento che si registrò anche negli Stati Uniti, dove la fabbricazione di beni manufatti durevoli subì un calo de