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Auschwitz: la voce del silenzio che si leva dal campo

Auschwitz non può essere ripreso soltanto sul piano filosofico, ma anche ascoltando la voce dei Superstiti, che lo definirono la "voce del silenzio che si leva dal campo" e che modifica il concetto teologico da sempre ereditato dalla tradizione.

Chi moriva ad Auschwitz, moriva senza dignità e tra molte umiliazioni perché travolto dagli eventi. I Superstiti definiscono questo "Tragico Evento" come un "Evento Sacro" in cui Dio ha rivelato una parte di sé che nessun uomo aveva mai compreso.

Rispondere alla domanda iniziale di Jonas sembra molto più difficile per un Ebreo che per un Cristiano; per il Cristiano, che aspetta la redenzione nell'aldilà, questo mondo è il mondo del male, di Satana; per l'Ebreo, invece, questo è il mondo della Creazione, della Giustizia; e per questo motivo l'ebreo più difficilmente può giustificare Auschwitz.

L'etica, come ricorda Ricoeur

può cadere davanti al male, poiché è non riducibile al libero arbitrio dei filosofi. Egli prospetta "l'esperienza insieme individuale e comunitaria dell'impotenza dell'uomo di fronte alla potenza demoniaca di un male già là, prima di ogni iniziativa malvagia imputabile a qualche intenzione deliberata." L'ipotesi di questo male già là, mostra un uomo che sfugge al potere della libertà e che si sente smarrito; questo è, in qualche modo, l'enigma del male. Questo enigma, che sfugge al controllo delle filosofie, trova nel mito l'orizzonte che consente all'uomo di chiedersi: "Cosa posso sperare?" È l'ordine metastorico demartiniano che nell'orizzonte di crisi e nella destorificazione del negativo circoscrive il negativo la cui soluzione è nella ripetizione mitica e nella tecnica del "così-come" del rituale magico. Da

ciò ne deriva “Da dove viene il male?” Ricoeur ha presente questo interrogativo ma ne aggiunge altri: “Fino a quando?”, “Perché?”, “Perché io?”

Nel mito il male è la sofferenza e lo è o come punizione di un male individuale o di un male collettivo, come se fosse una retribuzione. La sofferenza è interpretazione del male. Sulla base delle teorie platoniche, S’Agostino ha definito il male come non-sostanza e l’Uno come bene, da ciò al Dio come Sommum Bonum il passo è breve. E’ ovvio ma non sarà definitivo.

Jung, più tardi, criticherà la teoria agostiniana del “Dio Sommo Bene.” Nella prospettiva di Agostino, ciò che viene esaltato è proprio “il principio del male senza maschera.” In questo ambito il male, secondo Jung, non rappresenta l’esclusione del bene, ma è sinonimo di una loro convivenza. La Complexio Oppositorum.

di cui Jung parla nella "Risposta a Giobbe" rappresenta "quella intima polarità che è nell'anima umana, polarità che è fonte del processo energetico costituente la vitalità stessa della psiche." L'incarnazione divina, secondo Jung, permette a Dio di arrivare alla conoscenza di tutte le contraddizioni che lo caratterizzano e che trovano la conciliazione nell'Unità e nella totalità di Sé come "Unio Mystica." Secondo Jonas, Auschwitz rappresenta l'abisso che solleva due grosse questioni: il male collegabile a Dio, e Dio impotente davanti al male. Ma allora "come mai il popolo ebreo, popolo eletto è diventato il popolo maledetto?" Dio, secondo Jonas, decise di spogliarsi delle proprie vesti per recuperarle più tardi; quindi Dio ripensa se stesso, per tornare alla propria essenza. Nel suo "mito Ipotetico", Jonas attribuisce a Dio caratteristiche antropomorfiche.definisce Dio "sofferente" e "triste" per quanto sta succedendo al suo popolo e lo definisce "diveniente" in quanto, in seguito alla creazione dell'uomo egli è entrato a far parte di tutte le vicende terrene, ed è stato proprio questo che ha causato la perdita della sua onnipotenza. Dio ad Auschwitz non intervenne, non perché non volle, ma piuttosto perché non poté; e, dunque, "il male c'è solo in quanto Dio non è onnipotente". La conseguenza è che Dio subirebbe il male pur non volendolo; questo concetto è in forte antitesi con le teorie ebraiche secondo le quali non sarebbe possibile negare l'onnipotenza di Dio. Dio, debole di fronte al male, non può essere né previdente né redentore; e l'uomo appare solo e abbandonato a se stesso, senza la speranza di prevalere sul male. A sostegno della ideologia ebraica Kant affermava: il Cum Deo contra malum.

mettendo così in risalto il forte bisogno dell'uomo di allearsi con Dio per contrastare il male. Il concetto del male come sofferenza, secondo quanto ricorda Ricoeur, rimanda al mistero della "fragilità di Jonas". "Il mistero nel senso che sia il male come sofferenza sia il male come colpa sono resi possibili dalla fragilità, anzi si potrebbe affermare che la fragilità è l'essenza stessa del creato."

È possibile allargare il concetto di fragilità dal creato, attraverso il mito dello Tzimtzum di Luria, a Dio. Questo stato di cose rende l'uomo responsabile della fragilità divina, in virtù del fatto che l'uomo, immagine e somiglianza di Dio, deve provvedere a mantenere vivo il soffio vitale che è in lui. Secondo Jonas la perdita dell'onnipotenza divina deriverà dalla libertà che Dio stesso avrebbe benevolmente concesso agli uomini. Jonas pone sullo stesso

Il piano divino e quello umano sono entrambi importanti. Dal punto di vista ebraico, la figura di Giobbe assume un grande significato in quanto rappresenta l'uomo contemporaneo. Nel "Libro di Giobbe" dell'Antico Testamento non ci sono riferimenti storici che potrebbero far pensare ad un inserimento nella storia. Questa mancanza di collocazione storica rende Giobbe posizionabile in qualsiasi epoca e quindi vicino a tutte le sofferenze umane. Il Libro di Giobbe viene definito "Il Promemoria delle sofferenze umane". Grazie alla sua versatilità temporale, Giobbe potrebbe rappresentare anche l'ebreo dei campi di concentramento, poiché, proprio come loro, è stato privato dei suoi beni, dei suoi figli e della sua famiglia. Come i condannati ad Auschwitz, anche Giobbe credeva nella salvezza che avrebbe dovuto arrivare dai suoi amici, egli diceva: "Dove siete?". Ma la salvezza, dice Wiesel,

popolo ebreo è la ricerca di risposte alla sofferenza. Entrambi si interrogano sul perché del dolore e cercano una spiegazione razionale. Giobbe, come gli Ebrei durante la Shoah, si confronta con l'ingiustizia e l'assenza di una risposta da parte di Dio. Questo porta entrambi a mettere in discussione la loro fede e a cercare un senso nella sofferenza. La storia di Giobbe è un esempio di come la sofferenza possa mettere in crisi la fede e la fiducia in Dio. Giobbe si rivolge a Dio con lamentele e accuse, chiedendo spiegazioni per il suo dolore. Questo atteggiamento di sfida e di ricerca di risposte è simile a quello degli Ebrei durante la Shoah, che si sono interrogati sul perché di tanto male e hanno cercato una spiegazione razionale. La sofferenza di Giobbe e del popolo ebreo diventa quindi un'occasione per riflettere sulla condizione umana e sulla presenza di Dio nella vita degli uomini. Entrambi si confrontano con la fragilità dell'esistenza umana e con la difficoltà di comprendere il piano divino. In conclusione, la storia di Giobbe e la tragedia del popolo ebreo durante la Shoah mettono in luce la dimensione universale della sofferenza umana e la ricerca di risposte di fronte all'ingiustizia. Entrambi ci invitano a riflettere sulla nostra condizione di fragilità e sulla presenza di Dio nella nostra vita.popolo ebreo è il "Timore di Dio" che rappresenta la distanza che si frappone fra Dio e l'uomo, costantemente sottomesso alla volontà divina. Nel "Libro di Giobbe", spesso viene citata la parola "Olocausto", in riferimento ai sacrifici che Giobbe offriva a Dio per purificare i suoi figli. Secondo Weisel, oggi, ci troviamo di fronte ad una sorta di abuso nei confronti di questa parola, che letteralmente significa "consumato fino in fondo", e che nella tradizione veniva usata per indicare i sacrifici bruciati sugli altari dai Sacerdoti. In seguito al significato etimologico e all'uso dei forni crematori, si è giunti, dopo la guerra, all'applicazione del termine Olocausto per definire il "tremendo genocidio". Olocausto, dunque, nel senso di sacrificio umano, riferito al popolo ebreo come "popolo sacrificato". Wiesel, rispetto a Jonas, rifiuta la possibilità di vedere.

L'impotenza di Dio che è rimasto l'interlocutore di sempre ma ora è visto con occhi da adulto. Dio è il Tu, l'interlocutore di un dialogo che ascolta l'uomo e che gli viene incontro per dargli la forza di resistere alla volontà dei "carnefici" di disumanizzarlo. Wiesel continua a credere nell'uomo, in quanto immagine di Dio, perché Dio attraverso l'uomo coglie la sofferenza delle vittime. Wiesel e continua a credere nell'uomo, anche se l'immagine di questo uomo è cambiata, egli, infatti, è chiamato dopo Auschwitz ad assumere la responsabilità del suo prossimo. Auschwitz resterà sempre un enorme interrogativo, ma ciò nonostante Wiesel non rinuncia a credere nella legge e continua a credere in Dio. Rispetto a Jonas, che tenta di spiegare il male, Wiesel rinuncia a comprenderlo perché, fare ciò significherebbe dargli un senso, una giustificazione.

Nellaspeculazione filosofica di Wiesel ritornano spesso gli insegnamenti hassidici che rappresentano laforza del suo pensiero. Alcuni pensatori ebrei hanno spesso avvicinato la sofferenza del popolo ebreo alla sofferenza di Cristo, come ha fatto F. Mauriac che ha scritto: "Ad Auschwitz Cristo è stato crocifisso Sei Milionidi volte". Un elemento di grosso spessore è la ribellione del popolo ebreo, che nel corso degli eventi ha subito momenti di grosso travaglio, qualche volta si è trattato di una ribellione militare, qualche altra volta è stata una ribellione a carattere teologico con "delle citazioni a Dio davanti al tribunale della coscienza ebraica e umana." Molti dotti ebrei, infatti, ( Rabbini o chassidim) sono arrivatiaddirittura alla condanna di Dio, perchè visto come traditore del patto che Lo univa al suo popolo. Qualche volta, poi, vi è stata una ribellione di carattere letterario e poetico. Questao libro, Katzenelson racconta la storia del popolo ebraico durante l'Olocausto, esprimendo il suo dolore e la sua rabbia per l'orrore che ha colpito la sua gente. Le sue parole sono un grido di protesta e di denuncia contro l'ingiustizia e la barbarie. Katzenelson descrive la sofferenza e la disperazione del suo popolo, ma allo stesso tempo trasmette un messaggio di speranza e di resistenza. La sua testimonianza è un monito per non dimenticare mai le atrocità commesse durante l'Olocausto e per lottare contro ogni forma di discriminazione e di odio.
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
4 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/06 Storia delle religioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle religioni del mediterraneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Di Grazia Ottavio.