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STATO DI ECCEZIONE

È una specie di zona grigia molto pericolosa sulla quale si è molto riflettuto e lavorato. L’unica

definizione è che lo stato d’eccezione è il risultato di uno squilibrio tra il fatto politico e il diritto

pubblico. Queste irregolarità solitamente durano poco in quanto vengono subito sanate dalla

costruzione di nuove regole che stabilizzano la situazione.

Ci sono molte modalità attraverso cui questo stato di eccezione si prolunga nel tempo. Per

esempio ogni volta che ci troviamo di fronte alla tendenza del potere esecutivo di estendere le

proprie competenze verso le competenze del potere legislativo. Il governo fa le leggi al posto del

Parlamento. Questo viene tollerato nelle democrazie. Il modello della democrazia non è universale,

non è mai una certezza ed è sempre in pericolo.

Lo stato d’eccezione appartiene sempre alla sfera d’emergenza, è una questione politica e non

giuridica. Può essere, però, regolamentato ed il diritto può stabilire dei confini. Il problema politico

degli stati d’eccezione è sintomo di una crisi politica; si ricorre all’emergenza perché non si è

capaci di risolvere la questione con i mezzi ordinari. Lo stato d’eccezione viene generalmente

attivato dal bisogno di riconoscere dei diritti naturali che la legge non è in gradi risolvere subito.

Molto spesso la situazione di emergenza nasce come spinta a tutelare un diritto naturale che non

viene riconosciuto in maniera efficace come diritto pubblico.

Lezione 5 6/03

Il cosiddetto stato di eccezione non è eccezionale solo perché riflette eccezionalità, ma perché in

questo normalmente non si possono applicare le regole che si usano normalmente. Perché la

situazione non è prevista dalle regole. La soluzione sta nell’essere consapevole che questi sono i

momenti in cui assume rilevanza la soluzione politica; il diritto sarà conseguenza. Qualsiasi

situazione di emergenza non può essere regolamentata, se non in modo provvisorio; la ragione

logica è che se si tratta di una situazione eccezionale andrà ad esaurirsi in modo naturale in breve

tempo.

C’è una contraddizione interna al concetto di stato di eccezione: da una parte è una situazione che

deve rimanere confinata nel più breve tempo possibile per poi dare luogo a situazioni il più normali

possibile; dall’altra gli stati di eccezione nascono perché rispondono a dei diritti naturali che non

possono essere compressi. L’equilibrio lo deve cercare la politica. Lo stato di eccezione è sempre

una risposta ad una necessità, anche se antigiuridica. È la politica che ha il compito di mantenere

le caratteristiche di eccezionalità. L’immagine della folla è un potente veicolo per mostrare

l’eccezionalità della situazione. Attiva anche un senso di accettazione da parte di chi la guarda. Noi

accettiamo il pericolo, il disordine nella misura in cui ci sembra utile al raggiungimento di qualche

altro risultato. La politica internazionale passa in gran parte attraverso questo modo di raccontare

cos’è una situazione eccezionale. Quando la politica non funziona più, lo stato di eccezione tende

a trasformarsi in una situazione prolungata nel tempo. Se il meccanismo funziona bene allora

l’eccezionalità è compensata da garanzie tipiche dello Stato di diritto, per esempio di mantenere la

situazione circoscritta, oppure l’opinione pubblica che fa sentire la propria voce.

Normalmente si accettano gli stati di eccezione perché ci sono dei contrappesi in grado di

bilanciarli. Quando non ci sono più i contrappesi allora si ha la degenerazione dello Stato di diritto

in altre forme di governo, come dittature e totalitarismi. Quando gli stati di eccezione si prolungano

nel tempo, la diagnosi è quella dell’uscita dalla democrazia e dallo Stato di diritto. Anche l’abitudine

può rischiare di portare a questa situazione. Gli USA hanno trasformato uno Stato di eccezione

(Patriot Act 2001) in regola, accettata perché ritenuta giusta dalla maggior parte della popolazione

e dell’opinione pubblica.

C’è un sistema che permette di capire cosa fare: prima cosa riconoscere le situazioni che possono

essere stati di eccezione; per fare ciò la norma è riconoscere stati di eccezione quelle situazioni in

cui si verifica un’indebita estensione del potere esecutivo su quello legislativo. Nelle democrazie il

popolo, attraverso il Parlamento, fa le leggi e il governo (potere esecutivo) deve solo eseguirle. La

politica internazionale si trova a dover usare queste regole per individuare dei criteri in base ai

quali agire; non tratta le situazioni di emergenza tutte in modo uguale: alcune saranno più

accettabili e altre meno. La politica internazionale è pragmatica, è legata alla possibilità di risolvere

casi concreti, piuttosto che alle grandi utopie. Per trovare le soluzioni deve fare delle scelte che

siano spiegabili ma che non sempre rientrano nella soluzione ideale che si vorrebbe trovare.

Vengono accettate tutte le situazioni di emergenza nelle quali la condizione di emergenza è

controllata dal potere legislativo.

L’opinione pubblica internazionale ha un altro strumento per misurare il problema degli stati di

eccezione. La politica internazionale ha bisogno dell’opinione pubblica internazionale perché

dentro il sistema di contrappesi, l’opinione pubblica è un sistema che fa pendere l’ago della

bilancia. L’opinione pubblica usa come criterio il tema dei diritti umani; ha iniziato a farlo dalla

seconda metà del ‘900. Bisogna tenere presente che i diritti umani sono una categoria enorme che

si declina in tanti nodi diversi: diritti naturali, diritti civili (momento in cui i diritti naturali assunti nella

sfera politica e protetti dalla politica), diritti sociali. L’importanza di questo argomento sta nel fatto

che i diritti umani, così come sono stati riconosciuti nel 1948, sono dei diritti universali. Valgono per

tutti i popoli, in tutti i tempi e in qualsiasi contesto geografico. Sono l’esatto opposto della

situazione di emergenza. Per questo esistono molte forme di tutela dei diritti umani, a seconda

della posizione in cui si trova l’individuo.

Lezione 6 13/03

Uno dei banchi di prova più importanti con cui si misura lo stato di eccezione è il tema dei diritti

umani. Quando parliamo di diritti umani usiamo una categoria molto ampia, con all’interno diritti

che hanno diverse gradazioni che ottengono forme di tutela molto diverse e di diversa efficacia.

Alla base del tutto ci sono sempre i diritti naturali, che competono all’uomo in quanto essere

umano. Da un lato sono i diritti più forti, inalienabili, dall’altro lato se rimangono solo naturali non

godono di grande tutela; per essere tutelati hanno bisogno di essere assunti nella sfera politica. I

diritti naturali sono universali, ma per vederli riconosciuti e protetti abbiamo bisogno dello Stato;

quindi dobbiamo essere cittadini di uno Stato. Il paradosso è che sono diritti molto potenti, ma per

acquistare efficacia hanno bisogno di un’architettura politica. Questa però li fraziona rispetto

all’universalità dei diritti naturali e molto spesso vincola la loro protezione alla condizione del

cittadino.

Un altro paradosso riguarda il diritto di asilo; si tratta di accogliere persone per attribuire un grado

di tutela più efficace. L’asilo è un rimedio tecnico-politico per quei cittadini che non hanno

cittadinanza e permette loro di accedere a determinate tutele e diritti.

A partire dallo spazio mediterraneo si sono verificati problemi e tensioni che condizionano le

relazioni internazionali nell’area. Problemi iniziati negli anni ’90 quando a partire dal modello UE si

iniziò a imporre ai paesi terzi mediterranei una serie di garanzie in relazione alla protezione dei

diritti umani. Classico esempio di questa situazione è il rapporto tra UE e Turchia. L’UE ha messo

in campo questo discorso attraverso il sistema degli accordi bilaterali, nei quali sono state inserite

queste clausole di rispetto dei diritti umani.

Il problema sorge dove il mondo europeo e occidentale fa passare in modo inconsapevole una

concezione dei diritti umani che ha un forte imprinting nella storia occidentale. La dichiarazione

universale del 1948 non solo ha riconosciuto i diritti naturali, ma anche quelli civili, sociali e politici

modellati nella storia culturale dell’occidente. Un esempio è il modello della famiglia. Il problema si

è posto quando questa concezione dei diritti umani è stata fatta corrispondere a degli organismi di

tutela modellati su questa stessa esperienza. Per esempio la Corte Europea per i diritti dell’uomo,

la Corte Internazionale di giustizia.

Questa criticità non appariva come tale fino a quando negli anni ’80 non si incontra il fenomeno

della regionalizzazione dei diritti dell’uomo. A partire dalla Dichiarazione universale dei diritti

dell’uomo del 1948, quei principi sono stati assunti come parte del patrimonio e cultura giuridica di

alcune aree del nostro pianeta, a partire dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e

poi la Convenzione interamericana del 1969.

Se i diritti sono universali, la regionalità è incompatibile con la loro regionalizzazione. È diventata

una contraddizione perché negli anni ’80 ha aperto la strada ad altre forme di regionalizzazione

legate ad altre esperienze religiose diverse dal cristianesimo. Nel 1981 la Dichiarazione universale

dei diritti dell’uomo nell’islam e nel 1989 la Convenzione africana sui diritti dell’uomo.

Potrebbe essere un elemento positivo, ovvero ogni cultura spiega i diritti alla luce della propria

religione e tradizione.

Nello spazio mediterraneo è diventato un elemento di criticità perché ha frantumato l’idea di

universalità dei diritti umani e ha messo in concorrenza dal punto di vista politico e internazionale

delle opposte visioni del mondo che il processo di integrazione voleva evitare.

Si è cercato di spiegare questo fenomeno dicendo che queste dichiarazioni non frantumerebbero i

diritti umani ma rappresenterebbero una considerevole fase di espansione che non può non

contribuire alla marcia verso l’universalità.

Le ragioni di tensione stanno nel modo in cui questo tema è stato gestito. Ogni volta che si è fatto

un accordo, si è sempre inserita una clausola per il rispetto de diritti umani. Ciò è la causa del

fallimento dell’avvicinamento dei paesi terzi mediterranei.

C’è una dinamica che tende a ripetersi ovvero concentrare gli stati di eccezione dove si attivano le

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
13 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/06 Storia delle relazioni internazionali

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher FedericoFortu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle relazioni mediterranee e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Trampus Antonio.