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PRIMA ARTE DELL’INDIA MERIDIONALE: DINASTIA DEI PALLAVA
Il sud dell’India parla delle lingue che non sono indoeuropee, ma sono lingue dravidiche, ovvero lingue
indigene che si trovano solo in India e che derivano tutte dal tami. Tamil è il nome della lingua di tutte
le documentazioni antiche della parte meridionale dell’India. In tamil abbiamo una letteratura del
primi secoli d.C. che si chiama letteratura del sangam, parola che vuol dire «assemblea», ed è quindi
la poesia dell’assemblea, che è una mitica assemblea di poeti che sarebbe sorta nella città di Madras,
ma proiettata in un tempo mitico anche se è una poesia reale. È una poesia locale che rappresenta
una cultura del tutto diversa da quella dell’India settentrionale e si divide in due categorie: poesia
d’amore e poesia di guerra. È un mondo con capi tribali, divinità e rapporti sociali totalmente diversi
rispetto a quelli del nord. Dei monumenti artistici dei primi secoli d.C. di questa cultura non è arrivato
a noi nulla.
Ma un certo punto succede una cosa molto importante definita come sanscritizzazione. Questo è un
termine fondamentale perché vuol dire che in un certo momento, e con un grande impulso
soprattutto nell’epoca buddista, la cultura del nord (sostanzialmente la cultura hindu, le divinità
dell’induismo, il sistema sociale bramanico con le caste e il concetto di sovranità) pian piano colonizza
l’India scendendo verso il sud. Succede che i popoli del sud vogliono diventare rilevanti anche loro e
allora si adeguano alla cultura dominante, che è quelle del nord. Quindi questa sanscritizzazione non è
una colonizzazione culturale imposta, ma è un movimento che avviene da entrambe le parti: i capi del
sud chiamano i bramani del nord per mettersi sullo stesso piano degli altri regni più grandi del nord. In
questa dinamica l’induismo scende verso il sud e la prima grande manifestazione di questo fenomeno
avviene in un regno che si forma nella zona settentrionale del Tamil Nadu con la dinastia dei Pallava,
termine che vuol dire «bocciolo». È una dinastia tamil che regna nella parte settentrionale del Tamil
Nadu, la cui capitale è Kanchipuram (puram vuol dire «città»). Il luogo in cui si concentra la prima
ondata di arte pallava si trova sulla costa e si chiama Mahabalipuram. Il nome tradizionale della città è
Mamallapuram e deriva dal soprannome (i re pallava chiamano se stessi con dei soprannomi) del re
pallava Mahamalla, che vuol dire «il grande lottatore». Il nome dinastico del re è Narasimhavarman,
che vuol dire «uomo leone» (nara vuol dire «uomo», simha vuol dire «leone» e varman vuol dire
«protezione»). Questo è il grande sovrano che porta, circa nella metà VII secolo, l’Impero Pallava a
una grande espansione. I Pallava hanno come nemici la dinastia dei Chalukya che si trova nel
Karnataka e ci sono continuamente guerre tra le due dinastie. Con Mahamalla abbiamo il saccheggio
della capitale della dinastia dei Chalukya e quindi un momento di grande ricchezza ed espansione
culturale. È in questo contesto che si deve spiegare anche la grande fioritura artistica che questo
sovrano promuove nel sito di Mahabalipuram. È un villaggio che si trova sulla costa del Tamil Nadu e
parallelo alla costa ci sono una serie di basse colline roccioso nelle quali sono stati ricavati
monumenti. Quindi qui abbiamo un vero e proprio museo a cielo aperto.
Il monumento più importante di questo sito, che è un qualcosa che non si trova da nessuna altra
parte in India, è Shore Temple (o Tempio della Spiaggia). È l’esemplare più antico di un tempio
strutturale, costruito nell’India del sud ad opera del successore Pallava Narasimhavarman II (700-728
d.C.), detto anche Rajasimha. Presenta un grande rilievo, che occupa l’intera facciata di una collina di
roccia, lungo circa 25 m e alto 12 m. Questo rilievo presenta tanti personaggi e anche animali, alcuni
dei quali sono a grandezza naturale come gli elefanti, che convergono tutti verso un punto centrale.
Davanti al rilievo c’è una vasca che un tempo doveva essere piena d’acqua.
C’è una spaccatura nella
roccia dove ci sono delle
sculture di naga, ovvero
divinità serpentine. Abbiamo
in basso un naga a forma
totalmente animale, poi una
femmina naga con corpo
metà umano e metà
serpentino e infine sopra c’è
il re naga. I corpi sono
lunghi e affusolati, con dei movimenti morbidi. Il risultato finale e d’insieme è una sobrietà di dettaglio
nella scultura, anche se i personaggi sono sempre ingioiellati perché la bellezza naturale non è
sufficiente per l’India. I visi sono bellissimi e sono standardizzati, perché non c’è mai una volontà di
ritratto. I naga sono simbolo dell’acqua e si pensa che dall’alto scendesse una cascata d’acqua, tenuta
in qualche modo distaccata dalle sculture, che si raccoglieva nella vasca sottostante. È una scena che
si svolge nella foresta con tanti animali, in quanto la scultura pallava è particolarmente amante degli
animali.
La scena centrale presenta due personaggi principali e degli esseri semidivini con corpo metà umano
e metà di uccello. Quello che interessa di più della parte centrale sono però due personaggi, perché
tutti i personaggi convergono verso di essi. Uno è un personaggio che pratica ascesi, in piedi su una
gamba sola, con le braccia alzate e con le mani incrociate, raffigurato con il corpo magrissimo e
atrofizzato. Affianco c’è un personaggio più grosso che è il dio Shiva riconoscibile dalla tiara e dal
tridente. I personaggi intorno si chiamano Gana, che sono il corteggio di demonietti che
accompagnano sempre il dio Shiva nelle sue imprese.
L’interpretazione del rilievo è molto incerta. Se si va sul posto questo rilievo è definito Arjuna’s
penance (L’ascesi di Arjuna). In questo caso bisogna collegarsi al poema Mahabharata, che vuol dire il
grande poema dei discendenti Bharata, un personaggio mitologico che è considerato uno dei
capostipiti del popolo indiano (l’India chiama se stessa Bharat Ganarajya, che vuol dire regno della
gente de discendenti di Bharata). È un poema di enorme lunghezza con diciotto libri. Questi libri
contengono la storia della lotta dinastica, che avviene intorno a Delhi, tra due famiglie di cugini che
sono i Pandava, che sono cinque fratelli, e i Kaurava, che sono cento fratelli. I Pandava sono i buoni,
quelli che alla fine vincono e che hanno il diritto di ereditare il trono. I Kaurava sono invece quelli dalla
parte del torto. Tutta la storia va verso una grande guerra finale, un disastro cosmico dal quale
usciranno vincitori solo i Pandava. Ma il Mahabharata non contiene solo la storia della lotta dinastica
tra i Pandava e i Kaurava, ma si propone anche come una grande enciclopedia di tutto il sapere
religioso elaborato fino a quel momento. Fino a poco tempo fa si pensava che fosse stato composto
tra il IV-III secolo a.C. e il IV-V secolo d.C., ora invece si propende verso una datazione tra il II e il I
secolo a.C. Arjuna è uno dei fratelli Pandava e c’è un episodio in cui compie un’enorme ascesi, durata
più di mille anni, perché in questa lotta dinastica Arjuna vuole ottenere dal dio Shiva un’arma
invincibile (nel Mahabharata girano armi che sono divine e imbattibili). Poiché questa ascesi viene
compita da Arjuna in montagna vicino al fiume Gange, tutta la scena circostante giustifica
quest’interpretazione.
C’è però un’altra interpretazione che ha a che fare con il mito che esprime la discesa del fiume Gange
dal cielo. Il mito vuole che a un certo punto ci sia un grande sacrificio vedico dei tempi antichi, che è il
sacrificio del cavallo e si chiama ashvamedha (ashva vuol dire «cavallo» e medha è una delle parole
per «sacrificio»). Questo sacrificio consisteva nel prendere una cavallo bianco e nel farlo girare per un
anno libero nei confini del regno, con la scorta armata al seguito per non farlo perdere. È un modo
per il sovrano per dire che tutto quel regno era suo. Poi alla fine dell’anno il cavallo veniva ucciso e
offerto agli dei. Questo è un rito vedico legato alla figura del sovrano. Il mito ci dice che a un certo
punto c’è il re Sagara, che vuol dire «oceano», che libera il cavallo e lo fa seguire dai suoi sessantamila
figli. Questi figli mentre girano intorno a questo cavallo bianco, disturbano un asceta, che hanno
questo tapas, un potere caldo, e che il mito ci fa vedere molto pronti all’ira. Se li si fa arrabbiare loro
scaricano il tapas, che bisogna vedere come una sorta di fulmine che incenerisce. Quindi questo
asceta libera il potere caldo e li incenerisce, riducendoli in cenere. Un discendente di questi
sessantamila figli di Sagara, che si chiama Bhagiratha, a un certo punto vuole purificare le ceneri dei
suoi antenati e fa ascesi per ottenere che il Gange, che fino a quel momento lì scorre soltanto in cielo,
scenda in terra e porti fino all’oceano le ceneri dei suoi antenati per purificarle. Infatti l’altra
interpretazione è che questo personaggio non sia Arjuna ma che sia Bhagiratha, che ottiene
l’intercessione del dio Shiva perché il Gange (detto anche la Ganga) scenda dal cielo.
Una ventina di anni fa lo studioso Michael Rabe ha dato un’interpretazione diversa, che oggi è quella
normalmente accettata, ed è quella che questo pannello sia un doppio senso, che raffigura
contemporaneamente entrambi i miti, con lo scopo finale di esaltare e glorificare la dinastia Pallava
attraverso la raffigurazione dei sovrani Pallava e di antenati della dinastia Pallava. Ma il cuore di
questa interpretazione è che questa scena centrale sia un doppio senso, che raffigura sia la discesa
del Gange sia l’ascesi di Arjuna. La cosa potrebbe sembrare l’invenzione di uno studioso, ma invece
non è strano nel contesto dell’India antica perché si sa dell’esistenza di poemi in sanscrito che nello
stesso testo raccontano due storie diverse, a seconda di come vengono letti. Il sanscrito è una lingua
che si presta moltissimo a questo tipo di cose, nel senso che è una lingua che si serve di lunghi
composti e a seconda di come spezziamo un determinato composto, la parola può dire cose diverse in
base a come la leggiamo. Inoltre si sa che un poeta vissuto alla corte Pallava, che si chiamava Dandin,
fu uno dei primi a comporre un poema a doppio senso, che è un poema oggi perduto.
Le altre opere di questo sito sono la serie di templi in grotta, che presentano grandi pannelli scolpiti.
Poi