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CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS (ROSSANO CALABRO, MUSEO
DIOCESANO; METÀ VI SECOLO)
È un manoscritto in pergamena purpurea e in crisografia, prodotto probabilmente a metà del VI
secolo. Originariamente era composto da 400 fogli, ma solo 190 sono sopravvissuti. Contiene dei
testi neotestamentari, tra cui il Vangelo di Matteo, conservatosi integralmente, e parte di quello di
Marco. I Vangeli di Luca e di Giovanni non is sono conservati, se non in alcuni fogli sparsi, a causa
di un incendio avvenuto tra il XVII e il XVIII secolo.
Nel codice è inclusa la lettera di Eusebio a Carpiano riguardante la concordanza dei Vangeli.
È un codice adespoto (non si conosce il nome dell’autore o degli autori), è scritto in maiuscola
biblica (o onciale) greca e presenta uno dei più ricchi apparati iconografici dell’epoca: sono
illustrati episodi della vita di Gesù, i suoi miracoli e le parabole; sono presenti 3 miniature di altro
soggetto:
il ritratto dei quattro evangelisti all’interno di tondi; sono identificati dalle iniziali del
• nome, tranne Matteo, identificato dal nome per esteso. Al centro del tondo è vergata
un’iscrizione in greco riguardante la struttura del canone della concordanza dei Vangeli.
Questa illustrazione costituiva probabilmente il frontespizio introduttivo;
segue la lettera di Eusebio a Carpiano; Carpiano è probabilmente un nome fittizio che
• Eusebio scelse quale dedicatario delle sue tavole dei canoni;
la raffigurazione dell’evangelista Marco all’inizio del suo Vangelo. Posto all’interno di
• un’architettura illusionistica, Marco sta scrivendo l’inizio del suo Vangelo in greco su un
rotolo svolto; accanto a lui si trova una figura femminile stante, avvolta in una maphorion
(velo) azzurro, a rappresentare la Sapienza che ispira l’evangelista (è un riferimento all’idea
antica dell’origine divina della letteratura). La seduta di Marco ricorda la cattedra eburnea
del vescovo Massimiano (Ravenna; metà del VI secolo), sul cui fronte c’è la
rappresentazione dell’homme arcade, un motivo ampiamente utilizzato nell’arte medievale
che sorge durante l’epoca tardo-antica al calare del tuttotondo (con il declino del tuttotondo
la figura perde stabilità e consistenza e queste le sono restituite dall’arco).
Il rapporto tra scrittura e pittura nel Codex è consistente: nella parte centrale del codice ci sono
rappresentazioni dei profeti nimbati che indicano le scene dove avviene quanto da loro profetizzato;
al di sotto, in uno specchio di scrittura alto e stretto, è inserito il testo profetico relativo alla scena.
L’impaginato è costante per ogni illustrazione.
L’Ultima Cena è associata alla Lavanda dei piedi secondo i dettami tipici della lettura orientale.
La Comunione degli Apostoli è un tema iconografico di poco successo in Occidente, ma molto
comune in Oriente. Dalla tradizione orientale viene ripresa la posa della preghiera (che in Occidente
è quella dell’orante). Sono caratteristiche che aiutano a collocare lo scrittorio di produzione.
Il centro nevralgico di ogni scena è il Salvatore: è abbigliato con il chitone e il clave (che deriva
dall’abbigliamento senatorio) dorato e con l’imation color oro e attorno alla testa ha il nimbo
crucifero.
C’è una grande attenzione ai dettagli somatici: San Pietro ha una folta capigliatura, Sant’Andrea ha
i capelli arruffati, San Giovanni apostolo è imberbe (mentre quando è nel ruolo di evangelista è
rappresentato come un anziano).
La miniatura che illustra la parabola del buon samaritano mostra come l’immagine integri il
testo: infatti, l’angelo non compare nella narrazione, ma viene disegnato ed è inteso come
personificazione dell’amore verso il prossimo.
Il miniatore dimostra la volontà di esaltare il dato naturalistico: nella scena della cacciata dei
mercanti dal Tempio c’è una grande varietà di registri espressivi.
Le due miniature più importanti sono l’avvio e la conclusione del processo a Gesù e danno
l’immagine di come, molto probabilmente, era organizzato un antico tribunale romano
(praetorium). Al centro è seduto Ponzio Pilato (tra il 26 e il 36 d.C. fu governatore della Galilea),
che impugna il rotulo della legge (simbolo dell’auctoritas e della maestà dello ius romanus) e dietro
al quale ci sono due signifera con le riproduzioni a mezzo busto di Ottaviano Augusto e Tiberio,
rappresentati anche sulla tovaglia. Secondo Giuseppe Flavio Ebreo, autore del De bello iudaico,
Pilato fu il primo governatore ad usare i ritratti degli imperatori (invece, i suoi predecessori decisero
di rispettare la legge ebraica che proibiva le immagini).
Alla sinistra di Pilato ci sono cinque funzionari, il cui abbigliamento alla bizantina (il tablion che
indossano indica il rango e la capacità economica ed ha la stessa funzione del clave) indica la loro
importanza), alla sua destra Anna e Caifa, gli accusatori di Gesù. Nella scena conclusiva del
processo Pilato è tra due ali di folla, notarius prende nota della sentenza su di una tavoletta, sul
tavolo sono disposti gli strumenti di scrittura.
Il Codex Rossanensis è uno dei sette codici orientali miniati sopravvissuti: gli altri tre scritti in
greco sono la frammentaria Genesi Cotton (IV-V secolo), la Genesi di Vienna (prima metà del VI
secolo) e il Codex Sinopensis (VI secolo); i restanti tre sono in lingua siriaca.
Il Codex presenta molteplici problematiche:
localizzazione e provenienza
• agli inizi del ‘900 l’opinione più diffusa collocava l’origine del manoscritto nel Sud Italia;
poi, i dettagli iconografici e stilistici hanno portato ad un’ipotesi orientalista, secondo la
quale sarebbe stato confezionato in un monastero dell’Oriente bizantino (sono state proposte
Antiochia in Siria, Efeso in Asia Minore e Alessandria d’Egitto);
datazione
• la maggior parte degli studiosi colloca il manoscritto alla metà del VI secolo (Fernanda de’
Maffei colloca il manoscritto a Cesarea attorno alla metà del VI secolo);
committenza
• molto probabilmente fa riferimento all’entourage imperiale costantinopolitano o a persone
che gravitavano strettamente attorno alla corte;
uso
• Guglielmo Cavallo ha ipotizzato che il manoscritto fosse un simbolo da porre sull’altare o
da portare in processione; secondo altri studiosi era impiegato durante la liturgia;
arrivo a Rossano Calabro
• durante la guerra greco-gotica (narrata da Procopio di Cesarea), e in particolare tra il
539/540 e il 550, Rossano Calabro fu il centro nevralgico dello scontro tra bizantini e
ostrogoti per il controllo della penisola. Tra il 552 e l’XI secolo Rossano Calabro fu tra le
zone d’Italia più vitali (nell’XI secolo i Normanni arrivarono in Italia) per cui si è ipotizzato
che il manoscritto vi sia giunto tra il 635 e il 638, portato da monaci greci in fuga
dall’espansione musulmana.
Secondo un’altra ipotesi il manoscritto sarebbe arrivato nella città a metà dell’VIII secolo,
portato da monaci iconoduli in fuga dalle persecuzioni iconoclaste.
Venne utilizzato nella chiesa di Rossano Calabro fino al 1460 come elemento fondamentale
della liturgia greco-bizantina; poi, a causa della latinizzazione forzata da parte della Chiesa di
Roma, il codice cadde in disuso.
Il lessico pittorico del Codex ha radici nel mondo ellenistico e permette dei parallelismi con il
linguaggio basato sull’interazione tra canoni e tra centro e provincia.
LA MINIATURA PRECAROLINGIA
Il momento in cui avviene il passaggio dalla tarda antichità al Medioevo dal punto di vista
artistico è il VII secolo: la produzione artistica di questo secolo si concentra soprattutto sull’aspetto
ornamentale della metallistica. Le creazioni artistiche dovettero molto alle tradizioni esornative
delle civiltà che divennero familiari all’Europa a causa della situazione storico-politica-culturale.
A Oriente emerge l’Islam, che riprende il divieto delle immagini dall’ebraismo e fa ampio uso
dell’arabesco fitomorfo. L’arte sassanide informò la decorazione dei manoscritti. La discesa dei
Longobardi in Italia diede un nuovo impulso al lessico esornativo. In ambito insulare una
testimonianza della decorazione del VII secolo è data dal tesoro della nave funerario di Sutton Hoo.
Questo interesse per la decorazione e per il lessico decorativo è concentrato dai miniatori all’inizio
dei manoscritti. È il luogo nel quale si verifica un episodio significativo del Medioevo, ovvero
l’intreccio di scrittura, decorazione e immagine.
L’iniziale non è un’invenzione medievale: ad esempio, nel Codex Alexandrinus (Londra,
British Library, Royal ms. I; metà del V sec.), ci sono lettere iniziali che hanno un modulo più
grande rispetto alle altre lettere. Sono lettere che rappresentano il punto di partenza per lo sviluppo
che ebbe l’iniziale post-classica; il suo maggior sviluppo si ebbe nella produzione irlandese.
Già nel Salterio di San Colombano (Dublino, Royal Irish Academy, s. n.; 600 ca.) si hanno le
prime attestazioni dell’attitudine a decorare le lettere iniziali, le quali sono seguite da altre il cui
modulo diminuisce progressivamente. Queste iniziali sono contenute nello specchio della scrittura.
Alla fine del VII secolo questi preludi esplodono nelle iniziali di grandi dimensioni dal corpo
estremamente caratterizzato. Il Libro di Durrow (Dublino, Trinity College, ms. 57; 680 ca.) è un
evangeliario conservatosi nella sua interezza e realizzato in un monastero da dei miniatori irlandesi.
Contiene i Vangeli secondo la versione di Ireneo, che presenta minime differenze rispetto alla
versione di San Girolamo (ad esempio, i simboli di Marco e di Giovanni sono invertiti). Il repertorio
del quale si servono i calligrafi miniatori è di antica ascendenza celtica (è il lessico usato
nell’oreficeria, ovvero motivi spiraliformi a cerchi concentrici o a labirinto).
L’Irlanda abbracciò il cristianesimo nel corso del V secolo e i monaci irlandesi fondarono monasteri
nelle isole e nel continente. Pacht afferma che per quella cultura esistente prima della tradizione
letteraria e della cristianizzazione, il libro è simbolo di un mondo superiore al quale ora poteva
avere accesso: per questo furono gli irlandesi a dare così tanta importanza all’iniziale.
Il codice nel quale si ebbe la compenetrazione della cultura barbarica nordica e di quella
mediterranea è il libro dei Vangeli, il quale attrae tutta questa attenzione per l’arte esornativa.
Un motivo tipico della miniatura insulare è il motivo ad intreccio (anche di tipo zoomorfo); la
decorazione ad