vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Ibidem
10 Ivi, p. 807
11 5
2.1.1. Il postulato che tenta di risanare il dissidio tra la moralità e la natura esterna: il Sommo
bene L’armonia tra la moralità e la natura, ovvero
[…] l’armonia tra moralità e felicità, è pensata
come essente in modo necessario, è, cioè,
12
postulata
Secondo Kant i filosofi greci hanno invano tentato di sciogliere l’antinomia etica tra felicità e virtù
o risolvendo la prima nella seconda (gli stoici) o viceversa la seconda nella prima (gli epicurei). In
realtà, per lui questi sono tentativi effimeri, poiché in questa vita la dicotomia è destinata a
permanere; ma se la moralità necessita dell’autodeterminazione del soggetto, la natura non può
venire semplicemente “silenziata” nelle sue esigenze da un imperativo impositivo: deve viceversa
essere concepita come il compimento della moralità, ossia la natura deve potersi conformare al
dovere. Non avvenendo ciò nella realtà, è necessario postulare l’esistenza di un Dio come Sommo
Bene che riunisca insieme moralità e natura. Questo postulato, quindi, rappresenta in qualche modo
una terra promessa: l’armonia è un’esigenza che va postulata, anche se (o proprio perché) non la
sperimentiamo mai. La coscienza tuttavia non soltanto e non primariamente vuole credere a questa
prospettiva per potersi raffigurare felice in un indeterminato avvenire, ma deve addirittura crederci
per essere morale: “Questa esistenza che viene postulata, di cui si enuncia l’esigenza, e che è l’unità
delle due coscienze, non è perciò un desiderio, un auspicio[…] Tale esistenza è invece un’esigenza
della ragione” 13
Tuttavia, secondo Hegel, le contraddizioni permarrebbero nonostante il postulato kantiano: la
coscienza stessa sarebbe consapevole della natura fittizia del postulato; tale consapevolezza è
evidente per un motivo semplice: la coscienza agisce. In questo modo dimostra in modo duplice di
non prendere sul serio il postulato:
a- Poiché il senso dell’azione è “rendere presente ciò che non dovrebbe essere nella presenza” ,
14
quando si agisce “non si prende sul serio la non-conformità tra il fine e la realtà; al contrario,
sembra che si prenda sul serio l’azione in quanto tale.” 15
Ivi, p. 807
12 Ibidem
13 Ivi, p. 823
14 Ivi, p. 825
15 6
b- Nel Sommo bene ci dovrebbe essere coincidenza di moralità e natura; dal momento che si agisce
solo partendo dal presupposto di rimuovere qualcosa di negativo, se si credesse davvero al postulato
non si agirebbe, poiché anzi con l’azione si andrebbe a violare la perfetta coincidenza tra natura e
legge morale.
2.1.2. Il postulato che tenta di risanare il dissidio tra moralità e natura interna: l’immortalità
dell’anima […] tale unità è un essere postulato. Essa non
esiste, non si dà; ciò che si dà infatti, è la
coscienza, è l’opposizione tra la sensibilità e la
16
coscienza pura
La morale deve essere una sorta di ordine impositivo poiché è contro la nostra natura; per questo
potremo essere buoni ma non santi. Tuttavia la moralità pretende la santità, la quale si realizza solo
nel momento in cui la natura dovesse seguire le leggi della moralità, o viceversa quando le leggi
della moralità non urtassero contro una natura a esse contrapposta. Ciò accade solo se ricorriamo a
un altro postulato kantiano: l’immortalità dell’anima.
Come accade per il primo postulato, anche per questo secondo Hegel non c’è una vera convinzione
di esistenza da parte della coscienza. Infatti accade che, quando l’autocoscienza morale stabilisce il
proprio fine come puro, e cioè indipendente da inclinazioni e impulsi, tale fine puro in sé ha
eliminato la sensibilità e i fini sensibili. Tuttavia, quando questa stessa coscienza agisce, “la
sensibilità autocosciente che dev’essere rimossa è il termine medio tra la coscienza pura e la realtà:
la sensibilità è lo strumento della realizzazione della coscienza pura, è il suo organo, è ciò che viene
chiamato impulso, inclinazione. La rimozione delle inclinazioni e degli impulsi, pertanto, non è
affatto una cosa seria, perché essi costituiscono appunto l’autocoscienza nella sua realizzazione.”
17
Perciò, capendo che inclinazioni e impulsi non possono essere soppressi, si cerca di conformarli alla
ragione (l’azione morale è infatti vista come l’armonia tra impulso e moralità). Il problema sorge
dal momento che “l’impulso non è semplicemente questa figura vuota che deriverebbe il proprio
impellere da una molla interna diversa da se stesso; la sensibilità, infatti, è una natura che ha in sé le
sue proprie leggi e le sue proprie molle.” Di conseguenza, è una pretesa infondata, quella della
18
moralità, di essere la molla per la sensibilità, la molla che dà l’impulso agli impulsi, l’angolo di
Ivi, p. 809
16 Ivi, p. 829
17 Ibidem
18 7
inclinazione delle inclinazioni. L’armonia tra moralità e sensibilità è perciò solo postulata in una
lontananza nebulosa, poiché il nostro tentativo di concepirla come reale ed effettuale fallisce: “in
definitiva, la coscienza dimostra immediatamente di non prendere sul serio la perfezione morale
proprio trasponendola e dilazionandola all’infinito, cioè affermando che la perfezione non giunge
mai a realizzarsi.” 19
Se è pur vero che la perfezione non giunge mai a realizzarsi, la coscienza considera tuttavia valido il
percorso verso lo stato di perfezione; questo, lungi dall’essere una riprova della validità del
postulato, è una conferma del suo fallimento: nella moralità non c’è progresso, poiché “tanto un
progresso quanto un decremento introdurrebbero nella moralità delle differenze di grandezza” ,
20
mentre “nella moralità, in quanto coscienza che considera il fine etico come il dovere puro, non si
deve pensare a una diversità in generale.” Dal momento che riteniamo valido solo il processo
21
verso uno stato di perfezione, torniamo al primo postulato, nella misura in cui, essendo la coscienza
consapevole della propria imperfezione, non crede di meritare la felicità come qualcosa di cui
sarebbe degna, ma può solo augurarsi che le giunga da una libera grazia. Non può perciò attenderla
da Dio, Sommo Bene, ma dal caso e dall’arbitrio. Non essendo la santità di questo mondo, e perciò
neanche la moralità in senso pieno, anche il fatto che noi diamo a qualcuno un giudizio positivo in
base al quale meriterebbe una ricompensa e viceversa a qualcun altro un giudizio negativo in base al
quale meriterebbe un castigo non risiede perciò nelle azioni in se stesse di questi individui, dal
momento che, essendo tutti al massimo morali in modo imperfetto (essendo quindi tutti immorali
poiché la moralità esige la perfezione), non ci può essere qualcuno che più degli altri abbia meriti o
demeriti; questo nostro giudizio risiede invece nel grado di amicizia o di invidia che proviamo verso
colui che di volta in volta andiamo a giudicare.
2.2. Il postulato che tenta di risanare il dissidio tra particolarità e universalità: il
Legislatore santo E’ dunque postulata l’esistenza di un’altra
coscienza che renda santi tali doveri molteplici,
22
che li sappia e li voglia appunto come doveri
Ivi, p. 831
19 Ibidem
20 Ibidem
21 Ivi, p. 813
22 8
La coscienza del dovere puro non riesce a considerare immediatamente come santo il dovere
determinato. La postulazione dell’esistenza di un Legislatore Santo che santifica i molti doveri è
perciò necessaria per riuscire a considerare essenziali i contenuti specifici dei molteplici doveri
senza slegarli dalla forma del dovere puro: nel Legislatore Santo, pertanto, “l’universale e il
particolare fanno in tutto e per tutto un’unica cosa e il suo concetto è dunque identico al concetto
dell’armonia tra moralità e felicità.” 23
Ancora una volta, tuttavia, si parla di contraffazione della Cosa. Nello specifico, Hegel adduce tre
motivi a questa considerazione:
a- L’autocoscienza morale si considera qualcosa di assoluto: di conseguenza “sa come dovere
soltanto il dovere puro” e “non può far santificare qualcosa mediante una coscienza diversa da sé:
essa infatti considera puramente e semplicemente santo solo ciò che è santo mediante ed entro se
stessa.”
24
b- È inoltre assurdo pensare che l’altra essenza postulata sia un’essenza santa: “in tale essenza,
infatti, dovrebbe ricevere l’essenzialità un qualcosa che in sé, per la coscienza morale, non ha
nessuna essenzialità” . Ragion per cui c’è motivo di pensare che o l’essenza postulata come santa
25
non sia davvero santa o viceversa l’essenza santa, in quanto santa, al suo interno dia validità
soltanto al dovere puro.
c- Se l’essenza postulata è santa, essa rappresenta la moralità perfetta: in essa la moralità non sta in
rapporto con la natura e la sensibilità, a differenza di quanto avviene nella coscienza; ma “la realtà
del dovere puro è la sua realizzazione nella natura e nella sensibilità” : è proprio in questo che
26
consiste l’imperfezione della coscienza morale e tuttavia la sua condizione necessaria di
consapevolezza e realtà. Infatti il concetto stesso di moralità non è solo quello di essere pensiero del
dovere puro ma insieme anche volontà e attività. Per questo motivo il Legislatore del mondo, in
quanto essenza morale pura, è “una nuova contraffazione della Cosa e va respinta.” Questa
27
essenza pura cade infatti nella contraddizione di dover essere slegata dalla realtà pur essendo reale:
“la sua verità deve consistere (a) nell’essere opposta alla realtà, interamente libera da essa e vuota, e
poi, di nuovo, (b) nell’essere realtà” 28
Ibidem
23 Ivi, p.835
24 Ibidem
25 Ibidem
26 Ivi, p. 837
27 Ibidem
28 9
3. Le contraddizioni della moralità kantiana
Secondo Hegel, analizzando le conseguenze a cui giunge la moralità kantiana, se ne può decretare il
suo fallimento;