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Intuizione e sensazione
Mediante l'intuizione la sensazione, che è l'effetto prodotto dall'affezione della sensibilità, è dotata di proprietà di cui alcune sono possibili solamente per la particolare natura (reattiva) della nostra sensibilità e per questo hanno necessità, mentre altre hanno il loro fondamento nella sensazione stessa, e perciò sono contingenti. P. es. che la libreria sia lunga, larga e alta, deriva da quella natura della mia sensibilità per cui essa si rappresenta qualcosa come esteso secondo tre dimensioni; che però la libreria abbia la sua determinata grandezza secondo tre dimensioni (p. es. larga m.4, lunga m. 10, alta m. 5), è contingente, e risiede nella natura della sensazione.
Spazio e tempo sono le forme a priori della sensibilità: soltanto per mezzo di esse qualcosa può essere intuito; esse non sono né essenze reali (Newton) né rapporti che convengono alle cose in sé (Leibniz).
ma rapporti inerenti solamente alla forma dell'intuizione sensibile. Non sono concetti empirici, astratti dalla percezione di rapporti spaziali esistenti tra gli oggetti esperiti, ma la loro rappresentazione deve essere già a base se devo rappresentarmi qualcosa come esterno a me e come simultaneo o successivo.
Se astraiamo dalla nostra condizione soggettiva, lo spazio e il tempo non assolvono più alcuna funzione di ordinamento e non hanno alcuna realtà: sono un nulla; sono invece reali, hanno cioè validità oggettiva, soltanto in riferimento ai fenomeni; riguardo alle cose in sé, sono soltanto ideali.
L'Estetica trascendentale fornisce una prima risposta alla domanda di come la conoscenza dell'oggetto possa essere estensiva, di come siano possibili giudizi sintetici a priori. La loro possibilità risiede nelle forme a priori dell'intuire, mediante cui sono date a noi, in quanto soggetti umani, determinazioni.
oggettive “per noi”, cioè fenomeni. Il secondo e ultimo passo nella risposta alla suddetta domanda è compiuto nell’Analitica trascendentale e consiste nel dimostrare che l’intuizione spazio-temporale esige il nostro pensiero per connettere nel giudizio a priori p. es. una parte dello spazio con l’altra o un momento del tempo con l’altro, per andare oltre il concetto di una parte e per unificare così sinteticamente con esso il concetto dell’altra.
Analitica trascendentale: il contributo dell’intelletto nella costruzione del mondo fenomenico
A livello di Estetica trascendentale non si può ancora parlare di conoscenza di un oggetto, ma soltanto di sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive, gustative spazialmente e temporalmente coordinate. Ma, per ottenere conoscenze, occorre che il molteplice sensibile sia connesso nello spazio e nel tempo, sintetizzato dall’immaginazione e sussulto dall’intelletto sotto una categoria.
Questa triplice attività di radunare, di percorrere con una specie di "sguardo spirituale" e di collegare le rappresentazioni sensibili è da K. chiamata sintesi. La sintesi è ciò che propriamente raccoglie gli elementi per le conoscenze e li unifica per formare un certo contenuto; essa precede l'analisi, la quale è la scomposizione di una conoscenza già data nei suoi elementi mediante cui la conoscenza diventa distinta. L'analisi non può costituire l'inizio della nostra conoscenza. Infatti, prima di poter analizzare qualcosa, deve esserci qualcosa di composto da analizzare. L'intelletto esplica la sua funzione sintetica, unificatrice, nel giudizio, definito come la conoscenza mediata di un oggetto. In ogni giudizio c'è un concetto (il predicato) che è valido per molte rappresentazioni e, tra queste, comprende anche una rappresentazione data, che funge da soggetto del giudizio e che è.riferitaimmediatamente all'oggetto (pensato nel soggetto per mezzo del concetto). P. es. nelgiudizio: tutti i corpi sono divisibili, il concetto di divisibilità (proprio del predicato)si riferisce a molti altri concetti (spazio,tempo, idea, numero ecc.), ma qui esso èriferito soprattutto al concetto di corpo, e questo a certi fenomeni che ci appaiono(metallo ecc.). Dunque questi oggetti (i corpi) sono rappresentati non in ciò che essihanno di proprio, ma in ciò che hanno in comune con altre cose, ossia nella proprietàdella divisibilità; ora, questo riferimento del concetto all'oggetto si dice mediato.La funzione unificatrice dell'intelletto nel giudizio è assolta da un concetto puro ocategoria dell'intelletto. K. dimostra l'apriorità delle categorie e il loro numero(dodici) dalla loro perfetta corrispondenza con la tavola dei giudizi: quante specieessenzialmente diverse di giudizi ci sono,
Altrettante categorie devono esserci. Esiccome si danno dodici giudizi raggruppabili in quattro classi (quantità, qualità, relazione, modalità), si daranno anche dodici categorie, anch'esse articolabili in quattro classi.
Il concetto di unificazione abbraccia in sé tre concetti: a) quello di molteplice, che è unificato; b) quello di unificazione dello stesso molteplice; c) quello di unità. Una tale unità è quella che rende possibile il pensiero in generale ed è individuata nell'asponaneità dell'intelletto, ma il principio da cui essa trae origine è cercato "ancora più in alto", nell'io penso, l'io in quanto soggetto dell'atto a priori sintetico del pensare. Esso è un'unità funzionale, è la forma di tutte le nostre rappresentazioni, la loro condizione a priori; non designa un contenuto conoscitivo, non esibisce nulla né dell'io.
empirico né dell'io in sé; la sua spontaneità consiste unicamente nel conferire unità a un molteplice intuitivo dato.
L'atto dell'unificare deve essere unico e valido per ogni unificazione: tutte le rappresentazioni devono venir pensate perché se ne possa avere coscienza e quindi si possa appercepirle. Ma ciò esige che l'atto di pensare sia unico in ogni coscienza; se così non fosse, se cioè le rappresentazioni "tutte insieme non appartenessero a una autocoscienza", "non sarebbero tutte insieme mie rappresentazioni". Se la coscienza mutasse con il molteplice dato, avrei "un me variopinto, diverso, al pari delle rappresentazioni delle quali ho coscienza". A base di tutto il procedimento sintetico devo porre un'autocoscienza pura e originaria, cui tutte le mie rappresentazioni appartengano per poter essere riconosciute come mie; inoltre devo porre l'unità di essa.
come la condizione per cui soltanto esse possano essere unificate. L'intelletto prescrive ai fenomeni le leggi su cui si basa una natura in generale. Natura formaliter spectata è l'espressione kantiana che sottolinea la legalità dei fenomeni; natura materialiter spectata è l'espressione kantiana che designa l'insieme dei fenomeni dati dall'intuizione sensibile. Hegel: la sua epoca come epoca di scissione La formazione di Hegel, a differenza di quella di Cartesio o di Kant, avviene non sul piano strettamente filosofico-scientifico ma a contatto con la più ampia problematica storico-sociale. La pubblicazione e l'analisi degli scritti giovanili di H. hanno provato l'assenza di tematiche speculative nel periodo della sua formazione. A Tubinga, a Berna e a Francoforte H. si interessa prevalentemente di questioni religiose, politiche e anche economiche in stretta relazione con la situazione reale. La filosofia in senso stretto.costituisce invece lo sbocco della riflessione giovanile ed è reclamata dall'impotenza della religione cristiana a superare le lacerazioni del tempo di H. A Jena ha inizio il vero e proprio iter speculativo di H., che nello stato di "scissione" della propria epoca e degli animi degli uomini individua l'origine del "bisogno" della filosofia, di una filosofia nuova rispetto a quella intellettualistica di Kant e di Fichte, "speculativa", fondata sulla ragione anziché sull'intelletto, in grado di conciliare le scissioni e di restaurare nella vita degli uomini la "potenza dell'unificazione".
(N. B. Per il significato di intelletto e di ragione si veda più avanti l'esposizione del contenuto della Fenomenologia dello spirito).
Il carteggio di H. con Schelling del 1794-1795 è un documento di estremo interesse per documentare come all'inizio della sua riflessione filosofica H. si tenga
lontanodalla pura teoresi, dalle questioni riguardanti l’io e la natura, il criticismo e ildogmatismo (Schelling) e prediliga invece indagare la realtà umana, i “bisogni” delsuo tempo. Da Berna, dove si è trasferito nell’ottobre del 1793, H. chiede all’amicoSchelling notizie sulla vita culturale di Tubinga, dove aveva seguito gli studi diteologia. Schelling gli risponde descrivendogli la situazione venutasi a creare aTubinga in campo teologico-filosofico: è in atto un connubio fra teologia e filosofiakantiana, e quest’ultima è utilizzata per difendere la religione. Per conto suo,Schelling confessa a H. che si impegnerà a spezzare questo legame attraverso unamigliore fondazione del criticismo: Kant ha infatti fornito i risultati, ma non ha postosaldi principi. Nella sua risposta a Schelling alla fine del mese di gennaio H. mostradi non condividere l’orientamento di tipo speculativo dell’amico e neProspetta un'odiverso, che intende riprendere i risultati, le conseguenze della filosofia critica, più specificamente della filosofia morale kantiana. In questa H. individua una potenziale forza che trae origine dalla "dignità" rivendicata all'uomo e che è capace di trasformare la realtà del suo tempo, caratterizzata dallo scellerato connubio tra religione e politica, da cui trae origine secondo H. il dispotismo del mondo politico. La religione "ha insegnato ciò che il dispotismo voleva, il disprezzo del genere umano, la sua incapacità di fare alcunché di buono, di essere qualcosa per se stesso". A questo connubio è imputabile il ritardo dell'elevazione della dignità umana, il cui riconoscimento è la condizione per una trasformazione storico-politica dell'epoca. La Vita di Gesù è lo scritto di Berna del 1795 in cui Hegel sviluppa i temi centrali de La religione entro i
ha insegnato l'amore per il prossimo come se stesso e ha invitato i suoi seguaci a seguire questo insegnamento. Secondo Kant, l'imperativo categorico della ragione pratica richiede di agire solo secondo massime che potrebbero diventare leggi universali. Pertanto, interpretando i testi evangelici secondo gli imperativi della ragione pratica di Kant, si potrebbe affermare che Gesù ci invita ad amare il prossimo come se stessi in modo universale, cioè agendo sempre in modo tale che questa massima possa essere applicata da tutti. Questo implica che dovremmo trattare gli altri con rispetto, compassione e gentilezza, senza discriminazione o egoismo. Inoltre, Kant sostiene che dovremmo agire sempre in modo tale da considerare l'umanità, sia in noi stessi che negli altri, come un fine in sé e non solo come un mezzo per raggiungere i nostri scopi personali. Pertanto, interpretando i testi evangelici secondo gli imperativi della ragione pratica di Kant, si potrebbe affermare che Gesù ci invita a considerare l'umanità come un fine in sé e ad agire sempre in modo tale da promuovere il bene comune e il rispetto reciproco.