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La nascita dell'IMI e dell'IRI nell'Italia della grande crisi
Nell'Italia della grande crisi fu la costituzione dell'Istituto mobiliare italiano (IMI) nel 1931: in linea con quanto fanno gli altri paesi con l'intervento statale, le 3 banche (Credit, Comit, Banco di Roma) italiane vengono salvate e lo stato diventa l'azionista di maggioranza e il controllore delle banche che prima erano private.
Nel 1933, due anni dopo la nascita dell'IMI, viene fondato l'IRI (Istituto per la ricostruzione industriale) che dà vita a quello che viene definito lo "stato imprenditore" accanto all'impresa privata. L'ingresso del governo nelle proprietà delle imprese fu talmente forte, che finì per controllare il 20% delle imprese, e indirettamente anche un altro 20%: divenne proprietario dell'Ansaldo, dell'Ilva, delle Acciaierie di Terni e di quelle Cogne in Val D'Aosta, la SIC, e l'EIAR cioè l'antenata della Rai, per il controllo radiofonico. Una massiccia presenza.
Il regime fascista introdusse un sistema di economia mista con una forte presenza sia del settore privato che di quello pubblico. L'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) controllava tutti i settori attraverso le sue "finanziarie", come Finmeccanica, la Stet per le telecomunicazioni (società torinese per l'esercizio telefonico) e la Finmare per i trasporti marittimi. All'interno dell'IRI si sviluppò una classe dirigente altamente tecnica e poco politica, che non era di stampo fascista, ma che venne successivamente controllata dal regime fascista. Un esempio di questo è Beneduce, un ex-giolittiano che sopravvisse al fascismo e venne utilizzato per le sue grandi competenze tecniche. Oltre alla creazione dell'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) e dell'IRI, il terzo provvedimento riguardò ancora una volta il sistema creditizio, con l'approvazione della legge bancaria nel 1936, che comportò un grande accentramento del potere nella Banca d'Italia, l'unico istituto pubblico autorizzato a emettere moneta.
che avevano il ruolo di finanziare le imprese; l'altra conseguenza fu la fine delle banche miste, per tornare alla logica della specializzazione bancaria. La legislazione fu tanto importante che arrivò fino al 1993 quando venne introdotta la nuova legge bancaria. Il fascismo favorì i meccanismi di fusione per i consorzi obbligatori per le imprese in difficoltà; pose limitazioni ai tentativi di intraprendere nuove imprese. Ma di fatto le imprese dovettero cavarsela da sole, la Fiat ad esempio approfittò della crisi per ammodernare le proprie tecnologie in modo da poter riprendere vigore una volta terminata la crisi; la crescita industriale che si registrò si dette alla crescita dello sfruttamento dei lavoratori. La politica agricola non fu particolarmente innovativa: per le coltivazioni di grano vennero introdotti dei dazi abbastanza elevati che non favorirono una diversificazione produttiva e specializzazione anche in campo agricolo, e nonRiuscì a eliminare i grandi problemi che l'Italia si portava sin dall'unificazione come la questione meridionale, e non promosse un cambiamento dell'attività agricola in stampo capitalistico, specie nelle campagne meridionali. Un provvedimento fu quello delle bonifiche, ma finquando la bonifica rimase pubblica, ma quando passarono in mano ai privati la situazione rimase ferma. La leva principale utilizzata per far riprendere il versante dei consumi fu la spesa pubblica, non in maniera esponenziale, ma portò ad un aumento del debito pubblico, quindi non vi fu quel campo di passo che si registrarono altrove poiché mancava una visione organica che permettesse al paese di far progredire la sua economia. Un esempio di introduzione sociale assistenziale furono gli assegni familiari con obiettivo politico per potenziare le famiglie numerose da cui doveva nascere il rafforzamento della stirpe italiana ("Istituto degli assegni familiari" tutt'ora esistente).
In realtà si assistette a una mera riorganizzazione del sistema già precedentemente creato, come la grande intuizione di Nitti della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali che venne modificata in Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (INPS), che ebbe il merito di controllare non solo la questione della previdenza, ma anche i sussidi di maternità, disoccupazione o malattie di lavoro. Ancor meno venne fatto nell'ambito della sanità, perché la sanità pubblica sarebbe arrivata molto più tardi. Per la politica d'istruzione, aveva portato avanti la riforma Gentile di Giovanni Gentile che ebbe il merito di innalzare l'obbligo scolastico dei 14 anni, ma rimase ancorata agli studi umanistici e poco a quelli di carattere tecnico, che invece avrebbe avvantaggiato l'Italia in campo industriale. Il fascismo portò avanti una politica di spesa pubblica che fece nascere nuove città come Vittoria.(l'attuale Latina), vi fu un intervento nei centri storici, ma tutto il versante delle periferie venne abbandonato, come le "borgate" a Roma; venne costruita un tratto ferroviario tra Firenze e Bologna. La ciliegina sulla torta furono le spese militari, da questo punto di vista la conquista dell'Etiopia fu l'esempio più vistoso delle spese militari, che risultò in realtà un disastro economico in quanto regione priva di materie utili per le imprese e lo sviluppo. La campagna d'Etiopia portò però alle sanzioni della Società delle Nazioni, e il fascismo decise di interrompere i rapporti commerciali con i paesi stranieri e l'import e l'export si rivolse solo ai paesi amici come la Germania; Mussolini promosse la via dell'autarchia, ma fu un vero e proprio flop poiché l'Italia era una terra priva di materie prime e inoltre l'industria era orientata all'export. A capodell'autarchia nazionale venne posto il capo della confindustria, che era per definizione contraria a un'accesa rivolta con l'estero. L'economia italiana era originale (si diceva) segnata dal corporativismo, e le corporazioni entrarono in funzione nel 1934 ed erano istituzioni che tenevano insieme i rappresentanti dello stato e i rappresentanti delle industrie: di nuovo tripartizione ma non si parla di corporativismo pluralista bensì totalitario. I dati quindi mostrano che la crescita italiana fu pressoché stagnante, il Pil crebbe con un ritmo dell'1% annuo, molto meno degli altri Paesi europei: la grande novità fu che il 1938 fu l'anno del sorpasso dell'industria nei confronti dell'agricoltura (ma nel 1939 scoppierà la guerra) in cui il livello dell'agricoltura era molto elevato, ma l'industria in termini di ricchezza nazionale superava l'agricoltura. Si ebbe anche una nuova geografia industriale, ilIl triangolo mantenne la sua centralità, ma anche nuove regioni del paese come il Nord-est, l'Emilia, la Toscana, e anche al Sud come in Puglia e in Sicilia. Vi fu un cambiamento degli equilibri interni all'industria: durante il fascismo si ebbe un passaggio dalla Liguria alla zona della Lombardia dove si affermavano i poli industriali tecnici e chimici, e il vertice di Torino con la Fiat che riusciva a stare in piedi grazie al suo dinamismo produttivo, nacque infatti negli anni '30 lo stabilimento di Mirafiori. Alla fine degli anni '30 l'aspetto fondamentale della stagione che segnò le sorti del fascismo fu l'alleanza con la Germania nazista attraverso l'Asse Roma Berlino del 1936, con l'escalation della crisi europea della Guerra spagnola, l'aggressione dell'Albania da parte dell'Italia. L'Italia arrivò totalmente impreparata alla guerra quando la Germania attaccò la Polonia. Il disastro
italiano in guerra fu evidente dasubito: in Grecia, in africa vennero perse le colonie a vantaggio dell'Inghilterra, lasconfitta di Al Alamein, i grandi bombardamenti nelle città italiane che provocarono ilblocco del commercio e il crollo della produzione industriale. N quei mesi gli industrialicominciarono a capire che il fascismo era in perdita e prepararono la loro fuga dalfascismo che prima avevano invece pienamente appoggiato.Il libro "La classe operaia durante il fascismo" di Giulio Sapelli permette bene dianalizzare il mondo del lavoro durante il fascismo italiano. Il regime mostròun'omogeneità a livello politico, ma questo non si può dire per tutti gli altri aspettidella vita all'interno della dittatura. Per lungo tempo in Italia era prevalso il tipo diletteratura storiografico orientata politicamente a sinistra con un'impostazioneMarxista, con l'idea del fascismo di una dittatura di classe; sicuramente cisaràqualcosa di vero in questa lettura della stoia fascista, specie nel mondo delle campagne nel biennio rosso e in quello nero dove i proprietari terrieri si unirono alle squadracce fasciste per bloccare i contadini che si ribellavano, ma anche nel mondo industriale, infatti nel 1925 la Confindustria aveva deciso di assumere il nominativo di confederazione fascista. È evidente che un legame organico tra una parte dellaborghesia e il regime fosse presente, ma alo stesso tempo è evidente che definire il fascismo come dittatura di classe può apparire abbastanza schematico e riduttivo. Il fascismo non fu solo un regime per i piani più alti della borghesia, perché furono proprio le masse che in alcuni momenti storici e in maniera trasversale che deciso di seguire il regime, tanto da definirlo un regime "reazionario di massa", una definizione creata del personaggio politico di stampo comunista di Togliatti che nel 1935, invitato dal regime.sovietico a tenere delle lezioni del fascismo italiano, e analizzando il fascismo, per quanto da lontano, coniò questa definizione che ancora oggi ha un'importante validità. Le masse furono presenti all'interno della storia del fascismo e in molti ambienti delle masse vi fu un sostegno esplicito e fondamentale a favore della dittatura. Questo apre un problema storiografico su cui gli storici dibattono da anni: è un problema dal punto di vista metodologico, perché per ogni dittatura è difficile osservare il consenso dato che non vi è libertà di esprimere il consenso o meno, attraverso le elezioni libere che mancavano nella dittatura. Gli storici però hanno a disposizione altri documenti per studiare il meccanismo del consenso che non passa attraverso il voto: la conclusione è che durante il fascismo buona parte del popolo italiano mostrò un consenso crescente nei confronti di Mussolini, specie dal 1929 (con i Pattilateranensi con la Chiesa) al 1936, quando si completò la campagna in Etiopia per rafforzare il suo impero. Il consenso si ebbe soprattutto nella fascia dei ceti medi, i lavoratori p