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A MEDIA E TARDA REPUBBLICA L'ETÀ DELLA RIVOLUZIONE ROMANA
PREMESSA- La nozione di nobilitas. Dopo la composizione del conflitto patrizio-plebeo (367 a.C.), il Senato cominciò, a poco a poco, a perdere i suoi connotati di organo dell'esclusivismo patrizio. La caratteristica principale di questa fase storica è proprio il costituirsi di una nuova classe politica: la nobilitas patrizio-plebea. Questo processo di integrazione soggiaceva a un duplice controllo, quello del popolo attraverso le elezioni, e dei censori, dopo la lex Ovinia, mediante la lectio senatus (vd. Mantovani § 9.14, pp. 248 s.). Ciò permise la progressiva integrazione, nel ceto dirigente, non solo di homines novi ma anche di famiglie insigni appartenenti alle comunità che caddero sotto il dominio di Roma nel corso della sua espansione in Italia. Già alla metà del IV secolo a.C. nelle liste consolari si incontrano uomini di provenienza latina, sabina, campana ed etrusca.
Della nobilitas facevan parte, dopo il compromesso del 367 a.C. (leggi cosiddette Licinie-Sestie), quanti avessero ricoperto magistrature curuli (ma, a partire dalla metà del II secolo a.C., il solo consolato) e i loro discendenti, fino ai nipoti. La nobilitas comprendeva, dunque, i membri dell'antico patriziato e delle famiglie plebee, ascese ai vertici del potere politico e ormai molto spesso legate da stretti vincoli di parentela ai patrizi. A questi erano ormai rimasti soltanto residui dell'originaria posizione di predominio: in Senato l'auctoritas patrum e l'interregnum; nell'organizzazione sacrale, alcuni sacerdozi antichissimi come il rex sacrorum, i flamines (tra i quali il flamen Dialis aveva il diritto alla sella curulis, a un littore e a sententiam dicere in Senato) le vestali. 1. L' A : EREDITÀ DI ANNIBALE LA CRISI SOCIALE Non è possibile seguire fasi e momenti dell'ascesa di Roma a potenza mondiale. Essa fu in gran parteConseguenza dell'acquisito dominio sull'Italia. Nella vittoria della guerra annibalica (seconda guerra punica) fu decisivo il potenziale demografico della repubblica. Le enormi perdite inflitte dal grande generale punico alle forze armate romane non furono sempre colmate, anche se con difficoltà crescenti, mentre i Cartaginesi esaurirono ben presto, una volta perso il controllo della Spagna, le loro riserve. Nel 225, sette anni prima dell'inizio della guerra contro Annibale, i Romani, accingendosi a respingere un'invasione di Galli cisalpini, chiesero agli alleati di indicare le loro riserve umane. Le cifre, tramandate non senza qualche errore da Fabio Pittore, ci sono note grazie a Polibio (2.24). Ne risulta che il numero dei Romani e dei Latini ammontava rispettivamente a 273.000 e 85.000 maschi adulti; gli alleati (i socii Italici) probabilmente si aggiravano intorno alla somma di queste due cifre. La repubblica, dunque, poteva disporre di circa 750.000.
uomini arruolabili (tra 17 e 46 anni). Il potenziale demografico di Roma e dell'Italia dipendeva in gran parte dall'esistenza di piccoli e medi proprietari agricoli, in grado di sostentare, generazione dopo generazione, un numero sufficiente di figli. La vittoria contro Annibale e la successiva repentina affermazione dell'egemonia romana sull'intero Mediterraneo modificarono profondamente questo quadro. Le grandi guerre avevano attirato in Italia denaro e schiavi: grazie a questi mezzi e alla conseguente disponibilità d'enormi capitali, la concentrazione in atto della proprietà terriera, soprattutto nel centro e nel sud della penisola, agevolò la nascita di coltivazioni specializzate (arboricoltura: vite e olivo) e il contestuale affermarsi (in particolare nel profondo sud dell'Italia e in Sicilia) della pastorizia transumante, attività economiche organizzate in maniera tale da produrre eccedenze per il mercato (vino, olio, lane,
Pelli etc.). Tutti questi presupposti favorirono il formarsi del latifondo e il concentrarsi in poche mani dello stesso ager publicus (terra appartenente al populus Romanus). In questi sviluppi non era ancora insita alcuna minaccia all'economia contadina di sussistenza: i piccoli contadini non pativano la concorrenza dei latifondisti perché non producevano per il mercato. A ciò si aggiunga il fatto che, dopo la guerra annibalica, con la fondazione di colonie soprattutto nell'Italia settentrionale e con l'assegnazione di terreni ai veterani, venne creato ancora una volta un numero sufficiente di nuovi poderi. Questo programma d'assegnazioni tuttavia si concluse intorno al 170 a.C. La terra non era un bene automaticamente incrementabile e poiché, per i limiti tecnici dell'agricoltura antica, un singolo contadino non era in grado di coltivare molto terreno in più di quello necessario al sostentamento di una famiglia, i suoi figli, con la
consuetasuddivisione dell'eredità, rischiavano di non raggiungere la base minima per la sussistenza. La richiesta di forza lavoro stagionale per i fondi specializzati delle grandi proprietà poteva portare, in questo quadro, un guadagno complementare al ceto dei piccoli contadini; ma ciò tuttavia non impedì che parte dei suoi membri dovesse essere cancellata dalle liste di reclutamento (si ricordi che di norma nell'esercito, a quel tempo, servivano soltanto gli adsidui) a causa della diminuzione della loro proprietà terriera. Probabilmente nella sola disastrosa sconfitta di Canne - 216 a.C. - persero la vita quasi settantamila uomini tra cittadini e alleati italici. Dopo che, nei decenni immediatamente seguenti la guerra annibalica, il numero degli idonei al servizio militare era aumentato, a partire dal 163 calò leggermente, per poi crollare nel 135. Questo processo provocò forte apprensione nella classe.dirigente. L'impegno militare su scala mondiale rappresentava ormai un peso intollerabile, quantitativamente e qualitativamente, per l'esercito tradizionale. Più volte, nel II secolo a.C., si mobilitarono grandi armate, in occasione dei conflitti, di durata limitata, contro i regni ellenistici e contro Cartagine (terza guerra punica). Ancor più gravosa, però, si rivelò la necessità di mantenere truppe per lunghi periodi in Spagna. Specialmente la lunga esanguinosa guerra, scoppiata nel 154 a.C. e conclusasi solo nel 133 a.C., contro le popolazioni celtibere gettò l'esercito romano in una crisi profonda. La prospettiva d'un servizio pluriennale, la forte incidenza delle perdite e la mancanza di incentivi materiali - i soldati non avevano né la speranza di impadronirsi di bottino né la prospettiva di ottenere un podere in Italia - producevano effetti demoralizzanti. Si ridestò un'opposizione alla leva.davanti alla quale il ceto al governo (l'élite senatoria) oscillò tra l'intervento drastico e l'inclinazione a venire incontro alle lamentele degli interessati. Le nostre fonti sottolineano inoltre che un altro motivo di forte preoccupazione fu la grande rivolta servile in Sicilia (136 - 132 a.C.), che rese tutti consapevoli del pericolo costituito dai latifondi, con le loro folle di schiavi fuori controllo e nemiche dell'ordine esistente. La rinascita del piccolo ceto contadino e la sostituzione degli schiavi-pastori avrebbe permesso un miglior controllo del territorio e la fine, specialmente nel Sud, del brigantaggio endemico. Da queste premesse scaturirono i tentativi di riforma dei Gracchi e la profonda crisi che investì, con il loro fallimento, il sistema politico.T G2. LA RIFORMA AGRARIA DI IBERIO RACCO
Tiberio Sempronio Gracco, proveniente da una nobile famiglia plebea imparentata con i Cornelii Scipioni e i Claudii, fu, nel 133, come
tribuno della plebe, esponente d’un gruppod’aristocratici che fece proprio un progetto di riforma agraria, già presentato nel 140 dauna fazione senatoria rivale e poi ritirato. Il progetto prevedeva la restituzione dei terrenidell’ager publicus occupati dopo il 180 a.C., qualora questi eccedessero il limite massimo di500 iugeri (125 ettari ca.) o di 1000 iugeri di terra coltivabile. Quanto restituito dovevaessere distribuito a nuovi coloni scelti tra i cittadini più poveri. La giurisdizione sui casicontroversi era attribuita alla commissione incaricata delle distribuzioni, commissionecostituita, oltre che dai due fratelli Tiberio e Caio Gracco, dall’eminente consolare AppioClaudio Pulcro (tresviri agris dandis adsignandis iudicandis). Un collega di Ti. Gracco, CaioOttavio, oppose il suo veto al disegno, facendolo, di fatto, fallire. Tiberio, tuttavia, non sivolle dare per vinto e, sebbene avesse verificato l’ostilità della maggioranzaDei senatori al suo progetto, fece deporre il proprio collega dall'assemblea della plebe (concilia plebistributa). L'iniziativa, la deposizione del tribuno, colpiva il sistema politico in un suo punto nevralgico: la possibilità di porre il veto all'iniziativa d'un collega era un mezzo conforme alla prassi costituzionale, sovente adoperato dal Senato per bloccare sgradite iniziative di qualche magistrato. Il comportamento di Tiberio delineava la possibilità che un tribuno della plebe, controllando l'assemblea popolare, governasse contro la volontà del Senato. L'ordinamento stesso della repubblica aristocratica era così messo in discussione. Infine Tiberio, una volta approvata la legge agraria, aggirando il parere contrario del Senato, fece deliberare dall'assemblea della plebe la decisione di utilizzare l'eredità di re Attalo III (che aveva lasciato al populus Romanus il proprio regno, il regno di Pergamo, riorganizzato,
poi, nella provincia d'Asia) per finanziare la riforma agraria e fornire, in tal modo, ai nuovi coloni i capitali sufficienti per riconvertire i terreni assegnati loro a colture più proficue dal punto di vista commerciale. Quando Tiberio, contro la consuetudine, sollecitò la propria rielezione a tribuno della plebe, scattò violenta la reazione dei suoi avversari. Il giorno delle elezioni, constatato il rifiuto del console Publio Mucio Scevola di dar corso allo stato d'emergenza (senatus consultum cosiddetto ultimum: vd. Mantovani § 9.14, pp. 250 s.), gli antigraccani, guidati dal pontifex maximus Cornelio Scipione Nasica, si gettarono su Tiberio e i suoi sostenitori. Seguì la carneficina, nella quale perì Tiberio con trecento suoi partigiani. La scarsa resistenza dei graccani, nei confronti dei colpi omicidi dei loro avversari, dipende forse dallo strumento giuridico-sacrale impiegato dal pontefice massimo Nasica: questi, avendo ritualmentemaledetto Tiberio quale violatore dellasacrosanctitas tribunizia e presunto aspirante al potere regio, lo espose, co