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populum, forse perché non era più presente la lotta tra patrizi e plebei e si volevano vedere solo situazioni represse. In verità Theodor Mommsen, liberale, parlò di provvedimenti ai margini della legalità o addirittura illegali. Tito Livio ci parlò di Caio Menio, dittatore, che indagò su frodi elettorali per giungere alle magistrature superiori, scoprendo numerose cose, per questo privato dell'istruttoria. La Lex Voconia invece, nel 169 a.C., approvata dai concilia plebis su proposta del tribuno della plebe Voconio Saxa, con l'appoggio di Catone il Censore, limitava la capacità successoria delle donne, più precisamente vietava che chi nel testamento lasciasse un'eredità superiore al valore di centomila assi non poteva istituire come erede una donna, anche se, tuttavia, quest'ultima poteva comunque ricevere l'eredità per fedecommesso.

In Spagna i territori che si erano trovati in precedenza sotto il controllo di Cartagine furono divisi da Roma in due province, la Spagna Citeriore (Hispania Citeror) e la Spagna Ulteriore (Hispania Ulterior). Le popolazioni locali non accettarono docilmente il dominio romano: una serie di rivolte guidate dai Lusitani, che vivevano nell'odierno Portogallo, e dai Celtiberi resero precario il controllo della regione. Dopo il ritiro di Scipione, Catone aveva cercato di frenare gli eccessi della politica imperialista del senato, proseguendo inoltre la sua battaglia personale contro la corruzione. Da vecchio combattente della seconda guerra punica, non si stancava di insistere sulla necessità di eliminare Cartagine. La città punica, in cinquant'anni di pace, aveva ripreso fiato e ricostruito una certa prosperità economica. Approfittando però della sua debolezza politica e militare, Masinassa, re della Numidia ed alleato di Roma, da tempo estendeva i propri confini a danno del territorio di Cartagine. La città unica più volte si era rivolta a Roma, come prevedeva il trattato di pace, per essere autorizzata a difendersi. Non ricevendo risposta, nel 150 a.C. Cartagine di propria iniziativa entrò in conflitto con la Numidia contro il volere di Roma. Il senato ebbe così un buon pretesto per intervenire ed inviò in Africa un esercito.

di otto legioni. Dopo un assedio durato due anni, nel 146 a.C. Cartagine fu costretta ad arrendersi al console Publio Cornelio Scipione Emiliano, un nipote adottivo di Scipione l’Africano. La città venne rasa al suolo, gli abitanti furono venduti come schiavi ed il territorio divenne la provincia d’Africa. Lo stesso Scipione Emiliano, alcuni anni dopo, pose fine in Spagna all’insurrezione del popolo dei Celteberi, distruggendo la città-fortezza di Numanzia nel 133 a.C. La distribuzione delle città di Corinto in Grecia, di Cartagine in Africa e di Numanzia in Spagna colpirono profondamente l’attenzione dei contemporanei. La determinazione, la forza e talvolta la ferocia con cui Roma affermava il proprio dominio diretto in zone tanto diverse per tradizione e cultura non lasciavano dubbi sulle intenzioni imperialistiche dei Romani. Mentre in Italia i vinti, trasformati in alleati, erano stati associati nella vasta confederazione guidata da Roma, fuori dalla penisola nelle nuove province dell’impero gli abitanti erano soltanto sudditi, sottoposti al pagamento di tributi. Il suolo stesso della provincia era considerato di proprietà dello stato romano per diritto di conquista. Il potere dei governanti romani, durante il loro incarico, era praticamente illimitato: erano insieme comandanti militari e politici, ma anche giudici, in quanto da loro dipendeva la condanna dei principali reati. La provincia era quindi una regione che dipendeva interamente dal potere di Roma e dei suoi rappresentati locali, che spesso furono responsabili di gravissimi abusi. Un’ampia rete di province circondava ormai l’antico territorio di Roma. A quelle di più antica costruzione, Sicilia, Sardegna e Corsica, si erano aggiunte la Gallia Cisalpina, la Spagna e la Gallia Narbonense. L’espansione nell’Oriente mediterraneo aveva consentito di formare le province di Macedonia e di Acaia, a cui si era aggiunta la provincia d’Africa, creata sul territorio cartaginese.

I romani furono eccezionali costruttori di strade e di ponti, di cui restano tuttora visibili tracce importanti. Il loro impegno ed i grandi risultati ottenuti, si dovevano al fatto che per i Romani le strade servivano soprattutto per scopi

(equites), poiché la legge vietava ai senatori le attività commerciali. Dalla conquista e dalla crescita economica che ne seguì, i cavalieri trassero grandi profitti, ma continuarono a restare esclusi dalle più importanti cariche politiche monopolizzate dalla “nobilitas”. La crisi della proprietà contadina avvantaggiò le grandi famiglie della nobilitas, che acquistarono i campi abbandonati dai contadini-soldati e si appropriarono delle parti migliori dell’ager publicus.

Anche il bottino di guerra, distribuito in larga parte ai generali vittoriosi e agli ufficiali, finì per accrescere il patrimonio dei nobili, che occupavano i gradi superiori dell’esercito e tutte le più importanti cariche pubbliche, oltre a controllare il senato, divenuto ormai il governo collegiale di Roma. Ma una preoccupazione turbava l’oligarchia dominante: la possibilità che un personaggio di grande valore, proveniente dallo stesso ceto di governo, si imponesse sui suoi pari, instaurando un regime di tipo personale. Come tutte le oligarchie, la nobilitas aspirava all’uguaglianza e diffidava di chiunque mirasse ad emergere dal ristretto gruppo di pari che costituiva l’oligarchia medesima. Per questo motivo era molto pericoloso essere accusati a Roma di volersi fare re.

Tre furono, secondo Cicerone, i giuristi per eccellenza che erano stati in grado di “Respondere agere cavere”: Manio Manilio, Giunio Bruto e Q. Mucio Scevola (“I tres qui fundaverunt ius civile”). Giunio Bruto ha composto 7 libri in forma di dialogo con il figlio. Manio Manilio invece compose tre libri o forse di più come sottolinea le seguenti parole: Monumenta manili, come anche Q. Mucio Scevola.

I reati contro lo Stato erano sottoposti al giudizio dei iudicia populi, ovvero di processi in cui la funzione di giudice era svolta dal popolo riunito nei comizi centuriati o tributi. Si trattava di un sistema giudiziario strettamente legato alle strutture istituzionali e alle dimensioni demografico-territoriali della città-stato. In questo genere di giudizi c’era una fase di istruttoria (anquisiitio) che sfociava nella formulazione dell’accusa da presentare al popolo e nell’intimazione

(250 ettari). La base era di 500 iugeri più 250 iugeri per ogni figlio, ma comunque il limite restava sempre 1.000;

l'ager publicus non assegnato perché in avanzo, sarebbe stato riconsegnato allo Stato, che si sarebbe incaricato di ridistribuirlo in piccoli appezzamenti di 30 iugeri ai più poveri, a titolo di affitto ereditario e senza possibilità di venderlo a terzi. Questa norma andava nella direzione di impedire ai latifondisti più abbienti di impadronirsi selvaggiamente dei piccoli appezzamenti rovinando così la piccola proprietà;

  • la costituzione di una commissione di tre persone plenipotenziarie, incaricate di attuare la riforma, elette da una assemblea popolare e rieleggibili annualmente.

In tal modo molte terre sarebbero state restituite dai latifondisti allo Stato, che a sua volta avrebbe potuto suddividerle in piccoli lotti tra i cittadini più poveri, trasformandoli da nullatenenti in proprietari. I comizi accolsero la proposta di Tiberio e la legge agraria fu approvata, malgrado la forte opposizione di quanti in senato temevano di perdere gran parte delle terre pubbliche di cui si erano appropriati. Nel 132 a.C. Tiberio ripresentò la propria candidatura alla carica di tribuno, probabilmente di seguire di persona la realizzazione del progetto. La rielezione di un tribuno per due anni di seguito non era però prevista dalla legge e gli oppositori ne approfittarono per accusare Tiberio di aspirare alla tirannia. Ciò che preoccupava la nobilitas senatoria erano le idee ed i metodi con cui Tiberio Gracco portava avanti le sue proposte. Tiberio aveva assorbito il principio della sovranità popolare e lo aveva applicato nella sua azione politica. Quando il suo collega nel tribunato, Ottavio, manovrato dal senato, pose il veto

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A.A. 2014-2015
50 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gaspare.sarandria di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Terreni Claudia.