FLESSIBILE
Come già detto, lo Statuto naturalmente è una costituzione concessa, che il Re si impegna a conservare,
considerandosi l’unico in grado di provvedere in proposito: in questo contesto, un meccanismo di revisione
costituzionale né è previsto nè è prevedibile.
“costituzione flessibile”,
Lo statuto verrà definito col tempo una introdotta con legge ordinaria e quindi
modificabile con semplice legge ordinaria.
Il testo, spesso generico e lacunoso ha visto in questo suo difetto anche una sorta di vantaggio, poiché queste
sue lacune hanno permesso innovazioni e adeguamenti. Proprio la flessibilità ha consentito la conservazione
dello statuto per quasi un secolo.
Manca una dichiarazione dei diritti, giustificabile con le caratteristiche di costituzione concessa: il sovrano
si autolimita, ma non per l’esistenza di diritti innati. I diritti sono affiancati ai doveri e sono sbrigativamente
trattati in malapena nove articoli (24-32).
Il Re entra a fondo nell’esercizio di ciascuno dei tre poteri dello Stato.
La nascita del tricolore, simbolo d’unificazione
Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto nel proclama ai popoli della Lombardia e della Venezia, ribellatisi agli
Austriaci, annunciava che il suo esercito avrebbe varcato il confine in loro aiuto, innalzando una nuova
bandiera significativa dell’unità nazionale, e cioè lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore
italiana.
Lo Statuto albertino nella sua vigenza quasi secolare ha visto modificato di fatto il suo testo primitivo.
L’evoluzione è comprensibile se solo si pensa ai grandi cambiamenti avvenuto sotto il profilo politico-
territoriale (dal Regno di Sardegna al Regno d’Italia) e politico-sociale (dal suffragio ristretto a quello
universale e dalla partecipazione politica d’elite a quella di massa). Pur con i suoi indubbi limiti è stata una
tappa fondamentale per il nostro attuale ordinamento.
Crisi dello Statuto – il proclama di Moncalieri (primo e secondo proclama)
Tra i gravi momenti di tensione mentre vigeva lo Statuto dobbiamo ricordare quello successivo alla sconfitta
di Novara, connesso con l’entrata in vigore del trattato di pace con l’Austria. Vittorio Emanuele II allora,
firmò il trattato di pace con l’Austria, che doveva essere approvato da entrambe le Camere. Non trovando
3 luglio 1849
quest’ultimo approvazione della Camera dei deputati, la sciolse, ed emanò il il proclama di
Moncalieri ove invitava gli elettori ad agire secondo il senno, non secondo le passioni e a scegliere per il
“minor male”.
L’affluenza fu deludente e si formò una camera ancor meno disponibile. Il Re fu convinto a scioglierla di
secondo proclama: 20 novembre 1849.
nuovo e a fare un quello del
La maggiore affluenza alle urne, il discorso ribadito circa il male minore e la minaccia velata di un ritiro
dello Statuto, fecero sì di formare una Camera collaborativa e più moderata.
Con questo intervento il Re, scese direttamente nella mischia, con indubbia durezza, ed impegnò la sua
credibilità e la sua corona. Riuscì nel suo intento, e la nuova Camera non solo ratificò il trattato di pace con
l’Austria, facilitò anche le scelte politiche del governo liberal-democratico presieduto da Massimo d’Azeglio
(presidente del consiglio), avviando un proficuo periodo di stabilità costituzionale.
LEGISLAZIONE ECCLESIASTICA – LEGGI SICCARDI
Il regime di eguaglianza di fronte alla legge e di esclusiva della giurisdizione statale strideva con alcuni
privilegi ecclesiastici. Risultati vani alcuni tentativi di risolvere il problema in modo consensuale con la
nel 1850 si giunse alle cosiddette “leggi Siccardi”.
Santa Sede,
Queste provvidero unilateralmente, suscitando forte tensione con la gerarchia ecclesiastica.
In particolare queste leggi non volevano più riconoscere alcun privilegio agli ecclesiastici ed ai luoghi di
culto, e tendevano verso l’adozione di un controllo preventivo statale sugli acquisti delle persone giuridiche,
anche ecclesiastiche.
Le leggi Siccardi sono dette così dal nome dell’allora ministro di Grazia e di Giustizia Giuseppe Siccardi.
Consistono in due diversi progetti di legge: abolire il privilegio di foro
1. Divenuto legge il 9 aprile 1850: per (il privolegio comportava che gli
ecclesiastici non fossero soggetti alla giurisdizione di Stato bensì a quella ecclesiastica) e del diritto
di asilo a favore degli ecclesiastici;
2. Divenuto legge il 5 giugno 1850: per il controllo “fiscale” (di acquisizioni e donazioni).
IL DECRETO RATTAZZI – LA POSIZIONE DELLA MAGISTRATURA
Secondo il Siccardi il controllo dei giudici doveva avvenire attraverso la Cassazione. Con il decreto Rattazzi
del 23 ottobre 1859, si adoperava un provvedimento ancor più restrittivo sostenendo che ci dovesse essere
una continua e severa sorveglianza dei ministri. Nel periodo preunitario la magistratura sabauda in seguito
allo Statuto è passa da collaboratrice diretta del Re al compito di applicatrice della legge, di tutrice della
legalità e dell’uguaglianza dei cittadini.
Il decreto Rattazzi ridefiniva tutta la “geografia” amministrativa dell’intero Stato sabaudo. P.152.
UNIFICAZIONE E CODICI
Attraverso i plebisciti avvenne l’unificazione: si chiamarono le popolazioni degli Stati preunitari ad
esprimere la loro volontà di essere inserite nello Stato della “monarchia costituzionale” di Vittorio Emanuele
II di Savoia. I plebisciti sono avvenuti separatamente “divide et impera”. L’alternativa all’annessione era un
nebuloso regno separato, forse neppure costituzionale, quindi in un certo senso l’esito era obbligato.
spedizione dei mille, Garibaldi (11
Si dovette ricorrere invece in modo meno pacifico, alla operata da
maggio 1860) per combattere la rivolta del governo borbonico delle Due Sicilie, conquistarlo e quindi
garantire poi l’annessione al Regno d’Italia. unificazione amministrativa.
L’unificazione comportò anche la nascita di un’esigenza di Nel 1862 il
della Corte dei conti,
Parlamento inizia con l’istituzione organo che si doveva occupare del controllo
preventivo della spesa statale.
Il 20 marzo 1865 si giunse ad una disciplina dell’amministrazione pubblica comprendente sei complessi
normativi detti “LEGGI” nel linguaggio dell’epoca:
1. Legge comunale e provinciale
2. Legge di pubblica sicurezza
3. Legge sulla sanità pubblica
4. Legge sul Consiglio di Stato
5. Legge sul contenzioso amministrativo
6. Legge sui lavori pubblici
Queste norme venivano indubbiamente a disegnare competenze in settori importanti, tale complesso ha
costituito il blocco più consistente dell’unificazione amministrativa ed è restato a lungo alla base
dell’amministrazione del Regno d’Italia.
I codici unitari del 1865
Il Governo sardo, giovandosi dei “pieni poteri” avuti per la guerra all’Austria, aveva pubblicato il 20
novembre 1859 tre nuovi codici: penale, di procedura penale e di procedura civile, che dovevano
naturalmente entrare in vigore nelle terre del vecchio Regno di Sardegna. Tali codici dopo l’unificazione
furono estesi a tutto il Regno d’Italia che si dotava quindi di cinque codici sardi cioè: Civile (del 1837), del
Commercio (1843), penali e processuali (del 1859).
I codici unitari del 1865 vedranno tra il 1882 e il 1913 la loro rielaborazione con un profilo diverso da quello
d’ispirazione francese (napoleonici), più orientati verso quelli tedeschi.
VERSO LA “ROMA CAPITALE” – LEGGE DELLE GUARENTIGIE
Nel 1861 il Parlamento proclamava l’esistenza del Regno d’Italia e ne fissava Roma sua capitale. Tuttavia
questa era in mano al Pontefice sotto protezione francese. Se con Napoleone III nel 1864 si era vista spostare
la capitale per quieto vivere a Firenze, la sua caduta nel 1870 conseguente la disfatta di Sèdan, comportò il
via libera delle truppe militari, che entrarono a Roma facilmente il 20 settembre 1870 “breccia di Porta Pia”.
Il dominio pontificio terminava. “guarentigie”: garanzie che dava comunque al Ponteficie
Lo Stato italiano, con una propria legge fissava le
per la libertà di esercizio del suo magistero spirituale in tutto il mondo.
La legge delle guarentigie fu emanata il 13 maggio 1871 e restò in vigore per oltre un cinquantennio, fino a
quando nel 1929, in base al Concordato tra Stato e Chiesa veniva ripristinato un piccolo Stato entro Roma
sotto sovranità pontificia “Città del Vaticano”.
VICENDE ITALIANE POSTUNITARIE – IL PROBLEMA SOCIALE
Una frase celebre del tempo affermava che, fatta l’Italia, si dovevano fare gli Italiani. In questo periodo la
“sinistra liberale” ha avuto la percezione delle difficoltà che sul piano sociale stavano tormentando il regno.
In Italia, in ritardo rispetto agli altri paesi industrializzati, si iniziava una lenta e timida legislazione sul
società di mutuo soccorso
lavoro di stampo solidaristico, che portava dapprima al riconoscimento delle
prime discipline del lavoro dei fanciulli, degli
(1886) e nello stesso anno alle poi all’assicurazione
infortuni sul lavoro prime tutele delle donne degli orari di lavoro
(1898), e in ultimo alle (1902 e 1907) e
prima legge infortunistica che riguardava anche il settore
(sempre 1907). Sempre nel 1907 alla
dell’agricoltura.
GUERRA – DOPOGUERRA – AVVENTO DEL FASCISMO – SECONDO DOPOGUERRA
La “Grande Guerra” (1914 – 1918) ha costituito una cesura di un certo rilievo anche nel campo del diritto.
Vista la situazione d’urgenza, la legislazione si è adoperata per lo più emanando decreti legge dal Governo.
trattato
La constatazione dei disastri causati dalla guerra ha indotto i rappresentanti degli Stati firmatari del
di pace di Versailles a cercare di prevenirne altri, tramite la formazione nello stesso 1919 di una “Società
delle Nazioni”.
In Italia il dopoguerra è stato tormentato. Le agitazioni operaie erano riprese, accanto alle manifestazioni dei
reduci senza lavoro ed a quelle dei nazionalisti insoddisfatti per la “vittoria mutilata”. Nel 1919 al partito di
“massa” socialista si sono affiancati quello dei cattolici e quello fascista. Veniva invocata una riforma dello
Statuto.
In attesa di riforme costituzionali che non avvenivano peggiorava l’ordine pubblico tra scioperi e violenze
fasciste. Di fronte al progetto fascista di una grande “marcia su Roma” il 28 ottobre 1922, il Governo
predispose un decreto per proclamare lo stato d’assedio ed opporvi l’esercito. Il Re (Vittorio Emanuele III)
non firmò e la marcia
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