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Palermo, con la benedizione del pontefice. Ma in realtà questa vicenda inizia nel 1000: fin da

allora, per intervento della chiesa e con la scusa della presenza in Italia del santuario di San

Michele cui i normanni erano devoti, un gruppo di nobili normanni (guerrieri, probabilmente cadetti)

appartenenti alla famiglia degli Altavilla o loro fedeli scende in Italia; Roberto il Guiscardo e

Ruggiero il Gran Conte arrivano in Italia nella seconda metà del 1000 chiamati dalla Chiesa per

due fini:

- mettere fine agli scontri tra i superstiti ducati longobardi (Benevento e Salerno),

considerati un pericolo per la chiesa stessa

- espellere gli Arabi dalla Sicilia

I Normanni si occuparono di entrambi i problemi; nella riconquista della Sicilia ebbero parte

importante i fedeli degli Altavilla, qualificati come baroni. Ruggiero II riuscì infine a insediarsi sul

trono di Sicilia, ricevendo la corona da un antipapa, ma facendosi confermare dal papa

Innocenzo III.

Con Ruggiero II inizia la fase normanna del regno, che durerà dal 1130 al 1189.

Morto l'ultimo re normanno senza discendenza maschile, rimane Costanza d'Altavilla, che sposa

Enrico VI di Svevia, da cui ha figlio Federico II, dando inizio alla fase normanno-sveva; Federico

II inoltre era sia re di Sicilia, sia imperatore.

Tale fase durò da Federico II ai suoi immediati successori, fino al 1266, quando la chiesa

intervenne a sanare conflitti tra i successori chiamando in aiuto una nuova dinastia francese, gli

Angiò, che subentrano agli Svevi aprendo fase degli angioini. Ma nel 1282 il regno si divide in

occasione della rivolta dei Vespri siciliani: gli stessi siciliani chiamano un sovrano della dinastia

degli Aragona, e il regno viene spartito tra Angioini e Aragonesi; si apre la fase aragonese, che

dura fino al 1422 quando un sovrani aragonese riunirà il Regno.

All'inizio del 1500 questi territori saranno uniti da Carlo V (re di Spagna e imperatore) alla Spagna.

La fase aragonese fu unica fase di autonomia.

Istituzioni del regno di Sicilia

Fase normanna: Con i Normanni viene introdotto il feudo iure Francorum nell'Italia meridionale,

di cui però non fu accolta la concezione patrimoniale di divisibilità tra gli eredi, passando di

primogenito in primogenito; era un feudo a carattere militare, cui si collegano obblighi militari.

Col tempo si perse questo carattere militare, ma resta indivisibilità e trasmissibilità in linea di

primogeniture come istituti tipico dell'Italia meridionale.

I baroni ricevettero feudi, ma non tutte le terre furono infeudate. Si contrapponevano infatti:

- terre infeudate affidate ai baroni

- terre demaniali direttamente dipendenti dalla corona

Il re, oltre ai vassalli, si circondò di funzionari nominati per esercizio di determinati compiti, che

ripresero per competenze uffici e impieghi tipici della tradizione germanica e della tradizione

bizantina; anche la concezione dell'autorità regia riflette tradizione bizantina, accompagnandosi

34

all'idea che il sovrano è titolare di tutti i poteri e che a lui spetta esercitare controllo su tutte le terre

del regno, in modo più diretto su quelle demaniali, ma indirettamente anche su quelle infeudate,

che hanno quindi limitata autonomia.

Viene inoltre previsto sdoppiamento degli uffici amministrativi, che fanno capo a organi

centrali, per parte feudale e per parte demaniale.

Per quanto riguarda il rapporto con la chiesa, Ruggiero riuscì a ottenere un privilegio, che i suoi

discendenti mantennero fino all'unità d'Italia e trasmisero addirittura al re d'Italia fino al 1871: si

trattò della legazia apostolica, che era attribuzione del ruolo di rappresentante del papa, in base

alla quale spettava al re:

- potere di nomina dei vescovi

- potere di autorizzare uscita e entrata dei vescovi

- funzione di giudice in ultimo grado delle cause ecclesiastiche (sostituto del papa)

Fase normanno-sveva: ordinamento nato in fase normanna viene ripreso in fase normanno-sveva.

Con Federico II tuttavia la giurisdizione sulle terre feudali, prima affidata ai baroni, venne

assegnata a dei giudizi provinciali da lui nominati, chiamati giustizieri.

Nell'organizzazione del regno mantiene amministrazione centrale normanna, ma sempre per

rafforzare il proprio potere istituisce due capitani generali, uno per l'isola e uno per la terraferma,

cui assegna sui propri territori funzioni proprie del re.

In epoca normanna le terre demaniali, pur non avendo autonomia politica (non concessa a

nessuno, infatti NO comuni) avevano autonomia, seppur limitata, nella nomina dei propri

amministratori e giudici locali; invece Federico II attribuì un ufficiale regio a ciascuna terra

demaniale, con funzioni simili al podestà

Dal 1220 la situazione si inasprisce perché Federico vieta ufficialmente alle città demaniali di

eleggere amministratori, podestà (significa che influenza comunale c'era stata), ma per

compensare questo:

- consente alle città di inviare propri rappresentanti alle assemblee da lui convocate, alle quali

siamo a quel momento partecipavano solo baroni e alti dignitari ecclesiastici comincia a

prendere corpo quello che sarà il parlamento del regno

- istituisce assise provinciali cui chiunque possa presentare lamentele sull'operato dei funzionari

Fase angioina-aragonese: c'è inversione di tendenza, viene restituita ai baroni la piena

giurisdizione sulle proprie terre e le città demaniali riacquistano autonomia.

Si vengono inoltre organizzando nuove amministrazioni e giurisdizioni con nomi diversi nell'una e

nell'altra parte del regno, ma che si equivalgono:

• Consiglio regio in entrambi i regni, con funzioni consultive in campo politico, amministrativo e

anche giudiziario in Sicilia

• Camera di sommaria in , con funzioni di amministrazione delle terre e dei beni demaniali e di

controllo sulla gestione contabile dei funzionari regi

Compare inoltre figura del viceré.

In occasione delle assemblee pseudo-parlamentari di cui abbiamo parlato il re iniziò ad emanare

dei provvedimenti, come le assise di Ariano, pubblicate da Federico II. Con Federico II l'uso di

convocare i rappresentati del regno è molto frequente, e si comincia a parlare di parlamento.

Nel 1231 ci fu il parlamento di Melfi, di cui si sono fatte molte teorie: per alcuni fu chiamato a

svolgere funzione legislativa, partecipando alla formazione di grande raccolta di norme, redatta dai

consiglieri imperiali e recepita dai rappresentanti, il Liber augustaris o Costituzione menfitane.

Questa raccolta, in cui Federico riunì testi già pubblicati da re normanni e disposizioni da due

volute, rimase per molto tempo; era ripartita in materie, riguardando prerogative del re,

giurisdizione, amministrazione centrale e locale.

Vi si trova norma particolare, la costituzione puritatem, che contiene una sorta di gerarchia

delle fonti, ordinata proprio da Federico:

- al primo posto compare la legislazione regia

- al secondo consuetudini e norme locali 35

- al terzo "i diritti comuni", definiti con interpolazione come i diritti romano e longobardo

Queste assemblee assumono sempre maggior importanza in età angioina e aragonese, perché da

semplice adunanza delle componenti del regno in cui ricevere i comandi del re si trasforma in

assemblea con funzione di approvazione dei contributi economici richiesti dal re (sussidi

straordinari): non ci sono imposte ordinarie, solo straordinarie richieste in particolari occasioni

come guerra, investitura di cavalieri, matrimonio della figlia del re ecc.

in queste occasioni tutti i sudditi erano chiamati a dare contributo, che poteva essere

materialmente richiesto solo se autorizzato dall'assemblea, in base al principio che quod omnes

tangit, ab omnibus adprovare debet.

In età angioina queste assemblee influenzano fortemente attività legislativa del re, perché ogni

legge è frutto di un patteggiamento, di un do ut des, generando provvedimenti che soddisfa vano

esigenze di tutti; questo porta alla presentazione, da parte dei parlamentari, di un testo scritto che

è base di disposizione emanata del sovrano, per cui si parla di leggi pattizie, che formalmente

nascono da volontà del sovrano, ma che nella pratica sono frutto di un patto. A un certo punto si

arrivò addirittura a considerare le cose promesse dal sovrano come obbligazioni di diritto privato

(anche se ovviamente era impossibile citarlo in giudizio).

Questo parlamento era formato da rappresentanze di ceto, non da rappresentanza elettiva come

moderno. Inizialmente ne erano membri di diritto nobili e alto clero, poi anche tra questi si debba

trovare metodo di scelta; invece quello che sarà poi il terzo stato vi partecipava da sempre tramite

rappresentanza.

I rappresentanti delle città demaniali sono vincolati da mandato imperativo, designati da consiglio

cittadino con specifico incarico e specifiche istruzioni, per cui il delegato può decidere entro certi

margini, se vuole decidere in altro modo deve chiedere sospensione per andare a chiedere altre

istruzioni.

Questa realtà si ritrova solo negli ordinamenti monarchici e signorili, non comunali.

In Francia il parlamento fino al 1789 dopo la rivoluzione fu chiamata assemblea degli Stati

generali (per distinguerlo dal parlement, organo con funzione giudiziaria tipo corte d'appello).

In area tedesca anche si parlò di Stati cetuali, presenti a lungo negli Stati tedeschi.

In Italia li ritroviamo soprattutto negli Stati sabaudi e nel patriarcato di Aquileia, dove questi

parlamenti sono evoluzione di quello che era una sorta di consiglio costituito dalla nobilita feudale,

la Curia procerum, che da semplice consiglio del re arrivò a riunire anche rappresentati delle città

demaniali.

Nei momento di crisi dell'autorità regia in Stati sabaudi e Francia, soprattutto nei periodi di

reggenza, i parlamenti vennero convocati più spesso per dare continuità.

Il,parlamento restò in ordinamenti medievali e moderni, ma soprattutto in età moderna la loro

funzione venne interrotta: in Stati sabaudi da metà 1500 non vengono più chiamati, in Francia

Luigi XIV non convoca più Stati generali.

In Inghilterra invece il parlamento fu una presenza costante, pur cambiando ruolo nel tempo.

Nuovi elementi dell'età moderna

Nuova concezione di sovranità e di Stato

Il motivo per cui invece sul continente dal 1500 non vennero più convocati fu perché

contrastavano con nuova concezione della sovranità che si era affermate, tipica dell'età

moderna: nelle mani de re devono ritenersi riuniti tutti i poteri di natura pubblica, per cui egli è

capo dell'amministrazione, unico legislatore, supremo titolare della giustizia.

La pienezza di tali poteri incontrò però ostacoli, che i principi di et&

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A.A. 2014-2015
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher camsca di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Mongiano Elisa.