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Colpendo la televisione si volevano colpire modelli del capitalismo consumistico, il mito del profitto, i simboli di una società in evoluzione.
Per gli intellettuali, soprattutto per quelli schierati e "ingaggiati" nei partiti della sinistra sociale comunista, la televisione minacciava l'egemonia di un magistero esercitato in quasi tutti i settori tradizionali della cultura. Purtroppo gli intellettuali saranno gli ultimi a capire quello che stava accadendo; la resistenza al cambiamento è segno del timore di perdere uno status che i primi dieci anni di democrazia avevano loro garantito.
Il "miracolo" e il suo schermo
Il manager che aveva tenuto a battesimo il fenomeno televisivo italiano, Filiberto Guala, fu costretto a dimettersi il 27 giugno del 1956. Pochi anni dopo entra a far parte dell'ordine dei frati trappisti. Che cosa era accaduto? Semplicemente che la matrice religiosa non bastava più; essa era servita a "lanciare il prodotto".
ma adesso l'azienda di radiotelevisione andava gestita con criteri diversi, più rispondenti al quadro politico attuale. Con la ristrutturazione operata da Rodinò la Rai assunse quella fisionomia aziendale tecnica e culturale che la distingueva per tutti gli anni sessanta. I primi anni di questo manager sono quelli della grande espansione della pubblicità, della nascita della televisione scolastica e della televisione per ragazzi. Alla rottura dell'orizzonte domestico entro il quale ogni sera il piccolo schermo portava l'immagine di un mondo sconosciuto (consumistico) corrispose un'analoga rottura delle abitudini di vita e delle barriere linguistiche. Individui e famiglie si trovarono di fronte a una gamma di scelte enormemente allargate e la comunicazione linguistica vi si adeguò. Anche se in virtù di una pesante omologazione culturale, tendente alla banalizzazione diffusa, la televisione accrebbe la diffusione delle conoscenze e del sapere.accelerando la circolazione delle informazioni, favorendo l'acquisizione di nuovi risorse linguistiche da parte di una popolazione molto differenziata che, in numerose aree geografiche, usava ancora solo il dialetto.3. Gli anni del "saccheggio"
Una televisione costruita attraverso il semplice assemblaggio del materiale trasmesso; un'utenza culturalmente ancora disarticolata. In questa situazione il primo grande obiettivo non poteva non essere lo sviluppo di un pubblico omogeneo, unificato, di massa. Non a caso, al suo apparire, la televisione è uno strumento di intrattenimento comunitario: la si guarda al bar, in parrocchia, nelle sezioni di partito. Si consuma la televisione insieme ad altre persone, prevalentemente al di fuori del nucleo familiare, con le quali si condivide una visione del mondo. In questo periodo saranno forti il sentimento di gruppo, la discussione, la "conversazione" in un paese che conosce poco questo strumento fondamentale della comunicazione.
convivenza. La televisione delle origini manca di identità mediologica, è ancora scarsamente consapevole delle proprie autonome potenzialità, ed è lontana dall'avere scoperto le opportunità di un "palinsesto" nel quale si razionalizzi del tutto l'offerta dei programmi. La tv è essenzialmente concentrata su due preoccupazioni: da un lato costruire una sequenza cronometrica delle trasmissioni, dall'altro orientare il pubblico, con intento chiaramente pedagogico, ad un ascolto "corretto", evitando che diventi dirompente rispetto agli intenti di studio dei ragazzi e alla tradizionale organizzazione della giornata di lavoro e di riposo degli adulti. È naturale quindi che essa si rivolga ad altri riferimenti culturali, "saccheggiando" generi e repertori della radio, del teatro, del cinema. Nella ricerca di questa identità la televisione ha finito per assumere come modelli fondamentali dellasuaproduzione quei generi esterni al suo universo e tradizionalmente vivi nel contesto sociale. Numerose inchieste effettuate all'epoca, oltre ai dati successivamente forniti dal servizio opinioni, confermano che i teleabbonati erano più propensi a riconoscere i pregi dei programmi nella loro capacità di interessare e di istruire che non in quella di divertire, e in questa propensione del pubblico dell'epoca a ricevere ammaestramenti c'è il segreto del successo di uno dei primi programmi specificatamente televisivi, "Una risposta per voi", che rivelò il volto ironico di Alessandro Cutolo che rispondeva ai diversi quesiti rivolti per lettera dagli spettatori, realizzando una singolare ma efficace trasmissione di divulgazione culturale. Nella televisione tradizionale la parola, e non solo quella teatrale, si riferisce a un preciso modello letterario linguistico; corrisponde a un obiettivo di alfabetizzazione. L'intenzionepedagogicapervade tutto l'arco dei generi programmati, dallo spettacolo all'intrattenimento, con esclusione forse dell'informazione alla quale veniva delegata solo l'ufficialità del rapporto con il potere politico. Non si parla ancora in quegli anni di giornalismo televisivo, ed è assente da qualsiasi ipotesi di giornalismo militante o di opinione. Vero è che in tutto il giornalismo italiano, anche in quella della carta stampata, si vive un clima di povertà professionale.
E se nei primi dieci anni di vita, la televisione italiana si è spesso ispirata ai temi culturali e scientifici preposti con forti connotati didattico-educativi e prevalentemente destinati al pubblico giovanile, la fascia oraria del pomeriggio comincia così a definirsi sempre più come quella divulgativa per eccellenza, almeno per questi primi anni.
La letteratura, la biografia consentono di allargare la spinta divulgativa al campo della fiction,
losceneggiatore si affianca al teatro riprodotto e si diffonde l'uso di ridurre per il piccolo schermo grandi opere edite italiane e straniere. Il fullietton televisivo è l'ultima trasformazione di una forma narrativa che si collega ai generi più disparati del romanzo ottocentesco, che mescola gli ingredienti e i materiali letterari più eterogenei. Così la televisione va alla ricerca di una propria identità stilistica per affrancarsi dai condizionamenti del suo grande rivale, il cinema. Ma nonostante le aperture verso dimensioni più narrative o addirittura cinematografiche, i modelli dell'esperienza teatrale continueranno ad essere di riferimento privilegiato di questo genere, che rimarrà sostanzialmente immutato per tutti gli anni sessanta e 70. Dopo una lunga fase di avvio dell'esercizio la Rai comincia ad affrontare con maggior consapevolezza anche la questione dell'ampliamento delle proprie fasce d'utenza. IlPubblico dei più giovani è ancora considerato con rispettosa cautela così la tv si preoccupò di integrare nella sua offerta tutti i possibili segmenti generazionali, arricchendo la propria gamma di prodotti congiuntamente con l'estensione degli abbonati.
Ai programmi destinati ai giovani fu data una denominazione precisa, la "tivù dei ragazzi"; l'espressione più riuscita di questa tendenza fu "lo zecchino d'oro". Con la consulenza del ministero della pubblica istruzione viene organizzato, nel 1958, il primo corso completo d'istruzione secondaria per l'avviamento professionale, le trasmissioni si rivolgevano ai ceti più poveri e disagiati, ragazzi domiciliati in piccoli paesi di montagna, in località mal collegate e non fornite di scuole secondarie. Nasce così "Tele scuola", un esperimento di educazione a distanza che prosegue fino al 1966.
Mentre cresce la televisione, la
Contemporaneamente al primo vagito dell'esercizio televisivo, la radio italiana compiva il suo trentesimo anno. La sua salute, dal punto di vista dell'apparato, degli impianti e dei programmi non era poi tanto cagionevole. La diffusione del servizio televisivo lungo la penisola è infatti abbastanza graduale e non arresta la tendenza del consumatore italiano a possedere almeno un apparecchio radio per famiglia.
Cosa può contrapporre la radio alla novità e all'impatto spettacolare della televisione? Anzitutto l'abitudine all'ascolto. Se la frequenza d'ascolto della radio diminuisce con l'inizio del trasmissioni televisive, essa è tuttavia legata a una consolidata abitudine all'ascolto quotidiano, che tende a stabilizzarsi nelle ore diurne. Nel confronto continuo fra i due mezzi, assume rilievo la tendenza della radio a ritornare ad un uso più ampio delle trasmissioni "dal vivo": dal 1945 la diffusione di
strumenti di registrazione aveva consentito una migliore qualità dei programmi e nuove possibilità di linguaggio. Dalla seconda metà degli anni cinquanta ritorna la diretta, soprattutto per i varietà e per la musica leggera, dando il senso di un recupero della tradizionale efficacia spettacolare della radio come "teatrino domestico". In generale, per quanto riguarda il decennio successivo l'inizio del trasmissioni televisive, la prima reazione della radio sembra quella di "giocare in difesa", puntando sul prestigio della propria tradizione e sfruttando anche qualche effetto di rimbalzo dei programmi televisivi. L'offerta di prosa si fa imponente. Si arriva a programmare una commedia al giorno, presentando anche sul Radiocorriere un vero e proprio cartellone teatrale, nel quale vengono messe in rilievo le novità assolute, le novità per l'Italia e le prime esecuzioni radiofoniche. 5. Ritorno a casa Surclassando la radio,L'esperienza "leggera" della televisione di questi anni stabilisce prepotentemente l'egemonia del mezzo, che sconvolge le abitudini degli italiani, che corrisponde alla domanda assai viva del "fantasticare". Autori ed interpreti vengono ripresi direttamente dal grande serbatoio del teatro e dal varietà, ma è l'incrocio fra i quiz e lo spettacolo leggero che agisce come straordinario moltiplicatore produttivo, contribuendo in maniera decisiva all'aumento del genere nel palinsesto della televisione tradizionale.
Appena tre anni dopo l'inizio di "Lascia o raddoppia?" Nascono due programmi che saranno un definitivo lancio di questo settore: "1,2 e 3" presentato da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, e il "Musichiere", condotto da Mario Riva.
Non solo il pubblico è in costante sviluppo ma televisione è sempre più utilizzata come mezzo privilegiato per l'impiego del tempo libero in ambito privato.
“Ritorno a casa” viene denominata infatti la fascia preserale. Nessuno dei media in quegli anni ha la capacità di raccordare la propria proposta culturale con il messaggio pubblicitario, il "Carosello”.