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L'AVVENTO AL POTERE DI MUSSOLINI
Il fascismo nasce come movimento nel marzo del 1919 con i Fasci di combattimento, fondati da Mussolini in
piazza San Sepolcro a Milano. Egli iniziò la sua esperienza nel PSI e divenne direttore dell'“Avanti!”. Mussolini era
stato espulso dal partito socialista nel 1914 per la sua posizione interventista e si era poi avvicinato al nazionalismo.
Alla fondazione dei Fasci troviamo ex socialisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, futuristi. I Fasci nacquero
come “antipartito”, con un programma (programma di San Sepolcro) sostanzialmente di sinistra, repubblicano,
anticlericale, apparentemente ultrademocratico. Alle elezioni del 1919 i fascisti si presentarono come partito ma non
ottennero nessun seggio. Il movimento fascista era dunque considerato marginale nella vita politica del paese. Nel
1920 decisero così di abbandonare il “sinistrismo” iniziale, convertendosi a destra e ponendosi a favore dei grandi
imprenditori, fu così che ottennero notevole appoggio dalla borghesia, diventando Partito Nazionale Fascista. Fu
verso l’autunno del 1920 che cominciarono le spedizioni delle squadre d’azione fasciste contro esponenti e sedi del
movimento socialista, con l’uso sistematico della violenza. Questo passaggio decisivo non avvenne nelle città, ma
nelle campagne. Furono i proprietari terrieri, gli agrari (con il Partito degli agrari), a utilizzare “le camicie nere”
(squadre d’azione fasciste) per stroncare il movimento contadino “rosso” finanziandole, appoggiandole politicamente
e dirigendone di persone le azioni. Le violenze squadriste crebbero di intensità nel corso del 1921/1922.
L’atteggiamento delle forze dell’ordine e della magistratura, nel reprimere queste azioni, fu esitante e spesso
connivente. La violenza squadrista trovò generalmente tolleranza e complicità di molte autorità locali: i fascisti
poterono reagire senza doversi scontrare con le forze dell’ordine. Fu quindi una violenza impunita , data la notevole
indifferenza delle forza dell’ordine e dello stato. Il governo di Giolitti favorì pero il malcontento: dopo la caduta del
suo quinto governo, mentre acquisivano sempre più importanza partiti non integrabili nel sistema liberale, come i
partiti di massa (il PSI e il PPI) da un lato e il fascismo dall'altro, il "partito liberale" era sempre più diviso. Giolitti
appoggiò il successivo governo Bonomi, che includeva anche un ministro popolare, oltre a diversi giolittiani. Alla
caduta di Bonomi, mentre la situazione nel paese era sempre più grave a causa del clima da guerra civile e dell'ascesa
del fascismo, la crisi di governo si trascinò a lungo e infine il giolittiano Luigi Facta formò il suo dicastero, che
comprendeva giolittiani, popolari e esponenti della destra costituzionale. Questa crisi politica in Italia di governi
deboli e corti favori notevolmente l'ascesa del fascismo.
La marcia su Roma fu una manifestazione armata organizzata dal Partito Nazionale Fascista (PNF), guidato da
Benito Mussolini, il cui successo ebbe come conseguenza l'ascesa al potere del partito stesso in Italia. Il 28 ottobre
1922, 22.000 camicie nere si diressero sulla capitale rivendicando dal sovrano la guida politica del Regno d'Italia e
minacciando, in caso contrario, la presa del potere con la violenza. Vittorio Emanuele III di Savoia, preferendo
evitare ulteriore spargimento di sangue e probabilmente meditando di poter sfruttare e controllare gli eventi, ignorò i
suggerimenti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica Luigi Facta che gli chiedeva di firmare il decreto che
proclamasse lo stato d'assedio e decise invece di consegnare l'incarico di Presidente del Consiglio a Mussolini.
Vittorio Emanuele mantenne sempre il controllo ufficiale dell'esercito: se avesse voluto, avrebbe potuto senza
problemi dichiarare lo stato d'assedio e bandire da Roma Mussolini e le forze fasciste; in virtù di tale considerazione,
la marcia su Roma non andrebbe considerata un colpo di stato, in quanto Mussolini ottenne, di fatto, l'incarico di
formare un nuovo esecutivo, godendo dell'appoggio del sovrano. Sostanzialmente Mussolini prese il potere in
maniere legittima.
Le elezioni dell’aprile 1924 si svolgono in un clima di terrore e di violenza. Le opposizioni sono disunite e non
riescono ad offrire un'alternativa valida al "listone" fascista, che conquista 403 seggi contro i 106 delle opposizioni.
Poco dopo però il fascismo si trova a dover affrontare una gravissima crisi. In seguito al rapimento e all’uccisione
per mano della “CEKA” del deputato socialista Giacomo Matteotti, che all’apertura della nuova Camera aveva
denunciato le illegalità e le violenze della campagna elettorale, nel paese si diffonde un'ondata di proteste e
indignazione. Le forze d’opposizione, dai liberali, ai socialisti, ai comunisti, abbandonano il Parlamento e si ritirano
su quello che prese il nome della” Scissione dell'Aventino”. Il 3 gennaio 1924 Mussolini si assunse la responsabilità
dell'omicidio di Matteotti. Nei giorni seguenti vengono imbavagliati i giornali di opposizione, chiusi 35 circoli
politici, sciolte 25 organizzazioni definite "sovversive", serrati 150 esercizi pubblici, arrestati 111 oppositori ed
eseguite 655 perquisizioni domiciliari. Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una volta in modo
selvaggio. Anche alla Camera dei Deputati i fascisti non permettevano praticamente più di prendere la parola.
Mussolini si esprimeva contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo. Fine della
democrazia parlamentare ed inizio della dittatura fascista. Nel novembre 1926 furono approvate le “leggi
fascistissime”, di conseguenza tutti i partiti furono soppressi, eccetto il partito nazional fascista. Inoltre fu istituito un
tribunale speciale, incaricato di processare tutti gli antifascisti. Con il “confino di polizia” tutti i sospettati di attività
antifascista furono appunto inviati al confino. Il fascismo assunse quindi un aspetto totalitario e inglobò in se anche il
principio del nazionalismo.
Nel 1924 fallì l'ultimo e più significativo sforzo di rafforzare la Società delle Nazioni: il protocollo di Ginevra
negoziato da UK e Francia prevedeva l'integrazione molto più stretta di sicurezza-disarmo-arbitrato. Quest'ultimo era
obbligatorio nel caso di gravi crisi internazionali, ma l'accordo (osteggiato chiaramente da Mussolini) fu
definitivamente affondato dal nuovo ministero conservatore britannico Baldwin-Chamberlain. A questa crisi della
SDN si aggiungeva la perdita ormai constatata del primato economico europeo.
Una chiave di svolta in senso positivo si ebbe con un nuovo approccio francese e tedesco sulla questione
dell'accettazione del trattato e del pagamento dei debiti. Stresemann, ministro degli Esteri tedesco, maturò una
strategia di accettazione parziale dei trattati per uscire dalle condizioni di sconfitta. Il piano Dawes fu un piano di
natura economica per la risoluzione del problema delle riparazioni di guerra stabilite dal Trattato di Versailles a
carico della Germania: tale piano venne approvato nel 1924. Il piano fu basato sulla ripresa dei pagamenti tedeschi
secondo rate crescenti (ma senza definire un ammontare complessivo) e la riorganizzazione della Reichsbank, la
Banca centrale tedesca. La Francia di conseguenza accettò di veder rinascere la competitività tedesca.
Altro patto che mutò la questione post-trattati in modo positivo fu il Patto di Locarno del 1925, con il quale la
Germania accettava almeno una parte del sistema di Versailles, cioè il confine del Reno. Tale accordo sancì inoltre la
smilitarizzazione della zona sulla sponda est del Reno, il divieto di ogni aggressione e l'obbligo di ricorrere
all'arbitrato pacifico in caso di controversie.
Gli accordi franco-tedeschi si inserivano in un nuovo orizzonte di stabilizzazione economica dell'Europa, evidente
dal 1925. Si utilizzò i nuovi strumenti di regolazione economica ai fini di un'integrazione nazionale “corporata”,
coinvolgendo quindi soggetti sociali forti in rapporti tra pubblici poteri e interessi economici.
Negli USA, invece, con le presidenze Harding, Coolidge e Hoover (1920-1932) i governi non intendevano
impegnare il paese in nessuna cooperazione politica istituzionale, sfruttando invece le relazioni internazionali per
affermare i propri obiettivi economici nazionali: in questo caso, più che di isolazionismo, si tende a parlare di
unilateralismo. L'economia americana era in continua espansione anche grazie ai nuovi metodi fordisti di
produzione, al consumismo e alla politica di allentamento dei controlli per il big business. I paesi europei vincitori
iniziarono a rimborsare i debiti di guerra.
L'allargamento progressivo della Società delle Nazioni ai paesi vinti segnò un punto di apparente stabilità, tanto che
nel 1928 fu firmato il patto Briand-Kellogg. Il patto Briand-Kellogg, noto anche come trattato di rinuncia alla
guerra o patto di Parigi, è un trattato multilaterale stilato a Parigi il 27 agosto 1928, entrato formalmente in vigore
il 24 luglio 1929 con il fine di eliminare la guerra quale strumento di politica internazionale. Un grave difetto del
patto era l'assoluta mancanza di sanzioni che condannassero la violazione del trattato e delle sue condizioni da parte
dei paesi firmatari. Inoltre la rinuncia alla guerra valeva esclusivamente nei rapporti reciproci tra gli stati contraenti
ed era quindi privo di alcun valore verso quegli stati che erano rimasti fuori del trattato. Infine, non escludeva il
ricorso alla legittima difesa: la mancata adozione del trattato si deve proprio al fatto che gli stati firmatari
continuarono a riservarsi il diritto incondizionato a ricorrere alla legittima difesa anche nei confronti degli altri
firmatari.
La grande depressione, detta anche crisi del 1929, grande crisi o crollo di Wall Street, fu una grave crisi
economica e finanziaria che sconvolse l'economia mondiale alla fine degli anni Venti, con forti ripercussioni durante
i primi anni del decennio successivo. L'inizio si ebbe negli Stati Uniti con la crisi del New York Stock Exchange (la
borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), cui fece seguito il definitivo crollo (crash)
della borsa valori del 29 ottobre (martedì nero) dopo anni di boom azionario. La depressione ebbe effetti
recessivi devastanti sia nei paesi industrializzati sia in quelli esportatori di materie prime con un calo generalizzato
della domanda e della produzione. Il commercio internazionale diminuì considerevolmente e con esso i redditi dei
lavoratori, il reddito fiscale, i prezzi e i profitti. Le maggiori città di tutto il mondo furono duramente colpite, in
special modo quelle che basavano