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UN MODELLO DESTINATO A GRANDE FORTUNA: LA SACRESTIA VECCHIA DI SAN
LORENZO
Nel 1419 Brunelleschi fu incaricato dai Medici di rinnovare l’antica Basilica di San Lorenzo; i lavori
non furono terminati dall’architetto, ad eccezione della sacrestia, nel 1428.
E’ una costruzione di estrema purezza: ad un vano principale cubico, coperto da una cupola a
ombrello si accosta una scarsella che ne ripete lo schema in minori dimensioni, in parte
compensate da nicchie che creando tenui chiaroscuri ne dilatano le superfici.
Le pareti sono scanditi da membrature in pietra serena che disegnano sul muro le proiezioni piane
dei solidi da cui è composto l’edificio.
Su questa ossatura spiccano gli elementi decorativi: estrema sobrietà per quelli connessi alla
struttura architettonica (capitelli, fregio); più ricchi quelli dovuti a Donatello e probabilmente
Michelozzo (i battenti bronzei delle porte, le coppie di santi nelle nicchie, i tondi nei pennacchi e al
sommo dei lunettoni). A tale varietà si contrappone la nudità dell’esterno, semplice parallelepipedo
in muratura.
L’edificio è stato ritenuto giustamente un paradigma di eleganza lineare e assolutezza geometrica,
nodale nel percorso di Brunelleschi poiché contiene in nuce elementi che verranno sviluppati in
opere successive. Dentro e fori dalla Toscana avrà straordinaria fortuna ma nelle varie
rielaborazioni spesso la struttura razionale, chiara, geometrica che è il centro dell’edificio, passerà
in secondo piano a casua dell’esuberanza ornamentale o soluzioni architettoniche più seducenti.
COMMITTENZA UMANISTICA E PITTURA “MODERNA”
Contrasto tra civiltà gotica internazionale e rinascimentale: individuabile nel confronto tra
l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano e il Polittico di Pisa di Masaccio, opere quasi coeve
(la prima 1423, la seconda 1426), entrambe commissionate per altari di cappelle gentilizie.
-La Pala d’Altare, in un primo momento commissionata a Lorenzo Monaco, fu affidata poi a
Gentile da Palla Strozzi per la cappella di famiglia in Santa Trinità. Vedi appunti.
-Il Polittico fu commissionato dal notaio pisano Giuliano di Colino degli Scarsi a Masaccio,
e a prima vista l’opera appare più arcaica, sobria. Polittico alto circa 5 metri, su fondo oro,
composto da numerose tavole disposte su più ordini, secondo la tradizione.
Senza intervenire su questi aspetti, Masaccio rende nuova l’opera grazie al suo stile: l’oro diventa
fondo compatto davanti al quale si collocano i personaggi, definiti dalla luce.
Il limite esterno dello spazio è la cornice, cui la figurazione non si adegua, come accade nell’opera
di Gentile, e appare così un frammento di uno spazio e una realtà più ampia.
La predella con l’Adorazione dei Magi è particolarmente significativa per la somiglianza con la
tavola di Gentile (il gruppo a sx sotto una tettoia, di fronte i re e degli astanti). Vedi appunti.
-Il confronto mostra l’ampiezza di declinazioni che il ricorso all’antico possedeva: come l’arte antica
non fu omogenea e sempre uguale a se stessa ma utilizzò una pluralità di strumenti comunicativi,
allo stesso modo si attinse a questo immenso patrimonio cogliendo di volta in volta ciò che
rispondeva meglio a gusti e mentalità: da qui derivano le scelte stilistiche opposte di Gentile,
con la sua pittura letteraria e ornata, e Masaccio, con la sua essenzialità monumentale,
scelte che nascevano da ideali culturali affini ed erano entrambe diramazioni dell’antichità.
IL FONTE BATTESIMALE DI SIENA E IL PERCORSO DI JACOPO DELLA QUERCIA
-Lavora a quest’opera a fianco di Donatello e Ghiberti.
-E’ un artista che testimonia la possibilità di piegare il codice gotico rinnovandolo e portandolo a
intenzioni espressive inedite.
-Opera commissionata dagi Operai del Duomo nel 1416, condotta a termine nel 1434, costituita da
un tabernacolo marmoreo circondato da nicchie con profeti e sormontato dalla statua del Battista e
da una vasca esagonale con le facce ornate da rilievi in bronzo dorato alternati a nicchie e affidati
ad autori diversi.
Ghiberti eseguì l’Arresto del Battista e il Battesimo di Cristo: la scena, ridotta ai personaggi
essenziali, acquista un’indefinita spazialità grazie all’uso del rilievo pittorico e alle figure che
emergono con nitidezza; Cristo, al centro, è ancor più enfatizzato dal gesto di Giovanni, il cui
braccio teso forma un arco ininterrotto col resto del corpo, inquadrando come una mandorla al
figura del Redentore.
Donatello realizza il Convito di Erode, in cui costruisce uno spazio definito con precisione dal
succedersi delle arcate che collegano le varie fasi dell’azione. L’azione si conclude nell’agitato ed
espressivo gruppo in primo piano, e le corrette regole prospettiche sono piegate alle più urgenti
intenzioni drammatiche fondate sulla simultaneità della visione.
Jacopo realizza la sua formella, Annuncio a Zaccaria, restando estraneo al problema della resa
scientifica dello spazio: i gradini dell’altare sono ribaltai sul piano, le figure respingono sul fondo
l’architettura senza abitarla; ciò che gli preme è la vitalità della figura umana, esaltata dall’impianto
monumentale e percorsa da un’energia vibrante che si trasmette anche nei panneggi.
-Lo stesso era avvenuto per la Fonte Gaia destinata alla Piazza del Campo, commissionatagli
nel 1408: benchè ormai ridotta a frammenti consunti, testimonia libertà compositiva e pienezza
vitale straordinarie. Le figura a rilievo collocate sul parapetto affondano e riemergono libere in
spazi appena definiti da un profilo ovale, con effetti di moto continuo.
-Questa stessa intensità dinamica trova la sua massima espressione nel portale di San Petronio
a Bologna, rimasto incompiuto per la morte dell’artista nel 1438. I bassorilievi sono qui dominate
dalle masse plastiche delle figure, dagli atteggiamenti ampi, che vivono in uno spazio definito
unicamente da gesti, privo i notazioni paesistiche. Il rilievo utilizzato è ben diverso dallo stiacciato
donatelliano: le figure sono ricavate con tagli netti, e quelle umane sono espanse e allargate, e
alternano parti lisce e tonde a fratture di piani e contorni rigidissimi, con un effetto di forza
contenuta che non ha paragoni nella plastica quattrocentesca.
La sua concentrazione sull’energia fisica e spirituale dell’uomo si pone sulla scia dell’espressività
di Giovanni Pisano, e sarà capita solo dal suo più vero continuatore, Michelangelo.
CAPITOLO III: IL QUATTROCENTO FIAMMINGO
I Paesi fiamminghi all’inizio del XV secolo godono di una grande prosperità: il clima economico
favorisce la formazione di una società agiata, culturalmente aperta e interessata alla produzione
figurativa, una committenza borghese che addirittura supera quella aristocratica.
Tra la società fiamminga e quella fiorentina non bisogna dimenticare però la profonda differenza
culturale: in particolare ricordiamo la diversa sensibilità religiosa che si stava diffondendo già
dalla fine del Trecento nei paesi nordici, caratterizzata dalla ricerca di un rapporto più diretto e
privato tra uomo e Dio. Così anche le immagini emozionali dovevano favorire l’identificazione dello
spettatore con il fatto sacro, e dunque la realtà rappresentata doveva essere concreta, ricca di
dettagli precisi e minuti. In tale contesto prende le forme il realismo fiammingo.
1)Jan Van Eyck (1390-1441)
Come a Firenze anche in area fiamminga la cultura figurativa tardogotica era quella
predominante: Jan Van Eyck, pur senza rifiutare in tronco il mondo gotico, come fece invece
Masaccio, opera sottilmente a suo interno rinnovandolo in modo personale.
Già dalle prime opere si nota il legame dell’artista con il mondo gotico: sono infatti miniature,
alcuni fogli delle cosiddette Ore di Torino (La Nascita del Battista, ad esempio), eseguite tra il
1422-24.
Jan Van Eyck si forma probabilmente nella bottega dei Limbourg, ma a differenza delle loro
miniature, in cui l’impressione generale è quella di assistere alla raffigurazione di una favola, le
miniature di Jan sono caratterizzate da una completa integrazione tra figure e paesaggio, grazie
alla luce che unifica lo spazio e i vari oggetti, conferendo ad ogni cosa pari visibilità.
Anche Jan Van Eyck dunque, come Masaccio, si pone il problema della realtà, ma mentre
Masaccio lo risolve in una rappresentazione sintetica ed essenziale delle cose, in una visione
prospettica unitaria e razionale, l’artista fiammingo procede per analisi, partendo dai singoli oggetti;
Masaccio utilizza il chiaroscuro, Van Eyck opera attraverso velature successive di colore-luce,
traslucide e trasparenti, definendo le diverse superfici e i più minuti particolari.
Il divario tra la scuola italiana e quella fiamminga è ancora più evidente nella rappresentazione
dello spazio: a tal proposito il confronto tra il Ritratto dei coniugi Arnolfini, 1434, National
Gallery di Londra, e la predella della Pala di San Marco di Beato Angelico raffigurante la
Guarigione del diacono Giustiniano, 1438-40, Firenze, Museo di San Marco.
L’Angelico è uno degli artisti più sensibili al problema della luce, ritenuto spesso un parallelo
italiano dell’artista fiammingo, eppure i due dipinti sono profondamente diversi: nell’Angelico
abbiamo un unico punto di fuga e il tentativo di costruire un mondo perfettamente ordinato, con
un’unica e precisa fonte luminosa e un’azione che si svolge sotto gli occhi di uno spettatore
esterno al quadro; nel dipinto di Van Eyck invece, raffigurante i due sposi nell’atto del giuramento
matrimoniale, si ha l’impressione che lo spazio includa lo spettatore, per l’orizzonte molto alto, per
la sua dilatazione grazia al paesaggio che si intravede dalla finestra e lo specchio che riflette le
spalle dei protagonisti.
Inoltre nell’ambiente fiammingo la luce, che proviene da fonti diverse, moltiplicando così ombre e
riflessi, unifica, poiché individua con la stessa attenzione non selettiva l’infinitamente piccolo e
l’infinitamente grande, il lontano e il vicino. Inoltre la luce permette anche di differenziare le varie
superfici, dal panno alla pelliccia al legno e al metallo.
L’uomo: in una simile visione l’uomo non è più unico protagonista, ma parte di un universo
ricchissimo in cui ogni singolo oggetto ha un valore simbolico, un significato che lo trascende.
Nasce da qui anche la straordinaria ricchezza di piani di lettura e significati dei quadri fiamminghi
(il cane simbolo di fedeltà domestica, così come la candela accesa, ecc).
Jan Van Eyck, Mado