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Estratto del documento

All’inizio del secolo in Germania, si sviluppò un movimento culturale teso ad avviare un processo di

rigenerazione spirituale dell’uomo attraverso l’arte. In tale senso si mosse l’opera di Georg Fuchs

(1868-1949), il quale giunse a teorizzare l’evento spettacolare cime strumento di elevazione e

palingenesi collettiva, fondato sull’azione mimica e sull’imprescindibile componente rituale.

Fuchs fondò il Kunstler Theater di Monaco nel 1908. Egli mostrò un’attenzione particolare nei

confronti dell’illuminazione teatrale: egli criticò moltissimo l’uso delle luci di ribalta e dispose che

nel suo teatro le luci venissero posizionate nell’architrave del proscenio anteriore e sotto il ponte

mobile del proscenio interno, affinchè gli attori venissero illuminati dall’alto. Il fondale veniva essere

abbassato e illuminato da sorgenti indipendenti, posizionate in basso a una certa distanza rispetti

alla superficie cui venivano rivolte.

Egli fece una sorta di differenziazione gerarchica tra illuminazione dell’attore e illuminazione del

fondale e riaffermò il principio della centralità dell’interprete cui dovevano essere subordinati tutti

gli altri segni dello spettacolo. Come Appia, anche per Fuchs alla luce spettava il compito di creare

effetti ed atmosfere spaziali in luogo di ricostruzioni dettagliate di ambienti interni o esterni.

Anche con Fuchs la problematica della luce portò in primo piano l’idea di un teatro sintetico e

simbolico, lontano dal naturalismo, ma sempre più indirizzato all’espressionismo.

A spianare la strada dell’Espressionismo contribuì, con estrema efficacia, anche l’opera di Max

Reinhardt (1873-1943). Egli si dedicò con particolare attenzione a ridefinire i parametri di quella

che definì “la scena del futuro”, una scena costruita architettonicamente, solida e compatta, in

stretta relazione con la platea.

Come per Fuchs, anche per Reinhardt era fondamentale portare l’attore a contatto con il proprio

pubblico, sollecitandone la partecipazione attiva e il coinvolgimento nello sviluppo della vicenda

scenica. Egli non solo contribuì al rinnovamento dell’architettura teatrale, ma anche

all’ammodernamento delle risorse illuminotecniche: sviluppò un sistema di illuminazione finalizzato

a porre in risalto la mobilità, le grandi capacità mimiche dei suoi attori, il gioco pittorico dei costumi

e la composizione policroma delle scenografie.

Egli studiò una diversa disposizione dislocazione delle fonti illuminanti tale da permettere di ritmare

il tempo dello spettacolo e accrescere l’effetto psicologico delle suggestioni. Lo scopo era quello di

“avvolgere le forme in una calda luce”.

6. Avanguardie e teatro epico

Nel corso die primi decenni del Novecento nacquero dei movimenti d’avanguardia che trovarono

nel teatro il terreno ideale su cui verificare i loro assunti più audaci: essi misero in discussione

concetti che sembravano definitivamente assodati, come ad esempio quello del rapporto luce-

scena, che fu completamente ribaltato: non era più il mezzo luminoso ad essere concepito come

funzionale alla scenografia ma era quest’ultima ad essere studiata in funzione della luce intesa

come protagonista assoluta.

In Italia uno dei primi a varare un progetto di riforma del teatro fu Achille Ricciardi (1884-1923)

che già nel 1906 aveva proposta un rinnovamento della messa in scena attraverso il colore 

pensò a un nuovo tipo di teatro in cui il colore puri, attuato mediante la luce, fosse uno dei

protagonisti assoluti dello spettacolo, assumendo una funzione espressiva determinante.

Egli formulò il cosiddetto Teatro del Colore, legato ai grandi temi della cultura europea di inizio

secolo e in particolar modo al Simbolismo  il colore possedeva, come la musica, la capacità di far

vibrare le corde più profonde dell’animo umano, grazie alla sua capacità di rivelare sulla scena il

versante indefinito e inconscio del dramma.

Il suo dramma era rappresentato dal colore puro e astratto, capace di stimolare le capacità

immaginative dello spettatore, svincolato dal testo, un colore trattato come una sorta di

personaggio libero, non inteso in senso naturalistico né simbolista.

In Ricciardi la scenografia stessa era un fatto autonomo: la creazione era lasciata libera al

direttore-regista, che diventava così poeta-creatore. Egli partì dalla necessità di abolire la scena

dipinta, sostituendola con radiazioni luminose, in cui i colori avessero il valore di segni consecutivi

arbitrari, astratti, per suggerire con il loro movimento il divenire psicologico di tutta l’azione dello

spettacolo.

La prima rappresentazione che tenne al Teatro Argentina di Roma fu però stroncato

impietosamente dalla critica e fu apprezzato da pochi, tra cui Enrico Prampolini e Anton Giulio

Bragaglia che per primo catalogò il Teatro di Colore non tra i tentativi futuristi bensì tra quelli

espressionisti.

È ai futuristi che vanno riconosciute tutte le primissime rivoluzioni del concetto tradizionale di

spettacolo, volti a minare i principi codificati delle convenzioni teatrali.

Essi mirarono ad escludere dalla scena ogni referente descrittivo per sviluppare in senso astratto

le potenzialità espressive degli elementi visiva, riconducendo l’accento sui valori plastico-

architettonici e assegnando alla luce un ruolo-chiave sia come elemento costruttivo che come

strumento di coinvolgimento emotivo.

Essi operarono una vera e propria rifondazione del concetto di messa in scena  teatro come

spettacolo dal vivo che coinvolgesse in modo attivo lo spettatore; tutto ciò era implicito nel concetto

di dinamismo, fondamento delle istanze futuriste e, di conseguenza, di un nuovo modo di

concepire la scenografia.

In ambito futurista, uno die primi esperimenti sulla luce in pittura si devono a Giacomo Balla

(1871-1958). Da queste ricerche egli giunse in campo scenico ai bozzetti di Feu d’Artifice che

realizzò per i Balletti Russi di Diaghilev, rappresentati il 17 aprile 1917 al Teatro Costanzi di Roma,

su musiche di Igor Stravinskij  questo spettacolo, della durata di 5 minuti e privo di attori sul

palcoscenico, segnò profondamente la storia dell’illuminazione teatrale. I veri protagonisti dello

spettacolo erano luci e suoni, che sostituivano il gesto e il movimento del danzatore attraverso la

coinvolgente scansione ritmica delle intermittenze cromatiche.

Dalle scena illuminata si passò a una scena illuminante.

La ricerca di un nuovo tipo di teatro basato sulla luce, fu perseguita anche dai fratelli Arnaldo

Ginna e Bruno Corra attraverso la musica cromatica, che di lì a poco sarebbe diventata

cinepittura, con segni eseguiti direttamente sulla pellicola. In direzione del teatro essi annunciarono

una musica dei colori promuovendo, ancor prima di Marinetti, un teatro futurista davvero

innovativo.

In Arte dell’avvenire i due artisti giunsero a ipotizzare il dramma cromatico: traduzione in colori di

un sistema di passioni concretati in un sistema di immagini, in un’azione.

Essi firmarono insieme a Tommaso Marinetti nel 1915 il Manifesto del Teatro Futurista.

Enrico Prampolini (1894-1956) può essere considerato la mente teorica più lucida del futurismo,

colui che rivendicò alla scenografia una funzione creativa che riunificasse in una sola figura le

diverse competenze sceniche.

Già nel primo manifesto del 1915, Scenografie e coreografia futurista, egli si impose contro

l’impostazione naturalista e contro la presenza dell’attore, non più necessaria e addirittura

dannosa. In questa prima fase, collegandosi alle premesse di Simbolismo e Futurismo, egli volle

affidarsi alle suggestioni delle luci colorate e mobili, le quali erano in grado di creare un’atmosfera

in cui il movimento degli attori risultavano parte integrante del dinamismo scenico, rifacendosi, in

questo, alle teorie di Appia, Craig e Tairov.

Successivamente Prampolini escluse dalla nuova scena non solo la presenza umana ma anche

quella della marionetta, affidando ai giochi cromatici e al dinamismo degli elementi architettonici la

creazione di valor emotivi che né la parola del poeta, né il gesto dell’attore potevano esaltare.

Nel 1917 egli iniziò una serie di scenografie teatrali. Nel 1920 iniziò a collaborare intensamente

con il Teatro del Colore di Ricciardi, al quale portò un interessante contributo futurista,

preannunziando la teoria dell’attore-spazio. L’esperienza con Ricciardi coincise con la ricerca di

una scenografia in funzione del valore espressivo di luce-colore, con nitore astratto di timbri, da

muovere sempre più, tanto da diventare personaggio autonomo in divenire, sostituendo l’attore

con fasci di luce in moto.

Fin dagli esordi egli parlo di attore-gas, attore-luce, attore-fumo, in una concezione di completa

astrazione ed evanescenza della scena. Successivamente si accostò ai teorizzatori dle valore

mentale all’interno del processo artistico, definendo in termini nuovi “il rapporto tra arte e industria,

tra forme, luci e colori, ambiente e quindi con la concezione di scenodinamica” concezione nella

quale influì anche il manifesto dell’Arte Meccanica del 1922, che affermava la macchina come

nuovo idolo.

Prampolini realizzò estrose scenodinamiche per il Teatro della Pantomima futurista e nel 1924 con

il Manifesto L’atmosfera scenica futurista, cercò di andare al di là della tecnica di scena,

proponendo lo “spazioscenico polidimensionale” costituito da elementi plastici luminosi in

movimento che dessero luogo ad un’architettura elettrodinamica polidimensionale.

“sintesi”, “plastica”, “dinamica” divennero le parole chiave della fisionomia dell’evoluzione tecnica

della scena futurista.

Per quanto riguarda il colore e la luce, Prampolini si riferì sempre al Teatro del Colore di Ricciardi,

sostituendo però alle immagini statiche e astratte di quest’ultimo, atmosfere cariche di sfumature e

paesaggi, combinazioni dinamiche fra colore, luce, ombra e penombra.

Nel marzo 1915, Fortunato Depero (1892-1960) firmò, insieme a Balla, un altro manifesto,

Ricostruzione futurista dell’universo, con cui si passa a una seconda fase del Futurismo, più

incentrata sull’arte della vita e sulla concezione dell’artista come creatore, ri-plasmatore e ri-

costruttore dell’ambiente che lo circonda.

In questo manifesto veniva ipotizzata la creazione di strutture cinetiche, i complessi plastici, teatrini

in miniatura animati da effetti cromatici, luminosi, sonori in grado di “sintetizzare il complesso delle

sensazioni offerte dalla dinamica vita moderna”.

Depero fu il precursore di P

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Publisher
A.A. 2012-2013
21 pagine
8 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher DeliaLeggio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lo spettacolo nella società multimediale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università di Lingue e Comunicazione (IULM) o del prof Garavaglia Valentina.