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Confrontando invece a parità di età celibi e coniugati, l’autore nota come i primi abbiano
una tendenza al suicidio maggiore. Egli, esaminando il caso francese, deduce che:
i matrimoni troppo precoci hanno un’influenza aggravante sul suicidio, soprattutto
per gli uomini. La maggior mortalità delle giovani coppie di sposi è dovuta a
ragioni sociali (e non l’insufficiente maturità dell’organismo, altrimenti si
suiciderebbero di più le donne, in quanto partoriscono).
A partire dai 20 anni, i coniugati dei due sessi beneficiano di un coefficiente di
preservazione rispetto ai celibi. Tale coefficiente si evolve con l’età (picco tra i
25-30 anni circa, e poi decrescimento).
Il coefficiente di preservazione dei coniugati rispetto ai celibi varia a seconda del
sesso. Il sesso più favorito nello stato matrimoniale varia col variare delle società e
l’ampiezza dello scarto tra i tassi dei due sessi varia a seconda del sesso più
favorito.
La vedovanza diminuisce il coefficiente dei coniugati dei due sessi ma, il più delle
volte, non lo sopprime del tutto (tasso di suicidio celibi > t. s. vedovi > t.s.
coniugati). Il coefficiente di preservazione dei vedovi varia col variare dell’età; il
sesso più favorito nello stato di vedovanza varia col variare delle società e
l’importanza dello scarto tra i tassi dei due sessi varia secondo la natura del sesso
più favorito.
L’immunità di cui godono i coniugati può essere attribuita ad una delle seguenti cause: o
è dovuta all’influenza dell’ambiente domestico (sarebbe la famiglia a neutralizzare con la
sua azione la tendenza al suicidio o ad impedirle di formarsi) o è dovuta alla “selezione 4
matrimoniale” (gli infermi, gli incurabili, le persone troppo povere ecc. non riescono a
sposarsi; il matrimonio “sceglie” solo i migliori della popolazione). Se essa fosse un
effetto della selezione matrimoniale, dovremmo vederla accentuarsi però non appena
questa comincia ad operare, e cioè dall’età in cui i ragazzi e le ragazze cominciano a
sposarsi (ma non è così! Cfr maggior tasso di suicidio nei matrimoni precoci); inoltre il
picco del coefficiente di preservazione non avviene da subito, ma tra i 25-30 anni; tasso
di suicidio non dovrebbe presentare differenze a seconda del sesso ecc. => questa
ipotesi è sbagliata!
Se il coefficiente di preservazione è tanto diversa tra i due sessi, lo si deve al fatto che la
vita familiare incide in modo diverso sulla costituzione morale dei due sessi. Ciò che
dimostra perentoriamente che questa disuguaglianza non ha altra origine, è il fatto che
la si vede nascere e crescere (al punto di partenza il coefficiente di preservazione è di
poco diverso per i due sessi; poi la differenza si accentua perché il coeff. delle spose si
accresce meno di quello degli sposi ed il suo decrescere è più rapido e avviene in misura
maggiore) sotto l’azione dell’ambiente domestico. Ancora più probante è il fatto che la
situazione relativa ai due sessi, circa il grado di preservazione di cui godono i coniugati,
non è la stessa in tutti i paesi.
E’ dovuto alla presenza dell’altro coniuge o dei figli l’azione salutare che la famiglia
esercita sulla tendenza al suicidio? Per scoprire ciò D. confronta tasso di suicidio di
famiglie senza figli vs tasso di suicidio di celibi; t.s famiglie con figli vs. t.s. celibi =>
quando il matrimonio è fecondo il coefficiente di preservazione è molto maggiore (la
società coniugale incide perciò soltanto in minima parte sull’immunità degli uomini
spostati).
Celibi > coniugi senza figli >> coniugi con figli
Inoltre, quello che dimostra bene l’influenza ristretta del matrimonio, è che i vedovi con i
figli si suicidano meno degli sposi senza figli.
Coniugi senza figli >> vedovi con figli
Il matrimonio, finché esiste, contribuisce solo leggermente a contenere la tendenza al
suicidio, poiché questa non si accresce maggiormente quando quello cessa di esistere.
Quanto alla causa che rende la vedovanza relativamente più nociva quando il
matrimonio è stato fecondo, essa va ricercata nella presenza dei figli, i quali da una
parte “allacciano” il vedovo alla vita, ma dall’altro gli rendono più acuta la crisi che sta
attraversando. Con la morte di un coniuge, infatti, non sono solo colpite le relazioni
coniugali, ma viene ad essere inceppato il meccanismo della società familiare (famiglia
diventa disorganizzata).
E’ soprattutto nei riguardi della donna che si manifesta la scarsa efficacia del
matrimonio, quando non trova nei figli il suo naturale completamento.
Spose senza figli > donne nubili
Si era già notato come della vita familiare la sposa si avvantaggiasse meno dello sposo.
Questo è perché, di per sé, la società coniugale nuoce alla donna e aggrava la sua
tendenza al suicidio. E’ solo la presenza dei figli, all’interno del matrimonio, che corregge
e attenua l’azione negativa che il ma trinomio ha sulla donna.
Ricapitolando, l’immunità che presentano le persone sposate è dovuta, in genere,
interamente per un sesso (le donne) e in gran parte per l’altro (uomini), all’azione della
società familiare (coniugi+figli) (e non alla società coniugale!!).
Come si può spiegare il fatto che negli uomini sposati (anche senza figli e anche quando
la coniuge è morta e sono vedovi) presentino un tasso di suicidio minore dei celibi?
Basta supporre che le abitudini, i gusti, le tendenze contratte durante il matrimonio dal
marito non spariscano quando esso si è ormai sciolto ed è vedovo. Se, dunque, l’uomo
sposato, anche quando non ha figli, sente per il suicidio un allontanamento relativo, è
inevitabile che conservi qualcosa di questo sentimento quando rimane vedovo. Solo che,
5
siccome la vedovanza non avviene senza un certo sconvolgimento morale, tali
disposizioni si mantengono solo affievolite. -> questa spiegazione è confermata in
quanto caso particolare di una tesi più generale che può essere così formulata: in una
stessa società, la tendenza al suicidio, nello stato do vedovanza è, per ogni sesso, in
funzione della tendenza al suicidio che il medesimo possiede nello stato matrimoniale
(se lo sposo è fortemente preservato, lo sarà anche il vedovo, anche se in minor misura;
se la sposa è scarsamente distolta dal suicidio, la vedova non lo è).
L’elemento essenziale dell’immunità dei coniugi, riassumendo, è quindi la famiglia, cioè
il gruppo completo formato da genitori e figli. Certamente, essendone membri anche gli
sposi, contribuiscono, da parte loro, a produrre questo risultato, ma non come marito o
moglie, bensì come padre o come madre, cioè come funzionari dell’associazione
familiare. Da questo si ricava che la società domestica, come quella religiosa, è una
potente difesa dal suicidio!
Questa difesa, inoltre, è tanto più completa quanto più densa è la famiglia, cioè quanto
più numerosi sono i suoi membri (famiglie numerose producono sentimenti più intensi e
forti tradizioni che fungono da vincoli fra i membri e che vengono tramandate alle
generazioni successive, vi sono sempre momenti in cui la casa non è vuota e ci sono più
relazioni e contatti tra persone). Affermare infatti che un gruppo ha una vita comune
minore di un altro, significa dire anche che esso è meno fortemente integrato, poiché lo
stato di integrazione di un aggregato sociale non fa che riflettere l’intensità della vita
collettiva che vi circola. Ed è tanto più unito e resistente quanto più attivo e continuo è lo
scambio tra i suoi membri. La conclusione cui eravamo giunti può essere quindi così
completata: siccome la famiglia è una potente difesa verso il suicidio, tanto
maggiormente protegge da esso quanto più fortemente è costituita.
Benché D. non possa provarlo (le statistiche sono troppo recenti), egli nota come il
discorso appena fatto possa essere facilmente trasposto anche alle società politiche. Il
suicidio, generalmente raro nelle società giovani, in via di evoluzione e di
concentrazione, si moltiplica invece con il disintegrarsi delle società stesse. I grandi
sommovimenti politi, come le rivoluzioni, le crisi o le guerre, provocano invece una
diminuzione di suicidi. Le grandi scosse sociali ravvivano i sentimenti collettivi, stimolano
lo spirito di parte o il patriottismo, la fede politica o la fede nazionalistica e,
concentrando le attività verso un unico scopo, determinano, almeno per un periodo, una
più forte integrazione sociale. Le lotte che derivano dalla crisi, infatti, costringono gli
uomini ad avvicinarsi per far fronte al comune pericolo, l’individuo pensa meno a se
stesso e di più alla cosa comune. Questa integrazione può non essere solo momentanea,
ma sopravvivere alle cause che l’hanno immediatamente suscitata, soprattutto quando
è intensa.
Fin’ora sono state stabilite dunque le seguenti asserzioni:
Il suicidio varia in ragione inversa al grado d’integrazione della società religiosa
- Il suicidio varia in ragione inversa al grado d’integrazione della società domestica
- Il suicidio varia in ragione inversa al grado d’integrazione della società politica
-
Questo affronto dimostra che, se questi differenti società hanno sul suicidio un’influenza
moderatrice, non è per i particolari caratteri di ognuna di esse, ma in virtù di una
proprietà comune a tutte: l’essere tutte e tre dei gruppi sociali fortemente integrati.
Riassumendo, possiamo quindi dire che il suicidio varia in ragione inversa al grado di
integrazione dei gruppi sociali di cui fa parte l’individuo.
Ma la società non può disgregarsi senza che, in ugual misura, l’individuo esca dalla vita
sociale, senza che i suoi fini personali diventino preponderanti su quelli comuni e che la
sua personalità tenda a porsi al di sopra di quella collettiva -> egoismo = stato di
eccessiva affermazione dell’io individuale nei confronti dell’io sociale e ai danni di 6
quest’ultimo. D. definisce quindi “suicidio egoistico” il particolare tipo di suicidio
risultante da una smisurata individualizzazione. L’eccessivo individualismo non ha
soltanto il risultato di favorire l’azione delle cause suicido gene ma è, di per sé, una di
queste c