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Il suicidio e l'integrazione sociale
Secondo uno studio, il suicidio è influenzato dal grado di integrazione sociale dell'individuo all'interno dei diversi gruppi sociali a cui appartiene, come la società religiosa, la società domestica e la società politica. In questo modo si può spiegare il suicidio egoistico, che porta l'individuo a estraniarsi dal gruppo, a cadere in uno stato depressivo e di isolamento. Questo tipo di suicidio viene attribuito a una "smisurata individualizzazione".
L'individuo non è sufficiente a se stesso, non è un fine in sé stesso. È limitato nello spazio e nel tempo. Quando abbiamo altri obiettivi al di fuori di noi stessi, non possiamo evitare l'idea che i nostri sforzi siano destinati a perdersi nel nulla, dove finiremo anche noi. Il nulla ci terrorizza, e qui potremmo citare l'eco del verso di Orazio: "Non omnis moriar", che riguarda la possibilità di prolungare la propria esistenza.
forse solo attraverso la cultura, la propria personalità. Ma D. ricorda Platone, nel Fedone, quando Socrate parla amaramente del vestito che dura oltre la vita dell'uomo che lo indossa. D. in termini analoghi dice che si può rimandare di qualche generazione quel limite, ma poi verrà sempre il momento in cui non ci sarà rimasto più niente. Solo dunque attraverso l'integrazione sociale, l'uomo può tentare di evitare il suicidio egoistico che deriva dall'isolamento e dall'eccesso di individualismo. Ma il suicidio ALTRUISTICO, nasce da ragioni opposte, sono la scarsa individualizzazione e la troppa integrazione che rendono l'individuo depersonalizzato. In tal caso si avranno eccessi di sacrifici per la comunità: vecchi che si uccidono per non essere di peso, donne che lo fanno per la perdita del marito, soldati per la gloria dell'esercito... Ma la terza forma di suicidio, quello ANOMICO (=senza legge), è.posizione di subordinazione, può trovare una certa liberazione attraverso il divorzio. D. sostiene che il matrimonio è una istituzione sociale che ha lo scopo di regolare i rapporti tra i sessi e di garantire la stabilità della società. Tuttavia, il matrimonio può anche essere una fonte di sofferenza e di frustrazione per entrambi i coniugi. D. afferma che il suicidio è un fenomeno complesso che dipende da molteplici fattori, tra cui la situazione economica, la condizione sociale e le relazioni familiari. In conclusione, D. sostiene che il suicidio è un problema sociale che richiede una comprensione approfondita e una soluzione collettiva.situazione particolarmente repressa, vede nel divorzio una possibile liberazione. Al contrario di quanto si pensava, si trova dunque difronte ad un grave problema: "Non si può diminuire il suicidio dei mariti senza aumentare quello delle mogli". L'uomo è avvantaggiato dalla stabilità, la donna è svantaggiata dalla mancanza di libertà; tutto ciò poiché l'uomo è compensato dal fatto di essere inserito attivamente nella vita sociale, mentre la donna ne è tenuta a distanza. La conclusione D. la farà in linea conservativa, affermando che poiché il numero dei suicidi con il divorzio si eleva, è positivo confermare l'indissolubilità del matrimonio anche al prezzo di un grave svantaggio per la donna. Una possibile soluzione potrà essere trovata solo quando con una maggiore socializzazione della donna, diminuirà lo scarto fra le posizioni dei due coniugi. Anche seD.aggiunge che la parità giuridica non potrà essere legittima finché l'ineguaglianza psicologica sarà tanto flagrante. Ma è proprio la società secondo lui, quel livello generale che determina quello psicologico e individuale. Dunque le ineguaglianze psicologiche possono attuarsi solo attraverso l'eguaglianza sociale. Ma D. non ritiene possibile del tutto questa ipotesi., ritenendo il matrimonio uno dei fattori dell'ineguaglianza. Ancora D. chiarisce che, non si può parlare di suicidio, ma di tipi diversi di suicidio. E vede forme in cui si combinano i tre tipi insieme. "Sono innumerevoli le circostanze che sembrano essere le cause del suicidio perché lo accompagnano molto frequentemente; gli avvenimenti più diversi e contraddittori della vita possono essere pretesto al suicidio". Solo una spiegazione sociale può mettere ordine in tutti questi casi. Cerca inoltre di vedere altri contesti in cui ilsuicidio si manifesta: esaminerà, ad esempio, il rapporto fra omicidio e suicidio, trovando che dove il primo è molto sviluppato, il secondo si verifica in misura minore. Ma anche qui occorre distinguere. Quando prevale il suicidio egoistico, l'omicidio diminuisce, ma quando si tratta di suicidi altruistici questi sono indipendenti dal numero di omicidi. Infine, in quello anomico esiste un'ambiguità fra i due, e spesso il suicidio segue un omicidio effettuato, o il suicidio avviene dopo un mancato omicidio. Nelle società attuali sono presenti soprattutto il suicidio egoistico e quello anomico, spesso anche a causa di una netta divisione del lavoro. (A questo punto sarebbe per lui coerente affermare che è proprio la società industriale, e in essa la divisione estrema del lavoro, a creare profonde deformazioni della società), ma dirotta e constata che "non vi è società conosciuta in cui sotto varie forme non si.osservi una maggiore o minore criminalità". "Dunque dobbiamo dire che il delitto è necessario, che non può non esistere e che l'organizzazione sociale lo implica logicamente: e quindi è normale". Difronte a questa constatazione D. contrappone solo il problema della necessità delle pene, perché altrimenti sistimolerebbe la criminalità, sbilanciando così il grado di intensità. Ma qual è il grado normale di delitti e suicidi? L'autore considera solo che "il suicidio è un tributo alla civiltà", una valvola di sfogo all'anomia. L'unica soluzione che lui propone, è quella di una società basata sulle corporazioni professionali, in grado di stabilire una ferma moralità e solidarietà, tale da abbassare i casi di suicidio egoistico, eliminare quelli del caso altruistico e riassorbire le contraddizioni che creano quello anomico. 5.suicidio e la psicoanalisi“Fin l’anno 1930, in Francia non era possibile per un sociologo citare il nome di Freud” afferma Monnerot, per questo resta una separazione fra lo studio sociale del suicidio e lo studio psicanalitico. Tuttavia si possono ravvisare osservazioni di D. valide anche alla verifica Freudiana. Freud ritiene che il suicidio sia un omicidio mancato, opinione molto vicina a quella di D. sul suicidio anomico. Nell’anomia un uomo infatti si uccide spesso rivolgendo contro sé l’aggressività che aveva accumulato contro gli altri. La psicoanalisi va oltre e ritiene che anche il suicidio del depresso sia un omicidio mancato. È possibile interpretare così dunque il suicidio egoistico di D., come un eccesso di individualismo che porta ad una carenza di integrazione e da cui quindi nasce l’aggressività verso gli altri che lo hanno abbandonato. Tuttavia anziché muoverla verso gli altri, l’uomo in tale stato
Svilupperà un forte senso di colpa e rivolgerà questa aggressività verso se stesso. Ma Franco Fornari chiarisce che in linea generale per la psicoanalisi il suicidio non esiste, e il suo paradosso è proprio quello di essere una negazione della morte. Ci si suicida ad esempio per imitazione e insieme per partecipazione emotiva. (Es. delle ragazze di Mileto).
Chiarisce Fornari che il suicida, sul piano cosciente sembra voler negare il proprio rapporto con il mondo, ma nell'inconscio, in realtà lo ricerca in modo disperato. Egli è un escluso che tenta di affermare la propria presenza, di riappropriarsi dell'oggetto d'amore che non aveva raggiunto in vita.
Ma nel fare questo egli si propone di creare un lutto verso gli altri, cioè di scaricare la propria morte all'esterno, sulle spalle altrui. Il suo gesto è un omicidio illusorio sugli altri, colpiti dalla sua morte.
Discordanti da D., gli psicanalisti affermano che il
suicidio non è un gesto decisionale razionale, bensì il gesto di un uomo disturbato, non normale. Oltre la psicoanalisi del suicidio. Oltre al caso delle ragazze di Mileto si potrà ricordare di come Virgilio nell'Eneide riesca ad anticipare l'interpretazione psicoanalitica moderna. Nell'Antinferno, Virgilio colloca anche i suicidi che non sono paghi dell'essersi tolti la vita, ma, al contrario, che sarebbero disposti a tornarvi ad ogni costo. Ma lo Stige lo vieta. Dunque V. non attribuisce ai suicidi la volontà di uccidersi o di accettare un aldilà senza sofferenze, ma il desiderio di una vita anche peggiore della precedente una volta verificata realmente la morte. Un altro fatto offertoci dall'epoca classica è quello del suicidio di massa degli Zeloti per non cadere vittime dei Romani. Nelle parole del capo Zelota si troverà il netto capovolgimento di vita con morte e viceversa. Anche il Cristo scambia vita conmorte e morte con vita, e sarà proprio la morte nella falsa vita che consentirà la resurrezione nella vera.
In linea generale tutte le religioni che postulano la vanità della vita terrestre e la verità della vita ultraterrestre creano situazioni di suicidio immediato o suicidio differito.
Il suicidio immediato è quello della autofferta di se stesso come capro espiatorio, come martire, (D.lo definisce suicidio altruistico eroico).
Il suicidio differito è quello del sacrificare la propria vita umana attraverso la rinuncia, le sofferenze, la clausura, la denutrizione, per ottenere una seconda vita nella pienezza paradisiaca.
Si può concludere affermando che la pratica di suicidi con ideologie religiose corrisponde a momenti storici di forte disagio e di forti tensioni disgregatrici del tessuto sociale in cui una seconda vita immaginaria viene vista come l'unica speranza.
Ed il fatto che queste due forme di suicidio vengano praticate in piccoli
gruppi o in piccole comunità, non toglie nulla al fatto che tali gruppi trovino la loro aggregazione per il fine diannu