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TERZO SETTORE, SUSSIDIARIETÀ
Le realtà del Terzo settore rappresentano una formazione sociale intermedia basata
su relazioni i cui valori sono diversi dai valori di scambio del Mercato e dai valori di
comando dello Stato. La cultura attiva della cittadinanza comprende valori di
solidarietà, attenzione agli esseri viventi, dono; nella normatività prevale il valore
d'uso (agisco perché qualcuno ne ha bisogno) rispetto al valore di scambio;
l'organizzazione, con l'obiettivo di soddisfare al meglio i bisogni di attenzione, cura e
rispetto degli esseri viventi, deve conciliare la razionalità rispetto allo scopo e rispetto
al valore, ad esempio quando deve decidere come recuperare le risorse necessarie ad
operare (autofinanziamenti, risorse pubbliche o private). Il ruolo societario o anche
“politico” per l'intera società produce un tipo particolare di beni relazionali
secondari o collettivi in quanto prodotti con una logica universalistica in cui
fondamentale non è ciò che viene offerto ma il modo in cui ciò viene offerto e ricevuto;
funzionano così da stimolo di “civilizzazione”.
Volontario= una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della
comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore,
mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità
Legge 2016: per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il
perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità
sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi
statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale
mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e
scambio di beni e servizi. Tra questi:
-Organizzazioni di volontariato (si avvalgono prevalentemente delle prestazioni dei
volontari associati) -Associazioni di promozione sociale (per lo
svolgimento in favore dei propri associati di più attività) -Enti
filantropici (al fine di erogare denaro a sostegno di categorie di persone svantaggiate
o di attività) -Imprese sociali, incluse le cooperative sociali (perseguire
l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale
dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi sociosanitari ed educativi; b) lo
svolgimento di attività diverse)
-Reti associative (associano enti del Terzo settore)
-Società di mutuo soccorso (prestazioni o erogazione di sussidi nel caso di forme di
inabilità di diversa origine lavorativa; assistenza familiare o contributi economici ai
familiari dei soci deceduti o che si trovino in condizione di gravissimo disagio
economico)
La sussidiarietà può essere definita come quel principio regolatore secondo il quale,
se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve
intervenire, ma deve sostenerne l'azione. Ha funzione promozionale perché obbliga
le Istituzioni di governo (l'Europa, lo Stato, la Regione, e così via) ad aiutare le
articolazioni sottostanti, funzione protettiva che proibisce agli stessi governi di
intervenire a livello di articolazioni sottostanti se queste sono in grado di regolarsi
autonomamente, funzione di responsabilizzazione degli attori che difende lo Stato e
gli altri enti e i soggetti che hanno il dovere di sussidiarietà da un sovraccarico di
compiti. La sussidiarietà orizzontale riguarda il rapporto con il cittadino e la società
civile; quella verticale riguarda i rapporti tra istituzioni (le istituzioni superiori
dovrebbero offrire sostegno economico, istituzionale e legislativo alle istituzioni più
vicine al cittadino).
EVOLUZIONE DEMOGRAFICA
Per la maggior parte del tempo la popolazione è cresciuta molto lentamente, ha avuto
una prima accelerazione durante il neolitico, con il passaggio all'agricoltura stabile
ma è nella seconda metà del 18° secolo che la popolazione raddoppia ed inizia a
crescere velocemente; secondo Malthus la popolazione aumenta molto più
velocemente dei mezzi di sussistenza (progressione geometrica e progressione
aritmetica): l'equilibrio tra i due può avvenire attraverso “freni repressivi” (con
l'aumento della mortalità causata per lo più dalle peggiori condizioni di vita) o
attraverso “freni preventivi” (riducendo la nuzialità e la natalità).
La teoria della “transizione demografica” analizza il continuo variare dei tassi di
natalità e mortalità e individua quattro diversi regimi demografici: primitivo (alto tasso
di natalità e un alto tasso di mortalità); inizio della transizione (esplosione
demografica in cui si riduce la mortalità); periodo in cui la mortalità continua a
diminuire ma anche la natalità inizia a diminuire (diminuzione dell'incremento
demografico); stagnazione demografica (mortalità e natalità continuano a diminuire
e l'incremento naturale della popolazione si riduce al minimo). La “seconda transizione
demografica” si presenta come una nuova rivoluzione demografica, generata come la
prima da un disequilibrio tra i tassi di natalità e quelli di mortalità, ma a dare l'avvio
alla transizione non è però un cambiamento nel tasso di mortalità, bensì in quello di
fecondità. Il declino della fecondità in Europa è dovuto a: la riduzione del tasso di
nuzialità e l'uso dei metodi contraccettivi, l'aumento del costo relativo del
mantenimento dei figli, il processo di secolarizzazione, modifica dei ruoli all'interno
della coppia. La conseguenza delle attuali dinamiche è che non viene assicurato il
ricambio generazionale e il Paese invecchia a ritmi sostenuti.
Invecchiamento della popolazione= modifica nella struttura per età che porta ad un
aumento delle persone con oltre 60/65 anni; è un fenomeno dovuto per lo più al calo
della natalità ed è tipico delle popolazioni mature stazionarie. L'invecchiamento
incrementa la prevalenza delle cronicità e della non autosufficienza, accrescendo la
necessità di assistenza e cura; comporta ripercussioni sul mercato del lavoro, sulla
spesa pubblica, sui servizi sociali e quindi sull’andamento economico e l’evoluzione
sociale, sanitaria e culturale del nostro Paese.
SOCIOLOGIA DELLA SALUTE, DISCRIMINAZIONI NEI LIVELLI DI SALUTE, IMPATTO
ECONOMICO
La salute viene definita dalla sociologia della salute come “capacità di adattarsi e
autogestirsi”, concetto che richiama la dinamicità e l'evoluzione che permette di
superare la malattia anche cronica costruendo nuove forme di equilibrio e di
normalità.
Sono presenti nella nostra realtà disuguaglianze nei livelli di salute, ovvero
disparità oggettive e sistematiche circa il possesso di risorse e capacità utili per
ottenere privilegi e ricompense: distributive, legate all'insieme di privilegi materiali e
simbolici; relazionali, legate ai rapporti di potere tra individui e gruppi sociali; di
opportunità, condizionate dalle origini sociali. Possono essere spiegate in termini di
semplici iniquità sociali dovute a diversità biologiche, oppure di condizionamento del
contesto sociale che trasmette all'individuo gli svantaggi di salute. Tra gli ambiti di
studio delle disuguaglianze troviamo quelli della classe sociale, del genere, dell'età e
dell'etnia: una costante negli studi sugli immigrati è la presenza di un collegamento
tra le discriminazioni di salute e la provenienza geoculturale dell'immigrato.
Situazioni di difficoltà economica possono provocare un impatto negativo sulla
salute delle popolazioni: la riduzione degli interventi di prevenzione, del ricorso alle
visite e alle cure, stili di vita non salutari. La crisi economica non produce solo
impoverimento da malattia e da costi per la salute, ma ha effetti diretti sull'insorgenza
di malattie da crisi recessiva.
WELFARE STATE, EVOLUZIONE SISTEMA SANITARIO
Il principio di fondo del cosiddetto “welfare state”, stato di benessere, è costituito
dalla convinzione che lo stato debba proteggere certi standard di vita nei diversi
ambiti che riguardano la salute, il reddito, l'abitazione, l'istruzione, la sicurezza fisica;
è un’invenzione europea originata dalle politiche di protezione sociale, viene
rivendicata una cittadinanza sociale. Vengono identificati un welfare istituzionale,
residuale, remunerativo. Crisi dello stato sociale: l’evoluzione demografica porta ad
una modificazione nella struttura per età della popolazione e di conseguenza ad una
modificazione dei bisogni e dei problemi legati all’assistenza. L’interesse sociologico
nasce dall’importanza che la salute riveste per la collettività: l'organizzazione del
nostro sistema sanitario si è evoluta parallelamente ai cambiamenti della società.
L’istituzionalizzazione della sanità prende avvio alla fine dell’800 con l’istituzione di
appositi fondi assicurativi ad iscrizione volontaria (forme di “mutualismo sanitario”
create da movimenti politici e religiosi); in Italia la legge del 1865 affida la tutela della
sanità pubblica al ministro dell’Interno e, a livello periferico, ai Prefetti e ai Sindaci,
mentre con la Legge Crispi del 1888 la tutela della Sanità pubblica diviene un dovere
dello Stato, non più prerogativa dei privati: queste leggi assolvono semplicemente ad
una funzione di polizia in quanto l'ambito sanitario è connotato ancora
prioritariamente da una funzione di tutela della sicurezza dello Stato e dei cittadini. Il
concetto di sicurezza sociale sostituisce quello di assistenza durante l’epoca
fascista; si arriva così all’erogazione di assistenza diretta su base assicurativa
attraverso l’espansione degli Enti mutualistici. Un cambiamento di prospettiva
avviene in un contesto mondiale che, all'uscita dalla guerra, punta al riscatto dei diritti
dell'uomo (nascono l’ONU e l’OMS): con la costituzione nel 1948 l’art. 32 formula la
concezione della salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività. Intanto si passa all’assicurazione sociale di malattia (nei primi anni
quaranta), fondata sull'obbligo di iscrizione per alcune categorie di lavoratori e
costruito attorno ad una pluralità di casse mutua. La legge 833 nel 1978 istituisce il
Servizio sanitario nazionale (universalità della copertura assicurativa, equità,
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