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LE RELAZIONI INDUSTRIALI: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
La contrattazione collettiva si diffonde, negli Stati Uniti, già a partire dal 1935, anno dell'emissione del National Labour Act, mentre in Italia dovremo aspettare fino al secondo dopoguerra, con il superamento del modello corporativo fascista, per vedere la diffusione della contrattazione collettiva.
Il National Relations Act riconosce la legittimità e tutela la presenza dell'organizzazione sindacale nelle aziende; obbliga gli imprenditori alla contrattazione collettiva con quei sindacati in grado di ottenere i voti della maggioranza dei lavoratori in una determinata area.
La legislazione federale indicava anche i minimi salariali e prevedeva il loro ritocco periodico. In tal modo agganciava di fatto la dinamica delle retribuzioni più basse a quelle dei settori più forti del mercato del lavoro. Il primo provvedimento in tal senso è il Fair Labor Standards Act del 1938:
è più adeguata e che è necessario stabilire regole e accordi che garantiscano diritti e condizioni di lavoro migliori per i dipendenti. La United Automotive Workers, nel 1937, riesce a firmare un accordo con le tre più grandi aziende del settore automobilistico, conosciute come le Big Three: Ford, Chrysler e General Motors. Questo accordo rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei lavoratori e nella stabilizzazione delle relazioni industriali. I sindacati si pongono come interlocutori dei datori di lavoro per tutelare al meglio i bisogni dei lavoratori e le loro richieste, soprattutto attraverso la contrattazione collettiva. Questo strumento permette di negoziare e definire condizioni di lavoro, salari, orari e altri aspetti che riguardano i dipendenti. La contrattazione collettiva non rappresenta solo un mezzo di tutela dei lavoratori, ma a lungo andare diventa uno strumento funzionale anche all'impresa fordista. Si comprende che la gestione paternalistica del personale non è più sufficiente e che è necessario stabilire regole e accordi che favoriscano una maggiore produttività e soddisfazione dei dipendenti. In conclusione, la contrattazione collettiva si rivela fondamentale per garantire diritti e condizioni di lavoro migliori per i dipendenti, ma rappresenta anche uno strumento strategico per l'impresa fordista nel raggiungimento dei propri obiettivi.è più una soluzione adeguata alla grande impresa. Il turnover dei dipendenti insoddisfatti, la conflittualità diffusa, l’assenteismo costituiscono costi che rischiano di compromettere il funzionamento dell’azienda. Il contratto collettivo affronta queste problematiche consentendo di gestirle e darle una soluzione collettivamente, superando la frammentazione e la microconflittualità.
È vero che nella fase precedente l’accordo, si assiste ad un aumento delle tensioni sociali, ma ad esso fase seguito, dopo la sigla del contratto, un lungo periodo di pace sociale che consente il raggiungimento degli obiettivi aziendali riduce le occasioni di scontro.
Era nato un sistema di Relazioni Industriali che riconosceva l’esistenza del conflitto, ma contemporaneamente contemplava anche gli strumenti per circoscriverlo, concentrandosi sulle condizioni di lavoro e sui salari.
Col tempo si consolida anche una teoria della divisione dei compiti tra
gli attori sociali:- i manager si assumono la responsabilità della produzione, compresa la libertà di organizzare il processo produttivo e l'assegnazione dei compiti, ma la loro condotta è definita da una serie di regole e consuetudini stabilite dal contratto collettivo
- il sindacato, attraverso il contratto collettivo, negozia le regole e ne controlla l'osservanza. Secondo alcuni studiosi, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali assumono la veste di legislatori privati, in quanto attraverso la contrattazione collettiva regolamentano i rapporti di lavoro di un intero settore industriale.
Questioni durante i periodi tra un contratto e l'altro
In cambio del loro impegno a rinunciare a scioperi e scoraggiare scioperi selvaggi, i sindacati ottennero il diritto di raccogliere i contributi attraverso detrazioni automatiche dalle buste paga dei lavoratori. Questo stabilizza le entrate, in modo da quantificare le stesse e la detrazione dal salario evita che i funzionari sindacali debbano passare direttamente a chiedere la quota.
Dopo la guerra, nel 1950 viene siglato un importante contratto tra la UWA e la GM: l'accordo prevede che l'aumento annuale dei salari sia agganciato da una parte all'aumento della produttività e dall'altro al cambiamento degli indici dei prezzi. Prevede anche l'introduzione di forme assicurative. L'accordo dell'industria automobilistica venne diffuso attraverso i collegamenti istituzionali tra i maggiori sindacati nazionali.
Ogni settore industriale ed ogni azienda faceva negoziazioni separate, ma tutti
seguivano lo stesso schema. Questa formula, estesa a tutti i lavoratori, assicurava che il potere d'acquisto dei consumatori si espandeva allo stesso tasso della capacità produttiva nazionale il perfetto equilibrio garantisce la crescita continua del sistema economico.
LE RELAZIONI INDUSTRIALI: IL COMPROMESSO FORDISTA
La crescita delle dimensioni delle imprese e la diffusione della figura dell'operaio comune creano masse di lavoratori con identiche condizioni e interessi simili. Questo favorisce la loro mobilitazione e l'adesione alle organizzazioni sindacali. Ciò contribuisce unitamente alla piena occupazione, a rafforzare il potere negoziale di quelle organizzazioni. Tale rafforzamento porterà ad uno scambio con i datori e le loro rappresentanze, che va sotto il nome di compromesso fordista.
Nel periodo fordista si assiste ad un grande compromesso tra le parti sociali. Nella contrattazione collettiva si assiste di fatto ad uno scambio
sostanziale:- da un lato i sindacati accettano l'organizzazione del lavoro taylorista (cioè autorità organizzata gerarchicamente, controllo, divisione del lavoro, bassa qualificazione) e le conseguenze dell'introduzione della catena di montaggio in fabbrica (parcellizzazione dei compiti, ripetitività, ritmi imposti dalla catena) pur cercando di limitarne gli aspetti più critici.
- dall'altro l'impresa accetta di garantire ai lavoratori:
- salari fissi (e, spesso, difesi dall'inflazione mediante indicizzazioni)
- occupazione a tempo indeterminato, così da proteggerli dalle fluttuazioni del mercato, pur cercando di preservare una certa autonomia nelle decisioni aziendali.
degli interessi funzionali (lavoratori ed imprenditori), a queste politiche viene dato il nome di neocorporative.
2. Natura economica - Politica Keynesiana
L'idea di Keynes è che nelle fasi negative del ciclo economico lo stato debba intervenire attraverso alcuni meccanismi per aumentare il livello aggregato della domanda (far funzionare il sistema alle sue massime potenzialità), mentre deve astenersi da qualsiasi intervento nelle fasi positive del ciclo. Tali meccanismi sono:
- abbassamento del livello delle tasse (politiche tributarie);
- riduzione del costo del denaro (politiche monetarie);
- aumento del finanziamento di progetti pubblici (spesa pubblica).
Tali politiche devono essere usate temporaneamente per far lavorare le risorse inutilizzate, mettendo così in moto un processo che avrebbe riportato l'equilibrio della domanda e dell'offerta al maggior livello di produzione e di occupazione. Nelle fasi negative lo stato può ad
esempio attivare programmi di intervento pubblico (costruzione di case, strade, ecc.), eventualmente anche andando in deficit (deficit spending), perché nella fase successiva, l'incremento del reddito ottenuto produrrà anche un aumento del gettito fiscale tale da compensare lo sbilancio precedente.
Negli Stati Uniti, ad esempio, dal 1929 (anno della grande crisi) al 1980 si è registrato una progressiva crescita nella spesa pubblica dello Stato federale. Nel 1929 essa rappresentava il 3,0% del PIL, nell'82 il 23,8%. Anche le spese militari relative prima alla guerra di Corea, poi a quella del Vietnam e, più in generale, alla guerra fredda costituiscono una parte notevole di questo incremento della spesa pubblica. Queste spese contribuiscono, indirettamente, trasformandosi in ordinativi per le industrie americane, a tenere alto il livello della domanda.
3. Politiche sociali
Politiche di natura sociale o pubbliche di welfare (welfare state) sono indirizzate
alla protezione sociale dei cittadini. Esse si rivolgono:- sia ai cittadini che pur lavorando, sono poveri (attraverso politiche assistenziali);
- sia ai cittadini che non lavorano, attraverso il sistema delle assicurazioni (invalidi, persone temporalmente indisponibili per malattia, maternità, ecc), o quello dei sussidi (disoccupazione, cassa integrazione, mobilità, ecc.);
- sia ai cittadini in cerca di lavoro;
- sia ai cittadini che sono usciti dal mercato del lavoro (pensione);
- sia a tutti i cittadini meno abbienti in generale, attraverso l'erogazione di servizi pubblici come quello educativo e sanitario.
- sostengono il reddito dei cittadini, dunque concorrono a stabilizzare la domanda, fondamentale per la produzione di massa;
- forniscono alle aziende lavoratori già pronti per essere inseriti ai vari livelli (e per varie mansioni).
contribuiscono:
- a ridistribuire in maniera più egualitaria la ricchezza;
- compensa lo svuotamento del lavoro derivante dalla subordinazione contrattuale e dalla filosofia Taylorista.