Sociologia dell'educazione - Appunti
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CAPITOLO TERZO: scuola ed agenzie di socializzazione.
La scuola mantiene un ruolo centrale nel processo di socializzazione secondaria, me non avendo il
monopolio deve conformarsi con la famiglia, con il gruppo dei pari e con i mezzi di comunicazione
di massa.
Le agenzie sociali che toccano tutti sono: famiglia, gruppo dei pari, mass media.
In questo capitolo vedremo rapporti scuola- famiglia, scuola- gruppo dei pari, scuola- mezzi di
comunicazione.
Paragrafo 1: rapporto scuola-famiglia (modelli educativi familiari e riuscita scolastica)
Verso la fine degli anni 90, grazie ad alcune ricerche americane sul rapporto scuola famiglia,
Baumrind elaborò 3 modelli educativi parentali, che si sono succeduti nel tempo:
1. Stile repressivo - autoritario: è un metodo di socializzazione unidirezionale dove non c’è
dialogo tra genitori e figli, i genitori comandano e i figli obbediscono. I genitori sono molto
rigidi e distanti dai figli, quello che conta sono le loro esigenze e non quelle dei figli che
obbediscono senza sapere quale sia la ragione.
È uno stile che provoca assenza di autonomia, responsabilità e scarsa riuscita scolastica.
Nel periodo dell’adolescenza questo stile produce nei ragazzi ribellione per ottenere una
maggiore autonomia.
2. Stile indulgente - permissivo: è l’esatto opposto dello stile autoritario in quanto è
caratterizzato da un forte amore e da un maggiore dialogo con i figli. I genitori ritengono
che non si debbano mai reprimere i figli evitando di fare ricorso all’autorità.
Questo atteggiamento non prevede regole (invece è importante abituare i bambini sin da
piccoli alle regole, spiegandogliele e concordandole con loro, come succede appunto nel 3°
stile educativo) e in quanto tale facilità una condotta aggressiva e ribelle che rende difficile
il raggiungimento dell’autonomia e della responsabilità personale.
I bambini educati in questo modo tendono ad essere poco attenti a scuola e ad avere
atteggiamenti ostili verso professori e compagni, come anche ad essere poco costanti nello
studio e privi di obiettivi.
In passato, in America le classi sociali e gli stili di educazione erano legate, poi Benjamin
Spoke (pediatra anni 70/80’) con la stesura di un libro influenzò soprattutto alle classi più
colte. Nel libro sosteneva che i figli dovevano essere educati permettendogli di fare quello
che volevano. Questa influenza capovolse la situazione, nel senso che prima le classi medio-
alte erano più severe di quelle popolari. Solo in un secondo Spoke si rese conto di aver
scritto delle sciocchezze e con lungo andare i bambini educati in questo modo tendevano ad
essere poco attenti a scuola e ad avere atteggiamenti aggressivi verso professori e compagni.
3. Stile autorevole - democratico: è lo stile di educazione migliore perché si basa sulla
reciprocità tra genitori e figli. La comunicazione è aperta e il controllo dei genitori è fermo e
deciso, si preoccupano di stabilire regole, e quando è necessario ricorrono a punizioni
motivate. Questo comportamento tende a creare nei figli indipendenza e autonomia.
Questo metodo risulta essere quello più efficace per la riuscita scolastica, ma è anche il più
faticoso perché richiede continuità da entrambe le parti.
È indispensabile che i genitori abbiano un atteggiamento comune con cui concordare regole
per i figli, bisogna inoltre concordare un atteggiamento simile con i nonni, che oggi hanno
un ruolo fondamentale.
Alcune indagini dimostrano che i bambini educati con uno stile democratico dimostrano riuscita sia
nel sociale che a scuola, quelli educati con uno stile autoritario dimostrano risultati scolastici di
medio livello, mentre quelli educato con lo stile permissivo dimostrano risultati scarsi, di basso
livello. 12
Tenendo presente questi 3 modelli, in Italia sembra che si sia largamente diffuso il 2° modello
(indulgente – permissivo), dovuto al fatto che le famiglie danno sempre ragione ai propri figli,
qualunque cosa facciano la colpa è sempre degli altri, siano essi insegnanti o coetanei. Questo è il
cosiddetto fenomeno del Familismo Amorale che significa far parte di una famiglia talmente
particolaristica da essere una specie di tutto chiuso in sé stesso, che sembra non accettare regole
universalistiche. Delle ricerche è emerso che alcuni genitori, soprattutto quelli di ceto benestante, si
comportano nei confronti della scuola come consumatori e in quanto tali vogliono avere sempre
ragione.
L’Italia è un paese di scarsissima coesione sociale, quindi è molto probabile che un’atteggiamento
educativo indulgente-permissivo diventi un caso di familismo amorale
Successivamente, una ricerca della Montandon su 300 famiglie Ginevrine ha evidenziato
concezioni valoriali diverse a seconda del gruppo sociale di appartenenza: le classi agiate danno
importanza all’autonomia individuale, mentre quelle popolari privilegiano la costruttività. In base a
questi due tipi di famiglia vengono individuati 3 stili educativi:
Contrattualista, corrisponde allo stile democratico- autorevole
Maternalista, corrisponde allo stile indulgente-permissivo
Statutario o disciplinare, corrisponde allo stile autoritario-repressivo
Questi stili di educazione si basano sul punto di vista dei genitori.
Nello stile contrattualista i genitori esercitano sui figli un controllo coercitivo e la distanza tra padre
e figlio è grande.
Nello stile materialista i genitori sono molto più vicino ai figli ma vi è più controllo che
motivazione.
Nello stile statutario i genitori essendo molto sicuri dei figli, gli attribiuscono molta autonomia.
Paragrafo 2: rapporto tra scuola e gruppo dei pari.
Il gruppo dei pari inizia ad essere importante già da 3 anni e aumenta di grado fino ad arrivare
all’adolescenza, momento in cui l’influenza del gruppo diventa fondamentale, e questo dura finché
non si diventa autonomi.
La differenza fondamentale tra famiglia e gruppo dei pari è che il gruppo viene scelto, la famiglia
no, inoltre il gruppo a differenza della famiglia soddisfa nei giovani il bisogno di sfuggire al
controllo degli adulti.
Negli anni 60’ in Italia il gruppo dei pari non era così evidente come lo era negli Stati Uniti perché
i ragazzi all’età di 14 anni andavano a lavorare e non si rapportavano con i coetanei come appunto
succedeva in America, ma con gli adulti.
La scuola è il luogo dove il gruppo dei pari è più rilevante, infatti le classi sono divise per età.
Dalle ricerche americane sul gruppo dei pari è venuto fuori che nel periodo adolescenziale
I giovani si trovano in una situazione ambivalente perché da un lato viene loro chiesto una condotta
strumentale, volta a raggiungere degli obiettivi, dall’altra parte l’ideologia permissiva li spinge a
formare delle subculture, in cui condividono di modelli si comportamento, di linguaggio, di valori,
abbigliamento, capigliatura e musica.
In genere l’influenza dei pari sembra avere la meglio solo sugli aspetti delle subculture giovanili,
crescendo, l’influenza sull’adolescente si affievolisce fino al momento in cui acquista una
autonomia personale che gli consente di prendere decisioni diverse sia dal gruppo che dai genitori.
In base ad alcune ricerche, Anna Arent affermò che le nuove generazioni sono passate da una
tirannia familiare ad una tirannia di maggioranza (essere così condizionati dalla maggioranza da
poter negare i propri comportamenti). Per le ragazze, il gruppo dei pari è meno invasivo, non si
vergognano di dire che leggono, mentre per i maschi è il contrario (tirannia della maggioranza) e
per questo può costituire un ostacolo nella riuscita scolastica.
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Se manca uno dei genitori, è più frequente che i figli si appoggino più al gruppo dei pari, mentre se
la famiglia è unita il figlio si appoggia più alla famiglia.
Un filone di ricerca Anglosassone sulle subculture giovanili ha rilevato la presenza di 3 tipi di
subculture capaci di influenzare anche sui livelli di apprendimento di scuola media:
I. Accademica: modello tipicamente femminile è caratterizzato da una maggiore presenza in
casa, favorisce la riuscita scolastica, e privilegia forme di espressività individuale come
scrivere il diario, leggere, guardare foto, o ascoltare musica con l’amica del cuore.
II. Ludica o del divertimento: è un modello prevalentemente maschile caratterizzato da forme
estese di socializzazione (esterne alla famiglia), si basa su attività extracurriculari come sport
e ballo e ostacola la riuscita scolastica.
III. Delinquente: è un modello che si pone come deviante (non conforme alle norme e valori della
società).
Le indagini dimostrano che i ragazzi hanno la tendenza a formare gruppi di dimensione più ampie
mentre le ragazze sembrano formare gruppi più coesi, focalizzati sulla condivisione di problemi
sentimenti, paure e dubbi . A partire dall’adolescenza il gruppo dei pari dello stesso genere (mm, ff)
tendono a differenziarsi nel senso che le relazioni fra ragazze sono più intense mentre quelle dei
ragazzi sono più estese.
Grazie ad alcune indagini svolte da Barbera è stato possibile verificare che la pressione dei pari
ostacola le attività scolastiche più per i maschi che per le femmine. Gli studenti più conformisti
dedicano un tempo inferiore allo studio e ciò comporta la non riuscita in matematica ma non sembra
che il successo in italiano sia influenzato allo stesso modo da questo atteggiamento.
In conclusioni, sostiene Barbera, che il conformismo al gruppo dei pari risulta sempre negativo
nella riuscita scolastica più nei maschi che nelle femmine.
Paragrafo 3: rapporto scuola e mezzi di comunicazione di massa
Di fronte al fenomeno dei mezzi di comunicazione di massa, spesso si adottano Atteggiamenti
Manichei e secondo Umberto Eco si può parlare di Apocalittici e Integrati .
Gli Apocalittici giudicano in negativo le comunicazioni di massa, la televisione favorisce un
insieme di mali fisici e psichici.
Mentre gli Integrati giudicano in positivo i mass media, la televisione rappresenta la cultura del
benessere, della libertà e delle scelte molteplici.
Per Eco entrambe le posizioni sono sbagliate, perché il problema sta nel come sono usati questi
mezzi. Per utilizzarli al meglio sono necessari degli strumenti che aiutino a capire come
usarli e la scuola dovrebbe intervenire per insegnare come approcciarsi a tali mezzi preparando i
giovani ad interpretare le informazioni in modo critico ed educandoli all’immagine.
La differenza fondamentale fra vecchi e nuovi mezzi di comunicazione di massa è che prima da un
mittente usciva un informazione unidirezionale (per tutti), ora, invece, c’è interattività e le
informazioni sono troppe
Negli ultimi 15-20 anni si è parlato di un modello comunicativo di socializzazione.
Secondo Morcellini (sociologo della comunicazione) che ha scritto “Ritorno al futuro” il soggetto
è libero di scegliere fra una molteplicità di elementi quelli più utili per la propria formazione,
sostiene inoltre che nella società postmoderna le agenzie di socializzazione erano la famiglia e la
scuola, quindi il processo di socializzazione non era libero ed autonomo, ma imposto dagli adulti.
Oggi queste due agenzie (famiglia e scuola) sono meno importanti perchè il gruppo dei pari e i
mezzi di comunicazione hanno acquisito notevole importanza rendendo la socializzazione più
libera.
Ma è impossibile pensare che avvenga una socializzazione libera ed autonoma senza la mediazione
degli adulti, e a questo proposito Stefano Martelli parla di socializzazione leggera cioè debole, a
bassa definizione. 14
CAPITOLO QUARTO: la scuola nella società multietnica .
Paragrafo 1:società multietnica e modalità di convivenza democratica
Tutte le società occidentali democratiche liberali sono ormai diventate multietniche e per realizzare
una convivenza accettabile si deve tener conto delle domande identitarie (domande realitive alla
manifestazione pubblica della propria differenza religiosa, culturale ed etica). Queste richieste
sembrano porsi in contrasto con i due principi base della democrazia: l’universalismo e
l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Tutte le possibili risposte identitarie possono essere raggruppate in 4 posizioni:
Autodifesa intransigente dei valori democratico-liberali della Rivoluzione Francese che esalta
le differenze culturali. In questa prospettiva le diverse culture vengono tollerate come libera
espressione individuale ma soltanto nell’ambito della sfera privata, mentre quelle di natura
pubblica vengono rifiutate.
Es: il velo, in Francia lo si può portare ma non a scuola.
é definita prospettiva interculturale ed è rappresentata dalla necessità di rispondere alle
domande identitarie per realizzare il giusto inserimento di tutti. In base ai principi della
Rivoluzione francese (libertà uguaglianza e fraternità) tutte le persone, a prescindere dalle
colo culture e religioni, sono cittadini con diritti. Partendo da questo fondamento si può
distinguere ciò che di una data cultura è tollerabile, condivisibile e rispettabile e ciò che non
lo è.
Una società per funzionare deve avere un minimo di regole comune di convivenza e leggi
secondo cui vengono stabilite quali domande possono essere accolte e quale rifiutate. Ci
sono anche domande per la quale è richiesto l’intervento dello stato, come le domande
amministrative, es la mensa.
Multiculturalismo pluralista, questo termine è nato da circa 40anniper indicare l’esistenza di
più culture che non interagiscono tra di loro, al contrario dell’interculturalismo dove tutte le
culture essendo imperfette hanno un rapporto dialettico.
Questa posizione, è una trasformazione del pensiero democratico liberale, da molta
importanza alle diverse culture e considera i diritti collettivi oltre a quelli individuali, anche
se i primi devono essere subordinati a quelli individuali.
(lo statuto dell’ONU parla di uin solo diritto collettivo: autodeterminazione dei popoli).
Multiculturalismo radicale, è l’aspetto deteriore del differenzialismo e afferma che i valori
della democrazia liberale sono delle mistificazioni ideologiche e mezzi di oppressione
culturale. In questa prospettiva si possono distinguere due sottotipi:
Radicale essenzialista: afferma la primizia dei diritti collettivi negando quelli
individuali, in quest’ottica le differenze fra le diverse culture sono assolute e quindi
incomunicabili tra loro.
Radicale comunitario: accetta i diritti individuali subordinandoli su quelli collettivi.
Secondo queste due ottiche la cultura è come un tutto chiuso, che non può avere nessun
tipo di contatto con le altre onde evitare contaminazioni a vicenda, si parla quindi di
relativismo assoluto.
Paragrafo 2: Critiche alle forme radicali di relativismo.
Entrambe le forme di multiculturalismo radicale si fondano sul relativismo culturale radicale.
Quest’ultimo afferma l’impossibilità di comparare fra loro elementi culturali diversi in quanto
avrebbe significato solo all’interno del proprio ambito. In effetti le diverse culture possono essere
considerate uguali solo sulla base di un modello universalista, perciò sarebbe contraddittorio
postulare uguaglianza di valori fra le culture perché nessuna di esse nel suo complesso è perfetta,
intoccabile e superiore alle altre.
Questa forma di relativismo può portare ad un nuovo tipo di razzismo differenzialista e culturale
che sostituisce quello ottocentesco. 15
Secondo Taguieff il relativismo culturale radicale può portare alla formazione di un nuovo tipo di
razzismo oltre a quello tradizionale (biologico, esoterico).
Il razzismo tradizionale visse dal colonialismo ottocentesco al nazismo e si basava sulla differenza
biologica come il colore della pelle.
Mentre il nuovo razzismo, definito differenzialista-culturale si basa sulle differenze culturali. È il
tipo di razzismo oggi prevalente secondo il quale le culture devono rimanere separate per evitare
contaminazioni a vicenda. Non è un razzismo universalista e non giudice una cultura superiore ad
altre, ma è un tipo di razzismo differenzialista.
Secondo Kould, che elaborò il concetto di paradigma ne la struttura della rivoluzione scientifica, la
scienza è profondamente idealistica, antirealistica e relativistica, e non serve a scoprire verità sulla
realtà che ci circonda, ma è solo un accordo fra gli scienziati in un certo momento storico (ossia ciò
che pensano in quel momento gli scienziati). La scienza è il principio di tutti i mali.
Il relativismo culturale era presente già nella filosofia scettica greca;
la critica: un vero relativismo è una contraddizione perché postulare l’eguaglianza di valore fra le
diverse culture è una contraddizione e quindi assurda.
Paragrafo 3:ragazzi stranieri nelle scuole
L’ingresso degli studenti stranieri nella scuola può avvenire in tre modi: assimilazione, separazione
e interculturalismo.
1. l’obiettivo dell’assimilazione prodotto dall’universalismo intransigente consente nel far si
che gli stranieri (le minoranze immigrate) vengano assorbiti il più velocemente possibile
dalla cultura della società ricevente, gli stranieri devono quindi rinunciare alla propria alla
propria cultura per assorbire quella degli autoctoni (risocializzazione).
La strategia messa in atto è quella di superare gli svantaggi presenti nella cultura della
maggioranza attraverso un’educazione compensativa la quale contribuisce alla riduzione
dell’insuccesso scolastico.
2. separazione, è il prodotto del relativismo radicale che porta alla necessità di mantenere
distante le diverse culture onde evitare contaminazioni. È il modello scolastico da alcuni
definito multiculturale che impone l’autochiusura in ghetti con lo scopo di preservare
l’identità originaria. (visione monoculturale).
3. interculturalismo, a differenza delle prime due, l’interculturalismo tramite l’interazione fra
culture porta ad un’accettazione attiva o passiva delle diversità. (Ciascun individuo
dev’essere considerato e preso per quello che è, non per il gruppo di appartenenza).
4. questa prospettiva si propone di creare una scuola capace di garantire interazione fra le
culture diverse evitando la formazione di classi-ghetto, bisogna quindi evitare che in classe
ci sia più del 25- 30% di stranieri per poter facilitare l’integrazione.
Alcune ricerche dimostrano che:
i bambini stranieri, adeguatamente aiutati nelle elementari, imparano l’italiano perfettamente;
che fare classi di ghetto è l’opposto di quello che serve per creare una scuola efficace;
e che la classe eterogenea risulta essere la più efficace. Secondo la metodologia si applica la
Cooperative learning (formazione cooperativa) dividendo il lavoro in gruppi eterogenei (6, 7, 8
persone massimo) e la valutazione finale sarà risultato sia del gruppo che individuale, inoltre tutti
migliorano sia bravi che meno bravi. 16
Paragrafo 4:la problematica dell’interculturalità del nostro paese
Tra il 2006 e il 2007 gli alunni stranieri hanno superato il mezzo milione. Secondo alcune indagini
la grande maggioranza degli stranieri è concentrata al centro nord, dove in alcune scuole la loro
nelle classi, supera quella degli autoctoni.
Questa situazione inizia a diventare un problema perché l’interazione diventa efficace qualora il
numero degli alloctoni non supera un quarto o un terzo degli autoctoni nelle classi. Sarebbe perciò
opportuno un intervento concordato con gli enti locali al fine di evitare ghettizzazione nelle scuole.
In Italia verso la metà degli anni 70’ sono state abolite le classi differenziali, che servivano per
aiutare ragazzi con particolari problemi di apprendimento, e le scuole speciali per gli handicappati
gravi. Questo gesto è stato il 1° tentativo nel mondo di inserire nella scuola persone portatrici di
handicap di qualunque tipo e genere.
Al centro- nord gli enti svolsero un’opera di affiancamento per l’inserimento degli studenti stranieri,
(i mediatori interculturali che aiutano gli insegnanti a comunicare con bambini e rispettive
famiglie). Mentre al sud, dove gli enti locali non esistevano, e se esistevano erano mafiosi o non
efficiente, luogo di passaggio o di immigrazione stagionale (raccolta di pomodori) il numero degli
studenti stranieri è molto basso rispetto al centro- nord.
Oggi la scuola ha il compito di insegnare agli studenti stranieri, a prescindere dalle diverse culture,
valori ed etnie, a vivere insieme. Per realizzare questo obiettivo, cioè creare una scuola
interculturale, la scuola dovrebbe preoccuparsi di trasmettere la conoscenza di elementi culturale
proveniente dalle differenti etnie. L’interscambio fra culture costituisce la sola possibilità di
realizzare una coesistenza feconda fra i gruppi umani, è inoltre importante che gli allievi sviluppano
una mentalità razionale rifiutando il relativismo radicale e ammettendo che la razionalità è il
patrimonio di tutti i gruppi umani. 17
CAPITOLO QUINTO: Le differenze a scuola.
In questo capitolo si parla delle differenze presenti nelle scuole, principalmente sono di 3 tipi:
1. di classe sociale, che sono generalizzate;
2. etniche e culturali, di tipo variabile a seconda dei momenti e dei paesi che si considerano;
3. di genere, che ha subito un ribaltamento: oggi c’è una netta prevalenza femminile, mentre
una volta era maschile.
Paragrafo 1: Le differenze di classi sociali
La differenza di classe sociale può essere vista sia da un punto di vista interno che esterno.
1) Spiegazioni esterne alla scuola:
La teoria della deprivazione culturale è un approccio che serve a spiegare la riuscita
scolastica in relazione all’ambiente socio-culturale di nascita dell’allievo. Questa teoria
avanza l’idea di inferiorità socio-culturali della classe operaia rispetto alle classi medie, tende
inoltre a deresponsabilizzare gli insegnanti, in quanto tutte le cause dello scarso rendimento
sono attribuite all’esterno della scuola, e quindi alla famiglia d’origine.
Secondo la deprivazione culturale le persone che abitano in montagna hanno più difficoltà di
quelli che abitano in pianura, questa è la cosiddetta deprivazione locale.
Si è iniziato a parlare di deprivazione culturale intorno agli anni 60 negli USA, dove si pose il
problema dell’inserimento dei neri nelle scuole dei bianchi (il movimento per i diritti dei neri
si è sviluppato negli anni 50/60’ sotto la presidenza di Kennedy).
Una ricerca su 600.000 studenti dimostrò che le classi omogenee rendevano di più che se
inseriti in classe di soli neri. Furono stabiliti dei progetti di educazione compensativa volti a
fare in modo di eliminare o ridurre la deprivazione culturale iniziale.
Negli ultimi 3 decenni, prima in Gran Bretagna e poi in Francia nacquero le zone di
educazione prioritaria (Z.E.P) basate sul principio della discriminazione positiva, cioè aveva
lo scopo di favorire economicamente chi aveva meno, e di migliorarne la riuscita scolastica.
Inizialmente il progetto nacque per soddisfare questi problemi, poi si trasformò in un mero
inserimento sociale, diventando alla fine dei ghetti per stranieri.
Verso la fine degli anni 20 (1927) due sociologi, Elton Mayo e Fritz J. Roethlisberger, durante
una ricerca sulle relazioni tra ambiente di lavoro e produttività dei lavoratori
, iniziarono a
parlare di Effetto Hawthorn: cioè il fatto di essere osservati, incentiva i lavoratori a lavorare
meglio e di più.
Bisogna ricordare che questo accadeva più di 30/40 anni fa, quando i metodi cognitivi ancora
non esistevano e i metodi utilizzati erano perciò molto rozzi.
Oggi, con la presenza di nuovi metodi, gli psicologi si sono accorti che gli studenti imparano
in modo troppo meccanico, senza sapere il perché. Si sono quindi sviluppate delle
metodologie, per aiutare gli individui a imparare e ad apprendere.
Vengono evidenziate due metodologie di tipo metacognitivo (la metacognizione: la capacità di
analizzare e comprendere il proprio apprendimento e saperlo regolare per migliorare):
Haywood (psicologo americano): è un metodo pensato per i bambini di 5 e 6
anni, si basa sul lavoro in laboratorio di piccoli gruppi.
Questa metodologia insegna ai bambini a ragionare sul come e perché
apprendono.
Se questa metodologia fosse generalizzata, ridurrebbe notevolmente le
differenze che esistono prima dell’inizio della scuola, cioè la deprivazione
culturale.
Feuerstein (psicopedagogista): propone un metodo di arricchimento
strumentale, rivolto soprattutto a chi ha problemi di handicap.
I metodi metacognitivi hanno potenzialità superiore rispetto alle metodologie di 30/40
anni fa, usate come affiancamento alla riuscita scolastica.
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La teoria della differenza culturale: fu elaborata da Bernstein il quale sosteneva che il fattori più
importanti per la riuscita scolastica è la capacità linguistica, che è connessa all’ambiente sociale di
provenienza.
In base ad alcune ricerche (anni 50’) l’autore afferma che ogni classe sociale utilizza un linguaggio
diverso per comunicare.
Berstein fa la distinzione tra:
Linguaggio pubblico o comune: tipico della classe operaia, è un linguaggio
con forme grammaticali e sintattiche molto semplici, adatte alla
comunicazione in un piccolo gruppo di persone.
È tipico in una solidarietà meccanica, una solidarietà per similitudine.
Linguaggio formale: prevalente nelle classi medio alte, è il linguaggio più
difficile in quanto ha costruzioni grammaticali complesse.
È più vicino ad una solidarietà organica, una solidarietà per complementarietà
(oggi prevalente).
Berstein, in base alle loro caratteristiche sociolinguistiche, definisce il primo linguaggio come
codice ristretto e il secondo codice elaborato.
L’autore rifiuta l’approccio della deprivazione culturale, affermando che la forma di
comunicazione rappresentata dal codice ristretto è differente da quello elaborato, non perché la
prima sia inferiore alla seconda ma per il semplice motivo che il linguaggio pubblico è inadatto in
determinate circostanza.
Secondo Berstein oggi prevale una solidarietà organica perché l’apprendimento non è più basato
sull’imitazione ma sull’astrazione (saper leggere e scrivere), per la quale il linguaggio pubblico non
è adatto. Per Berstein. Sostiene, infatti, che ci sono delle differenze che vengono fuori nel momento
in cui si va a scuola, dove è necessario un linguaggio formale.
Per Bernstein bisogna vedere che esistono delle differenze culturali, ma bisogna evitare di cadere
nel relativismo culturale come fece Boudier affermando che la scuola inculcava a tutti l’ ideologia
dominante. Egli non cade quindi nel relativismo culturale affermando che a scuola non vige cultura
dominante ma quella più adatta.
2) Spiegazioni interne alla scuola:
i. effetto insegnante: la scuola stessa produce insuccesso scolastico per colpa degli docenti,
cioè grazie all’effetto Pigmalione: questo termine deriva da 2 ricercatori, Rosenthal e
Jacobson i quali avevano ipotizzato che il comportamento degli insegnanti provocasse una
vera e propria profezia che si auto-adempie. Svolsero un’indagine su una scuola elementare
di San Francisco, frequentata prevalentemente da allievi provenienti dalle classi sociali
inferiori, si comunicò agli insegnanti che si sperimentava la validità di un nuovo strumento,
costruito per verificare il rendimento scolastico ed i progressi intellettuali dei bambini.
Furono somministrati due test (abilità verbale e capacità di ragionamento), il 20% dei
bambini scelti a caso vennero segnalati agli insegnanti come particolarmente brillanti.
Gli stessi test furono ripetuti l’anno successivo e a più riprese: i bambini avevano realmente
migliorato le loro capacità intellettive, rispondendo alle aspettative implicite degli
insegnanti; invece, gli allievi non segnalati, quanto più avevano progredito, tanto meno
venivano valutati dai loro insegnanti, essi venivano infatti valutati negativamente in quanto
i loro progressi non erano in sintonia con le aspettative dei docenti.
L’effetto pigmalione si realizza di più se accettato dagli allievi, in genere funziona più sui
maschi che sulle femmine, le quali hanno maggiori motivazioni.
Esistono due modelli di insegnanti, con riferimento alla scuola secondaria superiore:
Modello del magister: è il tipo di insegnate tradizionale che non si preoccupa degli
allievi, ma del raggiungimento di alti livelli scolastici, e ha come scopo la
trasmissione del sapere.
Nella scuola secondaria superiore attuale, una scuola di massa e generalizzata, è
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irrealizzabile perché gli insegnanti si attendono poco o niente dagli allievi;
Questo tipo di insegnante è deleterio in via di estinzione.
Modello del pedagogo: l’insegnate ha come punto di riferimento ogni singolo allievo e
la sua possibilità di apprendimento, in questo caso c’è profezia che si auto-avvera di
tipo positivo, infatti produce effetti migliori.
Appena il 17% su 3000 insegnanti intervistati dichiara che il proprio punto di riferimento di
insegnamento è la trasmissione del sapere, quindi meno di 1/5 degli insegnanti persegue il
modello magister.
ii. effetto scuola: negli anni 60 alcune ricerche americane hanno dimostrato che nella
riuscita scolastica, non vi è differenza significativa tra le diverse scuole, ma dipende
soprattutto dall’estrazione socio-culturale (e dall’effetto pigmalione).
In questo stesso periodo Coleman con una ricerca (politica del bussing = politica
dell’autobus, cioè portare i neri nelle scuole dei bianchi) spiega come la scuola, non
sempre, può fare la differenza.
Nessuna scuola può essere ottima per sempre, conta soprattutto il corpo docente che in
quella scuola è presente, per questo la scuola acquista prestigio sociale.
Uno dei modi migliori per far funzionare la scuola è avere l’aspettative positive sui
propri studenti.
Paragrafo 2: differenze etniche e culturali.
Etnia come criterio di divisione variabile:
Le differenze etniche e culturali, come dice Brint, hanno effetti diversi a secondo del gruppo alla
quale ci si riferisce e a secondo del tempo. Bisogna tener presente la curva di Gauss secondo cui,
capacità e le intelligenze sono distribuite in modo equo, e quindi non ci sono differenze razziali.
Questo è dovuto al fatto che la migliore o peggiore riuscita scolastica non deriva da un fatto di
intelligenza ma da alcuni fattori come la provenienza d’origine.
Alcune indagini fatte in Gran Bretagna evidenziano che i risultati scolastici alla fine delle
elementari, e quindi all’inizio delle medie, sono buoni per quasi il 42% dei bianchi, il 20% dei neri,
il 22% dei pakistani, mentre gli originari dell’india col 45% e sopratutto l’Asia con il 50% che
supera gli autoctoni.
Da questi dati emerge che non conta, ovviamente, l’intelligenza distribuita normalmente nelle varie
etnie, ma il diverso atteggiamento (delle diverse culture) nei confronti dell’istruzione. Questo fa si
che le popolazioni immigrate riescano più degli altri ad ottenere una riuscita scolastica, frutto di
fattori motivazionali.
La cosa ancora più importante e che gli autoctoni non riescono sempre più degli altri.
Quindi come dice Brint, l’Etnia è un criterio di divisione variabile della società, poiché alcuni
immigrati vengono più rapidamente integrati ed hanno una mobilità sociale superiore rispetto ad
altri. In particolare quei gruppi in ascesa, sono quelli provenienti da situazioni di tipo urbano,
mentre presentano maggiori difficoltà quelli provenienti da ambiente agricolo.
Gli asiatici, nelle esperienza statunitense, presentano modelli che facilitano il successo, ad es.: i figli
studiano intorno al tavolo di cucina, i più grandi danno aiutano ai più piccoli; si tratta di un modello
di apprendimento fortemente cooperativo, in cui i giovani, fino all’istruzione superiore, spesso
danno origine a gruppi di studio, conseguendo ottimi risultati.
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Studenti immigrati e riuscita scolastica:
confrontando la riuscita scolastica degli stranieri e degli autoctoni, si è arrivati a dire che non solo
gli stranieri appartengono a etnie e culture diversificate, ma non presentano tutti la stessa
condizione sociale, bisogna quindi evitare di considerare gli studenti stranieri, e sopratutto ciascuna
etnia in modo differenziato.
Brint rammenta che se la cultura di provenienza è una cultura cittadina, la riuscita scolastica sarà
superiore e favorevole ad una cultura contadina. Questo è dovuto al fatto che i contadini non hanno
mai avuto una grossa propensione alla cultura e quindi si presenta con un atteggiamento meno
valutativo nei confronti dell’istruzione, di conseguenza i figli, non avendo una cultura che li inciti
allo studio, sarà più faticoso per loro ottenere una riuscita scolastica.
Da questo discorso si può notare che chi ha un estrazione socio-culturale bassa, tende a
sottovalutare l’importanza dell’istruzione (soprattutto i maschi); è un fatto che si protrae dal passato
perché i figli delle classi subalterne erano convinti che per fare gli operai non necessitavano di un
istruzione.
In questo contesto si può dire che gli immigrati, soprattutto quelli di colore hanno una maggiore
riuscita scolastica rispetto agli autoctoni.
Alcune ricerche italiane, effettuate su 500 studenti stranieri di 3°media, e quindi una volta superato
il problema linguistico, l’analisi delle valutazioni degli insegnati fa emergere un risultato, e cioè che
a parità di bassa condizione sociale, la percentuale degli studenti italiani si presenta con valutazioni
scadenti di soli 30% contro il solo 23% degli allievi immigrati. Quindi il doppio degli studenti
stranieri considera molto positivamente gli insegnanti.
Un altro elemento da sottolineare e che i ragazzi stranieri, soprattutto se di genere femminile,
dichiarano di trovarsi molto bene con i propri insegnanti, quindi, sembra piuttosto evidente che gli
insegnanti delle scuole medie italiane sembrano essere accoglienti nei confronti degli immigrati.
Inoltre i docenti sono prevalentemente donne e le ragazze possono meglio identificarsi in quello che
per le adolescenti possono diventare modelli.
Quello che emerge dalle varie ricerche è che c’è una forte discrepanza fra ricerche quantitative e
ricerche qualitative.
Le ricerche quantitative ci dicono che a parità di condizioni di estrazione socio-culturale basso, gli
immigrati riescono più degli autoctoni, il che vuol dire che non sono presenti forme di
discriminazioni. Mentre le ricerche qualitative presentano forme di discriminazioni.
Secondo Moore chi ha in testa una certa prospettiva (femminista, multiculturalista e antirazzista)
tende a negare certi aspetti. Questo autore sostiene inoltre che l’insegnate si pone in un certo modo,
più o meno progressista, sottovalutando gli aspetti deboli della scuola.
Quello che è interessante e che spesso le ricerche sociali presentano il rischio di non rendere visibile
quello che c’è, oppure vedere quello che non c’è, o sottovalutare quello che è presente.
L’insieme di queste ricerche, effettuate nei diversi paesi, sembra dimostrare che è sbagliato
sopravvalutare le differenze etniche e culturali nella spiegazione dell’insuccesso scolastico, quando
invece l’appartenenza sociale e il livello di istruzione dei genitori risultano ancora fortemente
esplicativi.
Classe sociale, etnia e genere si intersecano, in modo complesso, in rapporto alla riuscita scolastica,
ma pare evidente che la differenza che mantiene il peso maggiore è la prima.
21
3°paragrafo: (Le differenze di genere) La migliore riuscita scolastica o sorpasso femminile:
Nei paesi dell’OCSE (organizzazione per la cooperazine e lo sviluppo economico; insieme di 28
paesi europei sviluppati) i giovani che terminano la scuola secondaria superiore e ottengono il
diploma sono di gran lunge di genere femminile, mentre per quanto riguarda la formazione
universitaria le donne superano di circa il 10% gli uomini.
In Italia si tende a vedere un affollamento dei maschi soprattutto nelle facoltà matematiche,
d’ingegneria e tecniche, ma la media risulta maggiore per le donne.
Mentre per le facoltà di lettere, meno popolata dai maschi, risulta che quest’ultimi riportano
migliori risultati a causa di una forte motivazione.
Nei paesi sviluppati il genere femminile studia più a lungo e ottiene risultati migliori.
Questo è un dato di fatto dimostrato non soltanto dalle valutazioni scolastiche ma anche dalla
ricerca PISA secondo cui:
i. l’apprendimento della lingua madre da parte delle femmine è nettamente
superiore a quello maschile
ii. in matematica risulta invece una migliore riuscita maschile, però in molti
casi la differenza è lieve, sono pochi i paesi in cui la differenza è
significativa
iii. per la cultura scientifica, risulta una situazione di sostanziale parità
da questi dati emerge una supremazia femminile, ma l’OCSE si preoccupa per le minori prestazioni
delle ragazze in matematica e non per quelle, molto più scadenti, dei ragazzi nella comprensione
dello scritto, in italiano.
(È chiaro che le differenze scolastiche dipendono anche dagli atteggiamenti degli insegnanti che per
¾ sono donne, quindi si potrebbe pensare che le ragazze siano favorite).
Nonostante i migliori risultati, le donne hanno uno svantaggio reale nel mercato del lavoro privato.
In realtà la migliore riuscita delle donne era già evidente ¼ di secolo fa, ma si faceva fatica a
vederla.
A tale proposito ESTEVE parla di Rivoluzione Silenziosa (cioè la 3° rivoluzione educativa), che
si verifica pian, piano, ed è molto più duratura ed efficace di quella non silenziosa, in quanto avanza
nella mentalità delle popolazioni senza che si spossa stabilire un preciso momento d’inizio,
modificando valori e comportamenti in modo irreversibile.
Marcelo Dei nella seconda metà degli anno 80 osservò che nella scuola secondaria superiore, le
ragazza riuscivano meglio ed erano molto più presente nei licei, ma allo stesso tempo sosteneva che
le scuole di serie A erano gli istituti tecnici professionali e non i licei considerati di serie B.
In Francia, il dibattito sulle cause della miglior riuscita scolastica femminile ha portato a tre
prospettive: 1) Secondo Baudelot e Establet: le ragazze a parità di competenza rispetto ai
maschi, aderiscono a stereotipi sessuali prodotti dalla socializzazione
familiare, secondo i quali devono essere obbedienti, e proprio l’essere così
obbedienti le porta a studiare e a conquistare sempre più una riuscita
scolastica migliore dei maschi.
Una critica a questi due autori viene da una ricerca realizzata in Québec che
ha dimostrato il seguente fatto: se le ragazze aderiscono agli stereotipi
sessuali, hanno una riuscita scolastica scadente (e viceversa).
2) Secondo Durut-Bellat: le scelte femminili sono ragionate e ragionevoli,
nel senso che le femmine sono le più adatte ad impegnarsi a scuola e ad
avere un lavoro che gli permetta di gestire anche del tempo libero (per casa,
figli, famiglia), è una scelta razionata e ragionevole.
22
3) Secondo Marry: le possibilità di scelta femminili sono più libere.
Marry in una ricerca studiò quello che in Italia è il politecnico (in Francia il
Chule Politecniche), e analizzò che le donne, intenzionate a scegliere
questa facoltà, mostravano una vocazione per l’ingegneria e una passione
nel progettare qualcosa, mentre i maschi sceglievano questa facoltà solo per
fare carriera.
Merry così dimostra che i maschi subiscono di più lo stereotipo maschile.
Secondo altre ricerche, invece, la migliore riuscita delle donne è dovuta al fatto che i maschi non
hanno più un rendimento brillante come prima; altri ancora sostengono che la scarsa riuscita
maschile è dovuta all’influenza negativa del gruppo dei pari.
Paragrafo 4° Differenze rispetto alla scuola in Italia: evoluzione e limite della socializzazione.
Negli ultimi tre decenni in Italia si è diffuso il termine Dispersione scolastica (coniato dall’Unesco
nel 1972) per indicare il fenomeno delle ripetenze e degli abbandoni scolastici.
Circa quarant’anni fa questo fenomeno era definito Selezione scolastica perchè faceva riferimento
alla selezione di classe sociale in relazione all’abbandono e alla riuscita scolastica (le classi
subalterne riuscivano meglio), invece, parlare di dispersione scolastica assume un aspetto socio-
politico più neutrale e meno politicizzato.
Negli ultimi decenni la dispersione scolastica nelle scuole secondarie superiori si è molto ridotta,
anche se continuano ad esserci delle differenze tra sud, isole e centro nord. Soprattutto le zone a
rischio mafia (Sicilia, Calabria, Campania, Puglia), dove c’è più dispersione scolastica, i maschi
sono maggiormente favoriti nei circoli mafiosi.
Mentre, la situazione per le scuole medie presenta dei problemi, la scuola elementare funziona bene
anche al Sud.
Oggi, circa un terzo degli studenti che ottiene la licenza media con la sufficienza risulta non
possedere competenze e saperi adeguati. Alcune ricerche hanno dimostrato che è presente tra i
ragazzi dai 16 ai 25 anni un livello di alfabetizzazione insufficiente, questo è dovuto in parte alla
cosiddetta Selezione Occulta (selezione nascosta) cioè il tentativo di nascondere, da parte degli
insegnanti, le reali carenze degli allievi.
Negli ultimi decenni il governo di centro sinistra aveva proposto un riforma scolastica portata avanti
dal ministro De Mauro che prevedeva una scuola di 7 anni sul modello Scandinavo (in realtà è
formato da 9 anni), fu un tentativo di eliminare la frattura tra scuola elementare e scuola media. La
riforma fu bloccata sia perché salì al potere il centro destra, che aveva votato contro, sia perché i
principali oppositori erano proprio gli insegnanti di scuola media, che non volevano mischiarsi con i
non laureati. 23
5° paragrafo: Le disuguaglianze sociali di fronte alla scuola nei paesi sviluppati
Le disuguaglianze sociali nella riuscita scolastica sono molto simili nei paesi sviluppati.
Fino alla metà degli anni 90 molti sociologi hanno affermato che vi era stabilità nella
disuguaglianza sociale della scuola, perché influenzate dalle differenze di genere (le femmine
riescono meglio), ma in realtà non erano state prese in considerazione le modifiche apportate al
sistema educativo in seguito alla terza rivoluzione educativa e alla generalizzazione della scuola
secondaria (apertura della scuola a tutti).
Nella scuola secondaria ci sono molte differenze, che cambiano da paese a paese, e i diversi sistemi
educativi permettono che si possa distinguere tra canali professionali e canali di formazione
generale.
A questo proposito esistono, nei paesi sviluppati 4 modelli:
1. nel primo modello è prevista un’istruzione generale e la formazione professionale è a cura
dai datori di lavoro (USA e Giappone)
2. nel secondo, dopo un certo livello di istruzione si scegli tra istruzione di tipo generale o
professionale. È la soluzione più diffusa (Belgio, Finlandia, Francia, Italia, Paesi Bassi,
Norvegia, Portogallo, Spagna e Svezia).
3. nel terzo modello, dopo al scuola primaria c’è una suddivisione in 3 canali, il più numeroso
dei quali porta ad un apprendistato professionale di lungo periodo (Austria, Danimarca,
Germania e Svizzera)
4. nel quarto vi è una mescolanza dei vari modelli (Irlanda e Gran Bretagna).
Negli USA è prevista l’high school che è obbligatoria e non professionalizzante, poi c’è il College,
altrettante non professionalizzante.
Per essere formati in modo professionale bisogna fare un Master o la school per le professioni più
importanti, entrambe da fare solo dopo il college.
La Germania col suo modello è quella che più suddivide in canali ed offre una formazione più
professionale. 24
CAPITOLO SESTO: Gli insegnanti
Paragrafo 1°: Elementi di comparazione internazionali:
Una delle questioni più importanti dell’attività docente, definito come lavoro sull’umano da Tardiff
e Lessard, è la loro retribuzione considerata come uno dei maggiore motivo di insoddisfazione.
Per capire meglio la retribuzione è necessario tener presente il numero di ore annuali, il numero
degli studenti per classe e il confronto internazionale di retribuzione oraria.
Nella media dei paesi OCSE l’Italia presenta un numero inferiore di ore di docenza, soprattutto per
la secondaria superiore che da 655 compie 612 ore e per questoi docenti rimango penalizzati sulla
retribuzione.
Gli stipendi a livello internazionali risultano diversi, poiché in paesi come la Finlandia e la Corea,
gli insegnanti devono gestire classi di 35-40 alunni, situazione del tutto inimmaginabile in Italia e in
altri paesi Europei a causa della mancata disciplina, infatti l’Asia è un paese che ha mantenuto
alcune tradizioni, come il rispetto assoluto dei docenti.
I paragoni di retribuzione internazionale vengono fatti per PpA (per potere d’acquisto), cioè lo
stipendio viene comparato con il costo della vita del proprio paese, e il calcolo dello stipendio viene
fatto in base alle ore di didattica frontale svolte in un anno dall’insegnante.
Risulta evidente che lo stipendio annuo di un docente italiano comparato con quello di un
americano risulta molto più basso perché in America i docenti fanno più ore (quasi il doppio) ma a
parità di ore risulta che un italiano guadagna più di un americano.
In Italia sono molti gli insegnanti precari, e la loro situazione conviene allo Stato in quanto non ci
sono scatti di anzianità biennale, cioè aumenti di stipendio ogni due anni, e non vengono retribuiti
neanche i due mesi estivi. Questi precari solo dopo anni di servizio diventano ordinari.
Paragrafo 2°:Il lavoro docente.
L’insegnante secondo Tardif e Lessard è un lavoro sull’umano in quanto l’oggetto di analisi non
è materiale ma è appunto l’interazione con un’altro essere umano, e in questa il docente deve
trasmettere saperi e conoscenze, e fornire la capacità di saper apprendere e mettere in pratica le
nozioni imparate. (ricerca fatta in Quebec).
Nell’ottica Funzionalista si è cominciato ad interessarsi della nozione di insegnamento da circa
70anni, i quali analizzarono il modello della professionalizzazione, ossia delle professioni liberali
(come medico e avvocato) che sono professioni autonome con un loro ordine professionale e un
codice deontologico.
A differenza delle professioni liberali mentre gli insegnanti non sono mai stati liberi professionisti
in quanto finanziati dallo Stato, e quindi sono lavoratori dipendenti.
In quest’ottica i funzionalisti gia negli anni 30 definirono l’insegnante elementare, l’infermiere e
l’assistente sociale delle semiprofessioni perché non avevano i requisiti delle professioni vere e
proprie.
Nell’ottica Conflittualista, si è iniziato a parlare, come fecero i neomarxisti inglesi, di
proletarizzazione degli insegnanti, processo per il quale i lavoratori diventano meno liberi e meno
autonomi, si è parlato, inoltre, anche di una specializzazione dei compiti.
Dire che il lavoro di un proletario è un lavoro specializzato significa dequalificare professioni come
quelle del chirurgo che è iperspecializzato. Questa impostazione in realtà riporta una concezione
dicotomica di classi (borghesia e proletariato) che Marx adottò solo nel Manifesto politico dei
comunisti, mentre nelle sue analisi scientifiche parlava di una pluralità di classi sociali.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dell'educazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Torino - Unito o del prof Fischer Lorenzo.
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