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La presa del potere è soltanto una tappa del progetto brigatista, che ha come scopo ultimo lo sterminio dei nemici

attraverso il terrore rivoluzionario e l’edificazione di una società perfetta. L’odio per il nemico, l’ossessione per la

purezza, il furore pantoclastico, la concezione fideistica della rivoluzione sono determinanti dell’azione brigatista;

l’ideologia non è un semplice riflesso di sottostante interessi materiali, non è un banale racconto per abbellire la lotta

per il potere, ma il primo dei pensieri e delle azioni dei brigatisti.

Uno dei tratti tipici della mentalità brigatista è la sacralizzazione della politica: i brigatisti hanno il compito di redimere

gli uomini, indicando loro la via che conduce alla salvezza. Il futuro dell’umanità dipende dalla politica, che non è

affatto la politica borghese, volgarmente protesa verso la conquista del potere; è quella delle Brigate Rosse, una

politica nuova che ambisce a ottenere un fine metapolitico: la società perfetta. La condotta umana ha significato

soltanto al servizio della rivoluzione; un uomo lontano dall’ideale marxista non è neanche un uomo. Tutto deve essere

sacrificato sull’altare della politica, compresa la vita, la propria e quella dei nemici; la missione delle Brigate Rosse è

stata il frutto del fanatismo di una nuova religione. La pratica brigatista è stata una vera e propria alternativa secolare

alla religione, e pertanto essa rientra nella vasta fenomenologia dei fenomeni religiosi: per il brigatista la scelta della

lotta armata è un vero e proprio gesto sacrificale. Patrizio Peci afferma che sia il fascismo sia le Brigate Rosse vogliono

imporre con la forza la propria visione del mondo, ma il fascismo sostiene principi e idee impure perché non conformi

alla verità marxista, in nome dell’esaltazione dell’individualismo negli interessi di una ristretta élite privilegiata. Per

uscire dalla condizione schifosa in cui il mondo si trova non può bastare una rivoluzione politica, che si limiti a

modificare l'assetto politico istituzionale del Paese, ma ci vuole molto di più: occorre una rivoluzione antropologica,

che sappia estirpare dagli uomini l'egoismo che il sistema ha radicato nei loro cuori.

Al Congresso di Chiavari del CPM la cerchia dei nemici contro cui scagliarsi viene estesa, con effetti che sarebbero stati

devastanti: non più soltanto coloro che difendono coscientemente il sistema, ma anche chi se ne rende complice senza

saperlo. Questa è la distinzione tipica fatta dal terrore totalitario, tra nemico oggettivo e nemico potenziale: il primo

si oppone in piena coscienza e con comportamenti concreti al progetto rivoluzionario, mentre il secondo, anche se

non ha messo in atto alcun comportamento controrivoluzionario, è perseguitato per il solo fatto di appartenere a un

gruppo sociale considerato ostile. Il codice binario non lascia scampo, perché i criteri che tracciano il confine tra il bene

e il male sono rigorosamente scientifici, mai arbitrari: i nemici sono tutti coloro che non sono amici, che non si

schierano in favore della lotta armata.

Luigi Bonanate vorrebbe spiegare il fenomeno del terrorismo in Italia escludendo variabili di natura ideologica: quando

il sistema politico non è in grado di rispondere alle domande che provengono dalla società civile, si verifica il cosiddetto

blocco di sistema, una situazione politica istituzionale che creerebbe le condizioni favorevoli alla nascita di movimenti

eversivi, avendo questi ultimi la percezione che la violenza politica sia l’unica via praticabile per raggiungere i propri

scopi. Secondo questa teoria, il sistema politico italiano era bloccato per colpa dell’ingerenza degli Stati Uniti, e le

Brigate Rosse sono nate per colpire il PCI, mentre le azioni delle BR sono state tutte o quasi contro la Democrazia

Cristiana. La visione gnostica del brigatista è una caserma mentale che ne orienta il comportamento, in misura

largamente indipendente rispetto alla capacità del sistema politico di autoriformarsi, e questo spiega come mai le

Brigate Rosse si siano ricostituite per ben due volte in contesti politico-istituzionali diversissimi tra loro. Le Brigate

Rosse non lottano per sbloccare il sistema politico, ma al contrario per bloccare e distruggere l’iniziativa assassina e

controrivoluzionaria che lo Stato porta avanti per riassestare sui sacrifici e sui morti della classe operaia il traballante

potere del capitale multinazionale. La tesi del blocco di sistema distoglie l’attenzione dalla caratteristica peculiare delle

Brigate Rosse, ovvero la loro vocazione politico-religiosa.

L’odio e il disprezzo verso tutti i riformisti fu un tratto tipico e ossessivo della mentalità brigatista: non è possibile alcun

compromesso con quelli che difendono la macchina omicida rappresentata dallo Stato. Chi afferma che i grandi

cambiamenti richiedono tempo e che il mondo non può essere trasformato attraverso un atto di volontà, chi cerca di

ampliare l’orizzonte dei problemi, dubitando dell’efficacia delle soluzioni radicali, è uno dei cani da guardia al servizio

degli sfruttatori e pertanto va ridotto al silenzio duramente. L’odio dei brigatisti per i riformisti e addirittura superiore

a quello per i capitalisti, perché tali partiti sono il paravento organizzativo dietro il quale si costruisce la rivincita

controrivoluzionaria dei padroni: la loro complicità consiste nel tenere a freno le spinte rivoluzionarie per un tempo

necessario da permettere alla borghesia di ritornare all’offensiva. Nella gerarchia dell’odio brigatista compaiono anche

i pentiti, che accettando di collaborare con la giustizia vibrano un duro colpo all’organizzazione rivoluzionaria. Tuttavia

ciò che non gli viene perdonato è la ferita di ideologica inferta alla comunità della rivoluzione assoluta: il pentito ripudia

la fede rivoluzionaria, e dal momento che la politica rivoluzionaria è sacra, l’abiura è il più atroce dei crimini.

A questo caso si riconduce il pentimento di Patrizio Peci e l’esecuzione di suo fratello Roberto. Nel clima del declino

delle BR Patrizio Peci viene arrestato e, deluso da anti anni di lotta armata, decide di collaborare, ma chiede in cambio

a Dalla Chiesa una legge che protegga i pentiti; la legge passa, Peci collabora e fa arrestare tipo 90 brigatisti, una botta

da cui le BR non si riprenderanno più. Peci fa i nomi di tanti compagni ma non della sua ragazza, Maria Rosaria Roppoli,

e prega la madre di farglielo sapere cosicché si possa mettere in salvo espatriando. La madre glielo dice e la Roppoli si

consegna e si becca l'ergastolo, per paura che gli altri compagni possano pensare che lei sia una traditrice come Peci;

l'amore per la setta rivoluzionaria è più importante dell'amore per sé stessa e anche di quello del partner. Infatti la

Roppoli riferisce ai compagni del tradimento di Peci, e Giovanni Senzani organizza la vendetta contro il fratello, Roberto

Peci. Roberto aveva fatto parte delle BR nel 1976-77, ma era stato un elemento marginale e ne era uscito dopo un

brevissimo arresto per essere stato trovato in possesso di alcune armi per conto dell’organizzazione. Lo rapiscono dove

abitava, a San Benedetto del Tronto, e lo tengono per svariate settimane finché poi lo ammazzano in una discarica alle

Capannelle, in un’esecuzione filmata con il sottofondo dell’Internazionale. Secondo l’accusa brigatista (teoria del

doppio arresto) Patrizio sarebbe stato imprigionato una prima volta nel dicembre 1979, e in cambio della libertà

avrebbe accettato il ruolo di talpa nella colonna torinese; questo fino al suo arresto definitivo, un finto arresto

organizzato con le forze dell’ordine. Per curare la ferita ideologica rappresentata da chi sceglie di abbandonare la fede

rivoluzionaria, le Brigate Rosse negano l’esistenza dei pentiti: i brigatisti che collaborano con la giustizia sono stati

ingannati e torturati dalla polizia.

Nelle Brigate Rosse la disciplina è rigidissima: la clandestinità è una condizione pesante, che impone che ogni istante

della vita del militante sia sottoposto a una serie di regole rigorose, che coinvolgono ogni aspetto della vita quotidiana.

Il brigatista non è proprietario di alcunché, nemmeno dei propri pensieri, ed è completamente subordinato alle regole

del gruppo; è in assetto di guerra permanente, vive nella tipica dimensione della caserma. Il controllo sociale del sesso

svolge un’importante funzione latente, segnalando la completa subordinazione dell’individuo al gruppo, il quale si

riserva il diritto/dovere di legiferare anche sulla sfera intima del rivoluzionario di professione. In questo modo il

militante diventa completamente privo di spazi di libertà: il brigatista diviene trasparente al gruppo, il quale si

impossessa del suo corpo oltre che della sua mente; in questo modo l’io si fonde nel gruppo, e il noi diventa l’unica

modalità di pensiero e di azione.

Abbracciare l’ideale rivoluzionario significa diventare sordi agli argomenti altrui; nell’universo brigatista la libertà di

parola è un non problema, ma tutti coloro che si allontanano dalla codificazione del marxismo-leninismo meritano di

essere rieducati o sterminati. Le Brigate Rosse impongono ai sequestrati la lettura dei classici del marxismo: durante

la detenzione le vittime devono dimostrare di volersi rieducare, e gli viene chiesto loro di vergognarsi di ciò che sono.

Nelle sette vige il divieto gnostico di fare domande (Eric VoegeIin); l’educazione rivoluzionaria produce il risultato di

indebolire progressivamente le facoltà intellettuali dell’adepto, il quale si riduce a recitare un catechismo. Come ha

osservato il filosofo Vittorio Mathieu, il rivoluzionario non concepisce alcuna forma di dialogo: il suo unico rapporto

con i miscredenti prevede soltanto il tentativo di conversione, l’inganno o il massacro.

Il brigatista è un proletario nel significato inteso da Toynbee: egli è membro di una classe psicologica composta dagli

individui che vivono alla periferia di questo mondo, e che per questo hanno dichiarato guerra ai suoi valori costitutivi.

Il vero tratto distintivo del proletariato non è la povertà né la nascita umile, ma il risentimento per essere stato

diseredato dal suo posto ancestrale nella società. Quando il tessuto sociale è sottoposto a un intenso processo di

disintegrazione, gli individui che sono meno attrezzati ad affrontare la sfida del cambiamento si trasformano in una

massa d’urto colma di rabbia e di frustrazione. È un disagio che ha origine spirituale, e non materiale, e come tale

accomuna ricchi e poveri in un unico progetto pantoclastico. La definizione di Toynbee aiuta a capire come mai nei

brigatisti ci siano uomini di estrazione sociale così diversa tra loro. Il salto nella clandesti

Dettagli
Publisher
A.A. 2015-2016
36 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/11 Sociologia dei fenomeni politici

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ChiaraXIII di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia del terrorismo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Libera Università internazionale degli studi sociali Guido Carli - (LUISS) di Roma o del prof Orsini Alessandro.