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Capitolo Primo: Educarsi all'oblio - Il buco nero della storia
1. La rimozione della storia
Il manifesto nietzschiano dell'antistoricismo "Sull'utilità e il danno della storia per la vita" si apre con l'immagine di un gregge che vive solo nel presente, senza sapere cosa sia successo ieri, e continua con l'immagine dell'uomo: "L'uomo resiste sotto il grande e sempre più grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte, questo appesantisce il suo passo come un invisibile e oscuro fardello. Oggi il peso non c'è più, il fardello è stato abbandonato: ma l'uomo e la donna non vivono certo in un mondo felice. Siamo forse nella prima epoca astorica dell'umanità. E in quest'era si pascola e si saltella avanti e indietro (come un gregge), vivendo solo il presente piacere e dolore, finalmente liberi da ogni eredità e da ogni compito."
L'oblio della storia, con il quale...
L'uomo si è liberato di quello che riteneva un insopportabile peso, ha cancellato tutto: la storia è stata trascinata via da una corrente di pensiero che vuole vivere ogni giorno come se fosse il primo e che gira il capo infastidita quando le si mostrano le radici del presente, speranze o ingiustizie che siano. La cecità nei confronti della storia permette alla preistoria della barbarie di continuare a rinnovarsi; quello che l'uomo astorico del XX secolo non capisce (o capisce fin troppo bene) è che la chiusura della strada alle sue spalle provoca un uguale sbarramento della via verso il domani. Con la storia si uccide anche il futuro, un diverso futuro. L'errore sta nel fatto che la storia non viene indagata come deposito di senso per il presente, ma viene semplicemente presentata come terra mitica e suggestiva isolata in un territorio inaccessibile.
Il secondo esempio che proponiamo è fornito dal dibattito sulla Resistenza antifascista o...
fare memoria”. La storia non è solo un elenco di fatti e date, ma un processo complessoche ci permette di comprendere il presente e di costruire il futuro. La memoria, a suavolta, ci aiuta a dare un senso al passato e a evitare che gli errori si ripetano. Perciò,è fondamentale che la narrazione storica sia accurata e basata su fonti affidabili,per evitare distorsioni e manipolazioni. Solo così possiamo imparare dagli errori del passatoe costruire una società più giusta e pacifica.fare memoria”. La storia di per sé non basta, la memoria deve essere orientata e deve esplicitare i fini e gli scopi ai quali si mira. La domanda chiave è “perché raccontare?”: per dare una lettura umana alla storia. Equi entra in gioco la differenza tra storia e storicità: potremmo dire che il mondo prima dell’uomo e della donna era caratterizzato da una sua storia; dopo l’avvento dell’uomo e della donna entra in una dimensione di storicità, che è storia indagata e studiata, sottratta alla cecità dell’evento e in qualche modo portata alla coscienza di sé. È questa la differenza tra la nozione di storia e quella di storicità, mondana la prima, integralmente umana la seconda. Ed è proprio la seconda a essere oggi marginalizzata, rifiutando di vedere come invece studiare, narrare e criticare la storia porti a cambiare la storia medesima e a cercare di orientarla verso un fine.La domanda alla quale la passione per la storia deve rispondere riguarda il futuro dell'umanità: sarà mai possibile un mondo migliore di questo? Quello che oggi occorre è riconoscere nella storia un territorio di lotta, raccontare un'altra storia, la storia dei vinti, ma soprattutto dare a questa storia un diverso finale, un altro andamento. Contestare il verso della storia, cercare altre soluzioni, altre storie, guardare al passato in maniera critica... la storia vera non è stata ancora scritta, perché non siamo ancora entrati nell'universo libero della storia!
2. Una pedagogia dell'impromptu
L'esperienza culturale che i nostri studenti non fanno è quella di relazionare le idee, le concezioni artistiche, le scoperte scientifiche al loro contesto storico e, circolarmente, di leggere gli avvenimenti storici sullo sfondo della concezione del mondo tipica dell'epoca studiata. Una ulteriore latenza è reperibile
Nell'assenza di un approccio storico alle discipline: ai giovanissimi la matematica e le discipline scientifiche vengono presentate comenate dal nulla, senza un reale riferimento al dibattito politico e culturale che le hanno sostenute e le hanno fatte nascere. Crediamo che non sia difficile scorgere il carattere ideologico di questa scelta: presentare in tal modo le discipline scientifiche rende la scienza inattaccabile da un punto di vista politico e sociale, la rende sostanzialmente neutra. La cosa più grave è che la scienza è strettamente connessa alla dimensione storica, ricevendone le commissioni e offrendole le proprie scoperte. Pensiamo alle nuove tecnologie, negli apologeti dei blog e delle chat si può facilmente notare una curiosa sottovalutazione della questione dell'origine delle tecnologie medesime. Ma la storia che non viene narrata, il vero buco nero nella formazione storica dei sudditi del capitalismo, è ovviamente la storia del capitalismo.
stesso; sono state letrasformazioni interne al capitalismo stesso a portare i suoi apologeti a non intenderlo più come uno dei possibili tipi di produzione, ma come l'unica possibilità, l'unico destino per la specie umana. Si tratta di destoricizzazione. Abbiamo toccato qui uno dei motivi più profondi dell'espulsione della storia dai processi formativi: la ragione storica propone alternative, e non le presenta semplicemente come alternative scartate dallo sviluppo storico, ma come possibilità negate da questo sviluppo storico. Rispetto al tramonto della coscienza storica nei processi formativi, i servizi educativi hanno una profonda responsabilità: è tipico il tentativo di riempire gli utenti di cose da fare, di attività che si susseguono, senza tener conto lo sfondo storico (individuale e sovraindividuale) sul quale le attività si vanno a collocare. La formazione dovrebbe sviluppare nel soggetto la capacità dicogliere il nesso causa-effetto e la dimensione processuale degli eventi. Ad esempio, come si può educare alla legalità senza un'analisi processuale e storica delle leggi, a partire da una lettura storica della Costituzione della Repubblica italiana? Anche la storia dei servizi educativi soggiace al medesimo oblio; non ci si chiede più perché siano nate le nuove tipologie educative, a quale domanda politica rispondono. Questo provoca una depoliticizzazione degli operatori soprattutto per quanto concerne la storia dei diritti dei lavoratori. E anche quando la storia entra a fatica nelle pratiche educative essa è sempre e soltanto storia occidentale e questo viene fatto passare come naturale.
3. Contravveleni: la storia passata a contropelo Il primo contravveleno per l'oblio della storia è una reimpostazione del dibattito sulla memoria e sull'oblio, su cosa deve essere ricordato o dimenticato; affinché questo sia possibile allora
occorre chiedersi perché/per chi fare memoria: ecco il secondo contravveleno, apertura all'altro, ma anche apertura al futuro. Bisogna narrare la storia senza tralasciare le microstorie e quindi il soggetto. Ricostruire una totalità, non fermarsi alla dimensione del frammento, ma comporre il mosaico delle "vite normali" riscattate. Analizzare un oggetto attraverso la lente della storia significa che questa è dentro e fuori di lui, nelle connessioni con gli altri oggetti e in ultimo con la totalità storico-sociale. CAPITOLO SECONDO Educati al narcisismo Il buco nero della politica 1. La denigrazione della politica Siamo entrati in un'epoca della storia che vede a livello sociale il predominio dell'"uomo apolitico": quell'uomo apolitico che era il vero obiettivo del nazismo. Ritratto di una persona per la quale la politica è un concetto astratto, costituisce la radice di tutti i mali; l'affermazione chetroviamo più spesso sulla bocca di queste persone è che "tutti i politici sono uguali", perché "la politica è una cosa sporca". Insomma la politica non viene sentita come qualcosa che possa risolvere i propri conflitti personali, e dunque viene lasciata ad altri. È proprio su quest'uomo apolitico che ha fatto breccia negli anni Trenta la demagogia nazista; perché è proprio quest'uomo apolitico che è pronto a schierarsi e a mobilitarsi a fianco di quei gruppi o partiti che, confermando l'idea che la politica è associata alla violenza, gli facciano però credere di prenderlo sotto la loro protezione, di essere "dalla sua parte".
È facile vedere come ogni volta che la politica viene denigrata in modo sistematico, la democrazia è in pericolo. E infatti poco potrà la democrazia tedesca di fronte alla crisi emotiva della Repubblica di Weimar e alle efficaci
strategie di autorappresentazione dei nazisti. La prima immagine dei nazisti era quella di personaggi vigorosi ed entusiasti, che non comparivano mai in pubblico da soli, dotati di fervente patriottismo e violento militarismo, con una straordinaria capacità organizzativa dimostrata da subito; le ideologie complementari della patria e della famiglia erano quasi secondarie di fronte agli aspetti che potremmo definire di immagine e di autorappresentazione: i nazisti erano belli e forti, decisi e virili, il contrario dell'immagine pregiudiziale del politico; non perdevano tempo in chiacchiere, ma agivano, si mostravano in tutta la loro forza come intenti a modificare realmente la società. Scadimento della politica a cattiva amministrazione dell'esistente; trasformazione del confronto politico in mera successione di attacchi personali: crediamo non sia difficile scorgere in tutto ciò la traccia delle patologie della politica odierna. Il nazista, come l'uomoautoritario nelle democrazie, non ha bisogno dunque di un'idea politica, perché ragiona unicamente sul