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LAVORO, DISTRIBUZIONE DEL REDDITO E VALORE NEL CAPITALISMO COGNITIVO
A partire dalla crisi del fordismo, il capitalismo è entrato in una fase di trasformazione profonda all'origine della quale si trova l'importanza crescente della dimensione cognitiva e immateriale del lavoro.
Vercellone lo definisce "capitalismo cognitivo" come a voler sottolineare che è cambiato solo il modo di produzione ma sono ancora il lavoro dipendente, il profitto e il dominio del capitale sul lavoro a farla da padrona.
Il passaggio dal fordismo al capitalismo cognitivo è cominciato quando il lavoro intellettuale ha smesso di essere l'occupazione di una certa classe sociale e si è diffuso in seno alla società fino ad arrivare all'interno delle organizzazioni dei rapporti fra imprese.
DIFFERENZE:
CAPITALISMO INDUSTRIALE
- Il capitale è rappresentato dalle macchine.
CAPITALISMO COGNITIVO
- Il capitale è il lavoratore con le sue conoscenze.
competenze.Il lavoro è a tempo indeterminato con salari che Il lavoro è precario e a reddito variabile.crescono nel tempo.Vi è una netta separazione fra tempo di lavoro e tempo libero. La separazione fra tempo di lavoro e tempo libero è sempre meno netta. Si assiste alla delocalizzazione e all'etnicizzazione della forza lavoro. Nel tempo libero il lavoratore cognitivo continua ad essere sfruttato, seppure inconsapevolmente, dal momento che egli impiega questo tempo in attività di formazione o in lavoro volontario i cui frutti vengono captati da determinate aziende (ad esempio Facebook e Google che vendono alle aziende pubblicitarie i dati generati dai loro utenti). Vedi il saggio IX in cui Aihwa Ong parla dei body shop e della politica dei visti in America. Vedi il saggio X in cui Anna Curcio parla dell'etnicizzazione del lavoro all'interno del Research Triangle Park (RTP).
SAGGIO II
LA PRODUZIONE DI VALORE A MEZZO DI CONOSCENZA. IL
MANUALE CHE NONC'ÈRullani partendo dal concetto che la conoscenza è un bene abbondante e riproducibile all'infinito a costo zero, ci mostra come quest'ultima, applicata ai processi produttivi, può dare notevoli risultati in termini di sviluppo economico.
Tutto ciò è possibile perché, secondo Rullani, ogni riuso di una conoscenza non costa nulla e genera un valore aggiunto per cui più si allarga il bacino d'uso, più aumenta il valore aggiunto e di conseguenza la produttività.
Questo vantaggio non è esclusivo dell'epoca in corso ma può essere fruito anche dalle generazioni future dal momento che i figli potranno accedere gratis alle conoscenze prodotte da genitori e nonni e investirvi producendone di nuove.
Affinché la produzione di valore mediante la conoscenza diventi una realtà concreta, c'è bisogno del contributo di molti soggetti. Questo vuol dire che la
La conoscenza deve essere messa a disposizione di tutti attraverso la creazione di una estesa rete comunicativa che permetta di trasferirla allargando il bacino dei ri-usi. Tuttavia oggi questo impiego della conoscenza per fini produttivi è piuttosto penalizzato da un sistema produttivo ancora troppo legato alle vecchie logiche di mercato dove non esiste libera condivisione ma solo scambio commerciale.
In quest'ambito si sviluppa il problema dei "commons immateriali" cioè quei beni (come la conoscenza) che sono a disposizione di tutti senza essere soggetti al diritto di proprietà. Affinché il sistema funzioni, bisogna cambiare l'atteggiamento a monte. Le nuove aziende capitalistiche devono imparare a sfruttare il lavoro del pubblico senza ricorrere a opere di enclosure come la creazione del diritto di proprietà intellettuale.
Il problema dell'Italia. Rullani pone infine il problema della produttività in Italia sostenendo che in
passato il made in Italy è cresciuto grazie a conoscenze altrui. Oggi però il costo del lavoro è molto aumentato e l'Italia non può andare avanti sfruttando conoscenze altrui. Questa è una strategia che viene adoperata dai paesi emergenti i quali, avendo un costo del lavoro molto basso, ne trarranno grande profitto. A questo punto l'Italia dovrebbe puntare su conoscenze originali e lasciare che queste girino il mondo alla ricerca di potenziali clienti che possano pagarle in base al valore prodotto. SAGGIO III IL MITO DEL CONSUMATORE PRODUTTIVO I confini tra produzione e consumo diventano sempre più sottili grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie (Internet in primis) che permettono al consumatore di partecipare sempre più attivamente alla realizzazione dei prodotti. Il primo a parlare di consumo produttivo è stato Marx sostenendo che il consumatore è l'unico in grado di attribuire alla merce il suo carattere di“finish” cioè di conclusione necessaria del ciclo economico di valorizzazione del capitale. Il suo concetto è stato poi ripreso dalla scuola di Birmingham il cui approccio “culturalista” sottolinea l’importanza di tutto ciò che viene espresso dalle masse a discapito della cultura alta. Verso la fine degli anni Sessanta, Stuart Hall ha integrato l’approccio culturalista (legato a esperienze di vita vissuta) con quello strutturalista (legato alla dimensione semantica del linguaggio usato nei messaggi pubblicitari) giungendo alla conclusione che ogni testo pubblicitario rappresenterebbe un messaggio preciso e decifrabile solo dal consumatore cui è destinato. Ma il concetto di consumo produttivo è stato sviluppato soprattutto da Michel De Certeau che alla fine degli anni Settanta ha parlato di lavoro del consumatore come di un’attività marginale e nascosta che assume sempre più importanza all’interno
della produzione. Oggi il lavoro del consumatore riveste un ruolo importantissimo nei processi produttivi dal momento che, grazie alle nuove tecnologie, egli è sempre più impegnato a costruire ciò che consuma.
Le aziende sono consapevoli dell'importanza del consumatore nei processi produttivi ed è per questo che cercano sempre di coinvolgerlo attivamente, ad esempio nella realizzazione di spot o nel miglioramento del prodotto stesso (anche se alle volte i consumatori si prendono la libertà di sviluppare nuove funzionalità del prodotto che non sono autorizzate dal produttore).
Bisogna però precisare che anche se il consumatore ha la facoltà di apportare modifiche ai prodotti, questo non vuol dire che ha pieni poteri decisionali, dal momento che le scelte da lui effettuate fanno parte di una schiera di possibilità selezionate dall'azienda.
In questo modo i consumatori sono sì partecipi, ma restano comunque confinati.
Nel loro ruolo iniziale, Fumagalli e Morini coniano il termine biocapitalismo per parlare del nuovo modo di produrre ricchezza tramite la conoscenza, l'esperienza umana e quelle attività corporee e intellettuali che sono implicite nell'esistere. Essi sottolineano il fatto che questo tipo di produzioni non producono solo realtà materiali ma soprattutto realtà sociali.
Il biocapitalismo è caratterizzato da:
- separazione meno netta fra tempo libero e tempo di lavoro in quanto utilizzando le facoltà vitali degli individui diventa impossibile definire un limite fra tempo di lavoro e tempo di non lavoro;
- separazione meno netta fra luogo di lavoro e luogo di vita in quanto il biolavoro è un lavoro nomade cambia spesso sede e continua anche a casa;
- separazione fra produzione, circolazione e consumo in quanto l'atto del consumo non è
Finalizzato alla soddisfazione di un bisogno ma tende a dimostrare la propria appartenenza ad una data categoria di persone. Per Fumagalli e Morini, l'esempio principale di biocapitalismo è il lavoro di cura come ad esempio quello della badante, il quale è fatto sia di conoscenze tecniche che di empatia con l'anziano. Fra i due soggetti nascerà un legame affettivo che essi lo vogliano o no. Da questo punto di vista il lavoro di cura rappresenta come la vita sia destinata a lavorare per la produzione e la produzione sia destinata a lavorare per la vita. Poiché in questo caso non c'è separazione fra tempo di lavoro e tempo libero e poiché la prestazione è lavoro immateriale, diventa difficile monetizzare la prestazione. Pertanto, secondo Fumagalli e Morini, la teoria del valore-lavoro deve essere ripensata e trasformata in teoria del valore-vita.
SAGGIO VGEOPOLITICA DELLA VALORIZZAZIONE. L'INCHIESTA COME FORMA DI LOTTA
finanzia il consumo di prodotti cinesi. Questo circolo vizioso crea una dipendenza reciproca tra i due paesi, ma allo stesso tempo alimenta la crisi economica globale. Inoltre, lo sviluppo capitalistico cinese ha un impatto significativo sull'ambiente. La rapida industrializzazione e l'aumento della produzione hanno portato a un aumento delle emissioni di gas serra e dell'inquinamento atmosferico. La Cina è diventata il principale emettitore di CO2 al mondo, contribuendo in modo significativo al cambiamento climatico. La corsa della Cina per le risorse naturali ha anche portato a una competizione globale per l'accesso a queste risorse. Questo ha creato tensioni con altri paesi, in particolare con quelli che hanno ricchezze naturali da difendere. La Cina ha intrapreso una politica di acquisizione di terre e risorse in diversi paesi, creando preoccupazioni per la sovranità nazionale e la sicurezza alimentare. In conclusione, lo sviluppo capitalistico cinese ha portato a una serie di sfide e crisi che mettono in discussione l'attuale modello capitalistico. La dipendenza economica reciproca tra Cina e Stati Uniti, l'impatto ambientale e la competizione per le risorse naturali sono solo alcuni degli aspetti critici di questa situazione. È necessario trovare nuove soluzioni e modelli economici sostenibili per affrontare queste sfide e garantire un futuro migliore per il pianeta.finzione, ma per il significato simbolico che rappresenta. Un esempio emblematico è il brand Nike,che ha trasformato le scarpe da ginnastica in un simbolo di status e di appartenenza a un determinatogruppo sociale. In questo senso, il brand diventa una forma di comando capitalistico, in grado diinfluenzare i comportamenti e le scelte dei consumatori. Possiamo quindi considerare la Nike come unvero e proprio partito politico, che promuove un'ideologia basata sul consumo e sull'appartenenza aun determinato stile di vita. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel mondo della moda, dovei brand diventano veri e propri simboli di potere e di identità.funzionalità ma per ciò che rappresenta. In quest&rs