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Massenzio e Costantino, figli rispettivamente di Massimiano e Costanzo.

Malgrado questi fallimenti, sull'opera riformatrice di Diocleziano non può non essere espresso un giudizio

sostanzialmente positivo perché riuscì indubbiamente se non ad arrestare almeno a rallentare notevolmente il

processo di decadimento cui era soggetto l'Impero romano a partire dalla morte dell'imperatore Marco Aurelio, e

che nel corso del III secolo aveva subìto una pericolosa accelerazione. Cosicché, il ventennio dioclezianeo rafforzò lo

Stato romano dotandolo degli strumenti di carattere istituzionale, amministrativo, finanziario e militare (perfezionati

poi da Costantino) idonei a consentirgli di esistere, come grande potenza, almeno per gran parte del IV secolo.

In questo contesto, le cariche repubblicane divennero puramente onorifiche, e lo stesso senato, salvo qualche

momento di ripresa, decadde progressivamente. Questo sistema centralizzato di governo, poi accentuato

autocraticamente da Costantino, fu detto dominato (da dominus, signore). Per un maggiore orientamento tra i

concetti, questo periodo è chiamato postclassico, corrispondente, per l’appunto, a quello dell’imperium

assolutistico. Esso va dal 285 d.C. sino alla morte dell’imperatore d’Oriente Giustiniano (565 d.C.).

3. La tetrarchia e la sua degenerazione. Il regno di Costantino

Il 1° maggio del 305 a.C. Diocleziano, dopo vent’anni di governo, venuto a scadenza e comunque malato, si dimise,

secondo i principi da lui stesso stabiliti, e spinse alle dimissioni anche Massimiano, che appariva avverso.

Tuttavia dopo le dimissioni di Diocleziano, il principio costituzionale della tetrarchia non resistette, e il sistema

politico entrò in crisi, anche per la lotta che si scatenò tra gli aspiranti alla successione.

Alla fine nel 313 d.C. rimasero vincitori Costantino e Licino, che rafforzarono il loro legame con il matrimonio di

Licinio con Costanza, sorella di Costantino. Ma dopo la vittoria di Licinio su Massimino Daia, nel 314 d.C., si verificò la

frattura tra i due Augusti superstiti. Nel 323 d.C. Costantino sconfisse Licinio ad Adrianopoli e occupò Bisanzio.

Licinio ebbe la promessa di aver salva la vita, ma l’anno seguente venne ucciso a Tessalonica (Salonicco).

Così nel 323 Costantino rimase unico imperatore, autocrate del vasto impero romano.

Costantino è una delle figure più importanti dell'Impero romano che riformò largamente e nel quale favorì la

diffusione del cristianesimo. Tra i suoi interventi più significativi, la riorganizzazione dell'amministrazione e

dell'esercito, la creazione di una nuova capitale a oriente (Costantinopoli) e la promulgazione dell'Editto di Milano

sulla libertà religiosa. 2

4. Il cristianesimo e l’impero

Costantino, il continua tura ideale dell’opera riorganizzatrice di Diocleziano, col quale la struttura dell’impero aveva

assunto una decisa ed irreversibile svolta autoritaria, dopo aver ritoccato e rafforzato il nuovo sistema di governo

assoluto, cercò ad esso una base ideologica.

Questa non poteva più essere il pluralismo pagano, perché come sappiamo nelle campagne restava prevalente la

vecchia religione politeista. Autocrazia e monoteismo finirono così per reggersi vicendevolmente.

I nuovi dogmi riflettevano la struttura piramidale dell’organizzazione imperiale. Il monoteismo cristiano rispecchiava

e legittimava la struttura centralizzata ed autocratica del potere imperiale.

Questa è la fase della “Realpolitik” bilaterale che caratterizzò i rapporti di compromesso tra Stato e Chiesa, appunto

a partire dall’età di Costantino. La Chiesa dagli inizi del quarto secolo in poi si inserisce pienamente nell’ordine

sociale e politico del tempo. Essa coesiste con lo Stato schiavista, in certo qual senso lo rafforza e ne risulta

rafforzata.

Essa si integra pienamente non solo in una società così strutturata, ma nella stessa organizzazione burocratica -

amministrativa dell’impero; i vescovi vengono equiparati a funzionari imperiali ed esercitano anche poteri civili.

Bisogna perciò operare una netta distinzione tra il Cristianesimo primitivo e quello burocratico dell’età costantiniana

e delle età successive. Certo, rispetto alle primitive idee sociali egualitarie e comunitarie del Cristianesimo,

l’atteggiamento della Chiesa ufficiale dell’età di Costantino rappresenta una profonda degenerazione.

Lo stesso atteggiamento di fronte alla schiavitù subisce profondi mutamenti, ma contiene in sé sempre qualcosa di

ambiguo. Da un lato la dottrina cristiana fautrice di un miglioramento della condizione degli schiavi; dall’altro

introduce una nuova forma di liberazione dei servi, la manumissio in ecclesia, il cui fine spesso appare non già quello

di liberare gli schiavi tutti in quanto uomini, e tanto meno quello di abolire lo sfruttamento del lavoro servile, ma

piuttosto quello più ristretto di liberare gli schiavi cristiani.

Lo scopo evidente è quello di allargare la comunità dei fedeli, non quello sociale di abolire la schiavitù, tuttora

pilastro dell’economia imperiale. Nel suo accostarsi al potere civile, la Chiesa di integra in una società schiavistica,

legittimandola e perdendo così quello slancio innovatore da cui appariva pervaso il Cristianesimo primitivo.

Insomma, sul piano storico il Cristianesimo, se si prescinde dai fermenti iniziali, non fu mai una forza rivoluzionaria;

anzi, esso contribuì a spegnere nelle masse ogni energia innovatrice, dirigendo l’attenzione verso fini ultraterreni o di

perfezione interiore. La nuova religione sostituiva così alla lotta rivoluzionaria la speranza nella ricompensa

ultraterrena.

Con i successori di Costantino, in particolare con Teodosio (col quale il Cristianesimo diviene religione ufficiale

dell’impero, religione di Stato), il potere politico, pressato dalla Chiesa, e dalle sue esigenze, inizia una politica

repressiva ed intollerante contro le altre religioni (paganesimo ed ebraismo in testa), nonché contro apostati ed

eretici.

5. L’amministrazione centrale dell’impero

Per quanto concerne l’amministrazione, con le riforme dell’età dioclezioanea e costantiniana emergono nuove figure

di funzionari civili, i comites. Questi già esistevano dall’età del principato, ma con funzioni esclusivamente politiche:

con Marco Aurelio essi avevano assunto funzioni civili e anche militari. Costantino distinse nettamente le funzioni

civili da quelle militari, lasciando ai comites solo le prime.

L’amministrazione centrale ora si basava su 4 cariche importanti, coadiuvate da una robusta burocrazia, organizzata

gerarchicamente: il quaestor sacri palatii, il magister officiorum, il comes rerum privatarum, il comes sacacrarum

largitionum.

- Già dall’età di Costantino si afferma la figura del quaestor sacri palatii, il quale conosceva il diritto (aveva la scientia

iuris), compresi gli antichi iura, ossia gli scritti della giurisprudenza classica. Egli inoltre doveva essere dotato di

eloquenza, poiché era l’ornator, ossia colui che dava forma culta e giuridica atti dell’imperatore. Per questo egli era il

depositario degli archivi degli atti normativi, delle costituzioni imperiali (liber legum).

- Il magister officiorum sovrintendeva a tutta la burocrazia, anche militare.

- Il comes sacrorum largitionum era il capo dell’amministrazione finanziaria, sia per le entrate che per le uscite. 3

- Il comes rerum privatatum era infine un secondo alto funzionario con compiti finanziari, che si occupava, però,

dell’amministrazione dei domini imperiali.

Tra l’età di Diocleziano e quella di Costantino, il sacrum consistorium, organo collegiale composto di funzionari e

superiori, prese il posto del vecchio consilium principis.

In quest’epoca grande importanza assunse anche il praefectus praetorio. Il suo rango era secondo solo a quello

dell’imperatore, per delega del quale esercitava funzioni giudiziarie. Egli inoltre aveva poteri vastissimi relativi

all’ordine pubblico, alla costruzione di edifici pubblici, fatta eccezione per le due capitali, Roma e Costantinopoli,

dove la competenza, come vedremo, era del praefectus urbi.

Egli esercitava anche la sorveglianza sui governatori provinciali, assumendo così il ruolo di cerniera tra il centro e la

periferia. Vigilava inoltre sulle corporazioni di arti e mestieri, organizzate da Costantino. Sua era altresì la

competenza sui giochi pubblici e sui prezzi dei generi di prima necessità, nonché sull’amministrazione dell’istruzione

superiore, del cursus publicus, ossia sul servizio postale gestito dallo Stato.

La sua competenza più importante era quella finanziaria, sull’annona, e gi spettava anche la vigilanza sulla condotta

dei funzionari di rango inferiore.

A Roma, come a Costantinopoli, il capo dell’amministrazione invece era il praefectus urbi, sottoposto all’imperatore.

Si tratta di una figura esistente sin dall’età regia, che sostituiva il rex in caso di sua assenza dall’Urbe.

Egli era al vertice della burocrazia urbana, con compiti di polizia e competenze giurisdizionali. La funzioni primaria

era quella del mantenimento dell’ordine pubblico, costituendo il massimo organo di polizia, con alle dipendenze dei

vasti uffici, ordinati gerarchicamente. Egli si occupava inoltre dell’approvvigionamento della città, della sorveglianza

sui mercati, sui porti, sui granai pubblici. Alle sue dipendenze ora era il praefectus annonae.

Esercitava la giurisdizione civile (in primo grado e in appello) per delega imperiale, la volontaria giurisdizione, e

quella penale. Era, in questa materia, il solo titolare del ius gladii, ossia del diritto di mettere a morte il cittadino.

Alle sue dipendenze era anche il prafectus vigilum, che presiedeva ai servizi antincendi.

Sull’amministrazione della città di Roma venne gradualmente modellata quella dell’altra capitale, Costantinopoli, con

poche modifiche.

6. L’amministrazione periferiche dell’impero

Con la divisione dell’impero in due parti, questo fu affidato a quattro praefectus praetorio, divenuti

progressivamente, da cerniera tra il centro e la periferia, funzionari periferici: due per l’Oriente e due per

l’Occidente.

Le province furono spezzettate e ridotte di consistenza. Vennero istituite 12 diocesi, che riunivano più province

ciascuna. A capo dell’amministrazione periferica vi erano i due prefetti del pretorio per ciascuna pars imperii, e le

diocesi erano governate da loro sostituti, detti vicari.

Il vicarius esercitava la giurisdizione civile e penale, prevalentemente come giudice di appello. Nelle cause civili era

rimessa alle parti la scelta se rivolgersi al vicarius, o adire direttamente il praefectus praetorio.

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A.A. 2014-2015
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

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