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TESTO UNICO D.LGS. 81/2008 DEFINIZIONI
I principi delineati dalla direttiva quadro 89/391/CEE sono stati stati attuati nel nostro ordinamento
con il TU D.Lgs. 81/08. Tali principi hanno introdotto parole nuove nel linguaggio legislativo
definendole in modo giuridico. Infatti all'articolo 2 del TU troviamo una serie di definizioni.
La lettera “n” stabilisce che la prevenzione è “il complesso delle disposizioni o misure necessarie
anche secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi
professionali nel rispetto della salute, della popolazione e dell'integrità dell'ambiente esterno”. In
tale disposizione viene di fatto recepito l'articolo 2087 del CC per dire che nel concetto di
prevenzione si ricomprendono non solo le regole imposte dalla legge ma anche le misure che
derivano dalla prassi e che sono necessarie per evitare il rischio. L'obbligo imposto dal 2087 e
riprodotto della nozione di prevenzione è quindi un obbligo generale di tutela che entra in gioco,
imponendo di adottare misure di prevenzione del rischio, anche nei casi in cui non intervenga la
legge. Dove è possibile il datore è tenuto ad adottare le misure di prevenzione e la Corte
Costituzionale parla del concetto di massima tutela tecnologicamente possibile, ossia tutto ciò
che il progresso tecnico e l'esperienza mettono a disposizione. Il concetto di prevenzione riguarda i
luoghi di lavoro ma anche la salute della popolazione e dell'ambiente esterno.
La lettera “o” definisce la salute come lo “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale,
non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”. Con il termine sociale si fa
riferimento al benessere relazionale. Al concetto di salute viene quindi data la stessa definizione
dell'OMS.
La lettera “q” definisce la valutazione dei rischi come la “valutazione globale e documentata di
tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell'ambito dell'organizzazione in cui
essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di
protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei
livelli di salute e sicurezza dei lavoratori”. È quindi necessario conoscere quali siano i rischi e qual
è il grado di tali rischi. La valutazione rappresenta il perno centrale sul quale ruota tutta l'attività di
prevenzione ed essa deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza. Nel recepire la direttiva
quadro, la Legge 626/94 parlava di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza senza
aggiungere tutti e, tale mancanza, ha determinato una denuncia alla Corte di Giustizia europea per
errata trasposizione e, nel 2001, l'Italia è stata condannata ed obbligata a ricorreggere il dettato
normativo nazionale per cui si è adottato un decreto correttivo per aggiungere “tutti” i rischi. Ciò al
fine di evitare che si valutino solo i rischi apparenti. La lettera “q” impone quindi di valutare non
solo i rischi esistenti ma di elaborare anche un programma di miglioramenti. Si tratta quindi di
un processo dinamico per cui la valutazione segue l'andamento del rischio e se questo si modifica
essa va aggiornata. La legislazione individua una serie di momenti tipizzati in cui essa va aggiornata
ma la valutazione va aggiornata anche indipendentemente, ne consegue che il rispetto formale della
norma non mette a riparo il datore dal rischio di inadempienza della legge.
Alla lettera “ff” viene definita la responsabilità sociale dell'impresa come “l'integrazione
volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro
attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”. Tale definizione è contenuta a
livello comunitario nel Libro Verde sulla responsabilità sociale del 2001 e nel TU viene recepita per
la prima volta in quanto tale tema risulta particolarmente sensibile sul piano sociale richiamando
tutti ad una maggiore responsabilità sociale. Si tenta quindi un approccio che metta in evidenza la
responsabilità sociale prima ancora che il rispetto delle norme giuridiche per cui si evidenzia
come non possa essere una norma di legge ad inseguire nel dettaglio la realtà e, quindi, nei casi non
regolati dalla legge vi deve comunque essere un approccio di responsabilità. Inoltre, gli standard di
legge sono standard minimi per cui è possibile andare oltre tali standard con la possibilità di
usufruire di premi e vantaggi economici.
La lettera “p” definisce il sistema di promozione della salute e della sicurezza come “il
complesso dei soggetti istituzionali che concorrono, con la partecipazione delle parti sociali, alla
realizzazione dei programmi di intervento finalizzati a migliorare le condizioni di salute e sicurezza
dei lavoratori”. Per cui vi sono dei soggetti pubblici, anche esterni, che promuovono la sicurezza nei
luoghi di lavoro ed una serie di soggetti istituzionali quali: il Comitato di indirizzo presso il
Ministero del Lavoro (ministro della salute e rappresentanti di ministeri, regioni e province
autonome), Commissione consultiva permanente presso il Ministero del lavoro (formata da
rappresentanti di ministeri, regione e parti sociali, con compiti di formazione, competenza ecc.), i
Comitati regionali di coordinamento, il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP)
(costituito da ministeri, regioni, inail, cnel), enti pubblici con compiti in materia di salute e
sicurezza. Il ruolo principale viene svolto dalla Commissione Consultiva Permanente presso il
Ministero del Lavoro in quanto ha il compito di adeguare il TU.
Le norme di prevenzione possono avere diversa origine: legislativa, tecnica, prassi o linee guida.
Le norme legislative possono derivare da leggi nazionali o regionali cui si collegano i regolamenti
di dettaglio.
La lettera “u” poi definisce la norma tecnica come “la specifica tecnica, approvata e pubblicata da
un'organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di
normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria”. La sua osservanza diventa obbligatoria
quando vi sia una legge che ne impone l'osservanza (ex. impianti elettrici) ma anche nei casi in cui
non vi sia una specifica norma di legge, la norma tecnica è comunque una norma di prevenzione e
diventa necessaria ed obbligatori nell'ottica della migliore prevenzione possibile.
La lettera “v” definisce le buone prassi come “le soluzioni organizzative o procedurali coerenti
con la normativa vigente e con le norme di buona tecnica, adottate volontariamente e finalizzate a
promuovere la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro attraverso la riduzione dei rischi ed il
miglioramento delle condizioni di lavoro, elaborate e raccolti dalle regioni, dall'Istituto superiore
per la prevenzione e sicurezza del lavoro (ISPESL), dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro
gli infortuni (INAIL) e dagli organismi paritetici di cui all'articolo 51, validate dalla Commissione
consultiva permanente di cui all'articolo 6, previa istruttoria tecnica dell'ISPESL, che provvede ad
assicurare la più ampia diffusione”. Per cui le buone prassi sono buone regole di comportamento
che sono da intendersi come procedure di sicurezza non imposte dalla legge ma coerenti con le
norme di legge e validate da organismi tecnici e pubblici che le accreditano e le raccomandano
nella prospettiva della massima sicurezza tecnologicamente possibile. Ad esempio, nel caso dello
stress da lavoro collegato le metodologie per valutarlo sono individuate dalla Commissione
consultiva permanente e non dalla legge per cui il datore può valutarle diversamente ma deve farlo
migliorando le buone prassi validate.
La lettera “z” definisce le linee guida come gli “atti di indirizzo e coordinamento per
l'applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza predisposti dai Ministeri, dalle
regioni, dall'ISPESL e dall'INAIL e approvati in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano”. Si tratta quindi di indicazioni per
chiarire agli operatori il modo migliore per applicare le norme di legge. Non sono di per sé
obbligatorie tranne nel caso non sia la stessa legge a rinviare alle linee guida.
Tecnica, prassi e linee guida sono in linea di principio volontarie e diventano obbligatorie quando è
la stessa legge a richiamarle. Per cui l'imprenditore può discostarsi da queste però deve dimostrare
che la norma diversa che esso adotta sia idonea a perseguire una migliore prevenzione.
CAMPO DI APPLICAZIONE
Il nostro sistema di prevenzione in parte ha recepito i principi comunitari in toto mentre in altri
punti l'attuazione non avviene al cento per cento in quanto sono stati adottati degli adattamenti per
tenere conto del contemperamento tra le esigenze dei lavoratori e quelle dei datori. L'articolo 3
definisce il campo di applicazione stabilendo, al primo comma, che “il presente decreto legislativo
si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”. Non esiste
altra legge in ambito lavoristico che abbia un campo di applicazione così ampio e, infatti, sono presi
in esame tutti i settori di attività e tutti i tipi di rischio. Questa è la regola generale ma vi sono
ovviamente delle sfumature per tenere conto di specifiche esigenze. Per cui, a meno che non sia il
legislatore a prevedere delle limitazioni, vale la regola generale che è di carattere imperativo e,
quindi, le limitazioni del campo di applicazione sono tassativamente previste dalla legge. Casi
particolari riguardano forze armate, polizia, carabinieri, strutture giudiziarie e penitenziarie,
università, organizzazioni di volontariato, trasporto aereo e marittimo. In queste ipotesi il TU si
applica “tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio o alle peculiarità
organizzative” secondo quanto previsto da appositi decreti ministeriali.
Un'altra regola di carattere generale che impatta con il principio di massima copertura, riguarda i
destinatari della tutela. L'articolo 4 fa infatti riferimento a tutte le realtà, tutti i tipi di rischio e
“tutti i lavoratori e le lavoratrici, subordinati ed autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati,
fermo restando quanto previsto dai commi successivi del seguente articolo”. Vi sono quindi alcune
flessibilità. La prima riguarda i lavoratori autonomi che hanno standard di protezione inferiori
perché si auto-organizzano (articoli 21 e 26). Questi hanno alcuni margini di gestione autonoma
del