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ORIGINI E STRAVAGANZE STORICHE DEL TERMINE “PRAGMATICA”

Morris (1938) → inventa il termine “pragmatica” dividendo la semiotica in

• tre indirizzi di ricerca:

a) sintattica (o sintassi) → studio delle relazioni formali di un segno con

l'altro;

b) semantica → studio delle relazioni dei segni con gli oggetti cui si

applicano (detti “designata”);

c) pragmatica → studio delle relazioni fra i segni e i loro interpretanti. Per

Morris essa tratta di tutti i fenomeni psicologici, biologici e sociologici

che intervengono nel funzionamento dei segni.

Dopo Morris, il termine “pragmatica” è stato usato in due modi distinti:

• a) secondo quello che diceva appunto Morris;

b) il termine ha iniziato a designare un ambito ristretto secondo

l'influenza di Carnap → la pragmatica è l'insieme delle indagini che

fanno riferimento all'utente della lingua. In questo modo la pragmatica

finì per essere identificata con la semiotica in generale e allo studio

delle lingue naturali, mentre la pragmatica deve comprendere solo

quei fenomeni che hanno potenzialmente delle implicazioni

linguistiche.

Bar-Hillel (1954) → l'attenzione di sposta sui deittici (o indicali): “la

• pragmatica è ,lo studio delle lingue, sia naturali che artificiali, che

contengono termini deittici”. Questa definizione era un problema, perché

di fatto tutte le lingue hanno termini deittici.

Semantica generativa → la pragmatica è l'ambito delle indagini che

• richiedono il riferimento agli utenti della lingua.

Definizione di Carnap rielaborata → “la pragmatica è quell'insieme di

• indagini linguistiche che rendono necessario il riferimento al contesto”,

dove “contesto” indica l'identità dei partecipanti, i parametri

spazio-temporali dell'evento e le credenze, le conoscenze e le intenzioni

di chi partecipa all'evento.

Riassumendo, dalla divisione originaria di semiotica sono scaturite le seguenti

accezioni della pragmatica:

1. studio dell'enorme quantità di fenomeni psicologici e sociologici implicati

nei sistemi di segni in generale e nella lingua in particolare;

2. studio di alcuni concetti astratti che fanno riferimento agli attanti (uno

dei sensi della definizione di Carnap);

3. studio dei termini deittici;

4. l'uso recente nell'ambito della linguistica e della filosofia

anglo-americana.

UNA DEFINIZIONE DELLA PRAGMATICA

“Teoria della comprensione della lingua che prende il considerazione il

contesto.”

1. “Studio di quei principi che spiegano perché certe frasi sono anomale o

non sono enunciati possibili” → La sedia ha dimenticato lo zaino a casa.

2. “È lo studio della lingua da una prospettiva funzionale, cioè cerca di

spiegare alcuni aspetti della struttura linguistica facendo riferimento a

pressioni e a cause non linguistiche” → definizione troppo generale, la

pragmatica deve occuparsi dei principi dell'uso linguistico, non della

struttura linguistica.

3. Per Fedor e Katz dicevano che “la teoria della pragmatica dovesse

occuparsi della disambiguazione delle frasi per mezzo dei contesti in cui

esse venivano usate”.

4. “La pragmatica comprende sia gli aspetti della struttura linguistica che

dipendono dal contesto sia i principi di uso e comprensione della lingua

che hanno poco o niente a che fare con la struttura linguistica”.

5. “La pragmatica è lo studio di quelle relazioni tra la lingua e il contesto

che sono grammaticalizzate o codificate nella struttura della lingua

stessa”. → in questa prospettiva, lo studio della pragmatica include anche

la deissi.

6. “La pragmatica studia quei tratti non semantici codificati nelle lingue,e

questi tratti sono aspetti del contesto” → ma viene solo implicato, tramite

il concetto di codifica, che la pragmatica si occupi di certi aspetti del

significato.

7. “La pragmatica è lo studio di tutti quegli aspetti del significato che

sfuggono alla teoria semantica” → il campo della pragmatica sembra

variare a seconda del tipo di teoria della semantica che si adotta, ma se il

teorico ammetterà che la semantica si deve occupare solo delle

condizioni di verità allora non si creeranno conflitti.

8. “La pragmatica è lo studio delle relazioni tra lingua e contesto che sono

fondamentali per spiegare la comprensione della lingua stessa” → un

enunciato implica di più che capire il significato delle parole che lo

compongono, capire un enunciato significa trarne delle inferenze.

9. “La pragmatica è lo studio della capacità che possiedono gli utenti di una

lingua di associare le frasi ai contesti adeguati” → in una data lettura

semantica, una teoria pragmatica dovrebbe predire per ogni frase ben

formata l'insieme dei contesti in cui tale frase sarebbe appropriata come

enunciato. ,a questo richiederebbe una comunità linguistica molto

omogenea, e i parlanti della lingua che non si comportano nel modo

richiesto dal costume predominante, potrebbero essere giudicati

inoffensivi e inappropriati.

10. La pragmatica è lo studio della deissi, dell'implicatura, degli atti

linguistici e degli aspetti strutturali del discorso.

Quali sono gli input e gli output della pragmatica?

input → descrizione grammaticale completa di una frase insieme a

– informazioni relative al contesto d'uso, ovvero l'enunciato;

output → insieme delle rappresentazioni (o proposizioni) che danno il

– significato intero della frase enunciata.

Katz suggerisce che la teoria della pragmatica sia una funzione in cui il dominio

è rappresentato da tutti gli enunciati, e come rango l'insieme delle proposizioni.

INTERESSE ATTUALE PER LA PRAGMATICA

I principi pragmatici dell'uso linguistico appaiono inscritti negli enunciati,

spiegando come sia possibile che essi esprimano più di quanto significhino

letteralmente.

ESEMPIO

A: “Ma c'è il falò di Sant'Antonio?”

B: “Da qui si vede bene!”

A: “Allora lo vengo a vedere a casa tua!”

Possiamo fare risalire le inferenze generate a ciò che le inducono. Da questo

scambio si evince che:

A chiede a B se c'è il falò e B risponde implicando che sì, il falò c'è e che

• da dove è B si vede bene

in base alla replica di A si evince che il “qui” si riferisce a casa di B.

• capiamo inoltre che A e B non si trovano nello stesso luogo

• CAPITOLO 2

LA DEISSI

La deissi è il modo più evidente in cui la relazione fra lingua e contesto è

riflessa nella struttura della lingua stessa.

Le lingue naturali sono pervase da fenomeni deittici, il che ci fa capire come

esse sono designate per l'interazione faccia a faccia.

I deittici sono delle parole che cambiano referenza a seconda del contesto in

cui sono proferite: le condizioni di verità (circostanze in cui una frase risulta

vera) dei deittici dipendono dal contesto di riferimento.

A livello filosofico si era cercato di ridurre tutte le espressioni deittiche a una

primaria mentre di rendere il residuo pragmatico indipendente dal contesto.

Rapporto fra deittici e fondamenti del riferimento generale:

no attenzione ai deittici

– trattati come particolari tipi di espressioni la cui interpretazione dipende

– dal contesto

alcune espressioni in realtà sono deittici impliciti (“L'uomo con il

– panciotto è Patrick Jane” può infatti essere sostituito con “Quell'uomo è

Patrick Jane”).

Dimensione egocentrica → il soggetto enunciatore determina un punto focale

(quando dice “Quello” intende “quello” rispetto a lui, ovvero un oggetto lontano

da lui, ma che può essere vicino all'interlocutore)

Le diverse utilizzazioni dei termini deittici:

1. deittica

a) gestuale → per interpretarli occorre un controllo fisico momento per

momento

b) simbolica → fa riferimento solo al contesto che i partecipanti hanno a

disposizione prima dell'enunciazione (parametri spazio-temporali)

2. non deittica

a) anaforiche → termine che individua come referente la stessa entità

individuata nel discorso da un termine precedente (“Sono le 11.35!

Dobbiamo partire ora o arriveremo tardi!”)

b) non anaforiche

Categorie della deissi

1. di persona → codifica del ruolo dei partecipanti nell'evento comunicativo

in cui è prodotto un enunciato. La deissi di persone è espressa

solitamente dai pronomi di I e II persona singolare (io e tu). Per la prima

persona c'è l'inclusione del parlante (+P); la seconda persona,

l'inclusione dell'interlocutore (+I); per la terza persona l'esclusione di

parlante e interlocutore (-P, -I), visto che non partecipa all'evento

comunicativo. Per il plurale, “noi” non significa “più di un parlante”

(anche se in certe lingue c'è un noi esclusivo e uno inclusivo), mentre

“essi” vuol dire “più di una persona”.

Oltre al parlante, all'interlocutore e all'ascoltatore ci sono anche altre

distinzioni, come chi ascolta per caso, i partecipanti riconosciuti e on

riconosciuti.

2. di tempo → rappresentazione del punto di vista dell'enunciatore che

assiste e/o partecipa agli eventi e li descrive rapportando i tempi degli

eventi descritti al tempo dell'enunciazione.

C'è un tempo di codifica (TC), che corrisponde al momento

dell'enunciazione o dell'atto di descrivere e un tempo di ricezione (TR),

che corrisponde al momento della ricezione.

La deissi temporale è espressa da

avverbi di tempo → “era un bambino allora”

• morfemi temporali → “Scrivevo una lettera” (morfema del tempo

• verbale)

indicativi di tempo in generale → “Giovedì gioco a calcio”

3. spaziale → specificazioni delle posizioni relativamente a punti di

ancoraggio (alle posizioni dei parlanti) in un evento comunicativo.

La deissi spaziale è tipicamente espressa da avverbi di luogo e

dimostrativi, che ordinano lo spazio partendo dal punto di vista

dell'enunciatore per localizzare gli oggetti, le persone, gli eventi in base a

vicinanza o lontananza rispetto all'io e tu → “Portami quello”

• loro orientamento → “Portalo giù”

• conoscenza o meno, visibilità o meno

Infine, anche alcuni verbi di movimento hanno c

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
7 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/05 Filosofia e teoria dei linguaggi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valsfm di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Semiotica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Calabi Clotilde.