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Quindi, il principe sovrano detentore del potere assoluto ha come unici limiti alla propria azione di potere il
diritto divino e le leggi della natura. Tutto il resto è governo giusto e nessuno si potrà sottrarre a
quest’ultimo. I funzionari, i giudici e tutti quelli che fanno parte della macchina del potere non sono sovrani,
solo il principe è sovrano. Tutti gli altri sono sottoposti, non solo alle leggi divine e della natura ma anche a
quelle del principe.
Questo è il pensiero di J. B.. che è antropologicamente ottimista, politicamente razionale, risponde sempre a
"Per Stato si intende il governo giusto che si
ragione mai a sentimento e come dice lo stesso J. B.
esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che esse hanno in comune fra loro".
Dove sta la componente ottimistica, parliamo di ottimismo perchè alla fine crede nell’uomo buono,
crede che sia razionale orientare l’azione politica alla libertà dell’uomo.
Non sempre, come vedremo, la storia ci ha dimostrato che l’azione politica è intrinsecamente
orientata ad allargare l’area della libertà. Quindi le parole chiave che nell’opera del Bodin
identificano il concetto di sovranità sono due:
1) Libertà:
2) Razionalità: il lavoro politico, l’azione politica è intrinsecamente razionale, e intimamente diretta al
governo giusto.
Facciamo un parallelo con Hobbes: qui siamo su un altro terreno. Questi parte da un’antropologia pessimista
(a differenza di Bodin), homo homini lupus. Quindi, elabora un modello di razionalità politico fondato sui
limiti dell’uomo che punta non ad orientare la propria vita verso il giusto o il bene ma verso il predominio
dell’uomo sull’altro, tant’è che l’accezione di sovranità hobbesiana è un accezione di sovranità finalizzare a
far cessare le violenze e i soprusi dello stato di natura.
Quindi il passaggio da Bodin a Hobbes è proprio questo.
Ora, invece, facciamo un salto fino alla metà dell’ottocento e analizziamo alcuni passi di un brano di
come essere fisico è come gli altri corpi governato da leggi immutabili; come
Montesquie: “L'uomo
essere intelligente viola incessantemente le leggi che Dio ha stabilite e cambia quelle che egli
stesso stabilisce. Bisogna che egli si diriga, tuttavia è un essere limitato; è soggetto all'ignoranza e
all'errore come tutte le intelligenze finite; le deboli conoscenze che ha, può ancora perderle; come
creatura sensibile è soggetto a mille passioni. Un tale essere poteva a tutti gli istanti dimenticare il
suo creatore; Dio l'ha richiamato a sé con le leggi della religione. Un tale essere poteva a tutti gli
istanti dimenticare se stesso; i filosofi lo hanno avvertito con le leggi della morale. Fatto per vivere
nella società, poteva dimenticare gli altri; i legislatori l'hanno reso ai suoi doveri con le leggi
politiche e civili".
Se cosi è l’uomo non è possibile tentare di perseguire un modello di razionalità politica che riesca
a gestire la società come nel caso di bodin, che sia tendente al giusto.
Se questa è la raffigurazione dell’uomo che ne fa l’autore allora dell’uomo dobbiamo dubitare. È
chiaro oramai come dobbiamo partire dalla considerazione che hanno i vari filosofi del genere
umano per capire ed interpretare la loro visione del concetto di sovranità, potere dello stato, la sua
limitatezza, illimitatezza etc. a seconda di quale idea di uomo si avrà, verrà costruita una architrave
della nozione di potere.
“La libertà politica non si trova che nei governi moderati. Tuttavia non
Continua Montesquie:
sempre è negli Stati moderati; vi è soltanto quando non si abusa del potere; ma è una
esperienza eterna che qualunque uomo che ha un certo potere è portato ad abusarne; va
avanti finché trova dei limiti. Chi lo direbbe! Perfino la virtù ha bisogno di limiti.
Perché non si possa abusare del potere bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere
arresti il potere.”
Ovviamente lui parte dal presupposto che l’uomo devia rispetto a valori di bontà e libertà; a
quel punto deve elaborare un modello di razionalità politica differente necessariamente
differente, deve localizzare lo stato in modo che siano minimizzati i rischi. Questo è il cuore di
quello che sarà lo stato di diritto nei secoli successivi. Limiti al potere.
“In ogni stato esistono tre tipi di potere: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose
dipendenti dal diritto delle genti e il potere esecutivo delle cose dipendenti dal diritto civile.
In forza del primo, il principe o il magistrato fa leggi, aventi una durata limitata o illimitata, e
corregge o abroga quelle già fatte.
In forza del secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, garantisce la sicurezza,
previene le invasioni.
In forza del terzo, punisce i delitti o giudica le cause fra privati. Chiameremo quest'ultimo il potere
di giudicare, e l'altro semplicemente il potere esecutivo dello stato.
La libertà politica in un cittadino è quella tranquillità di spirito che deriva dalla persuasione che
ciascuno ha della propria sicurezza; perché si goda di tale libertà, bisogna che il governo sia in
condizione di liberare ogni cittadino dal timore degli altri.
Quando in una stessa persona, o nello stesso corpo di magistrati, il potere legislativo è
unito al potere esecutivo, non c'è piú libertà”. Riflessione: pensiamo all’uso spropositato che è
stato fatto del decreto-legge, strumento previsto dalla nostra costituzione, efficacissimo come
strumento per risolvere le situazioni di straordinaria necessità e urgenza. Pensiamo però all’uso
distorto che si è fatto di tale istituto, abbiamo assistito alla presenza di D.L. privi dei requisiti della
straordinaria necessità ed urgenza, approvati poi con l’istituito della fiducia. In questo caso
andando a seguire lo schema logico delineato dal non si rispetta la divisione dei poteri
Montesquie
e c’è una confusione del potere legislativo con quello esecutivo provocando di fatto un attentato
alla libertà!
Quindi, allo scopo di minimizzare le pulsioni violente e tiranniche il governo va necessariamente
diviso e limitato, vanno separati i poteri lo stato sovrano, comunque, rimane uno, ma è il potere
che si limita.
Sempre M.: “Bisogna fissarsi bene nella mente che cosa è l'indipendenza, che cosa è la libertà. La
libertà è il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono; e se un cittadino potesse fare quello
che esse proibiscono, non vi sarebbe più libertà, perché tutti gli altri avrebbero del pari questo
potere".
Quindi, vediamo come la sfera della libertà sia materializzata, concretizzata dalla legge, possiamo
ovviamente parlare poi di leggi giuste/ingiuste e cosi via ma l’importante è sapere che la libertà di
uno è strettamente collegata alla liberta dell’altro!
Poco dopo è J. J. Rousseau a pubblicare nel 1772 “il contratto sociale”, anche qui R. parte da una
constatazione amara, più politica che antropologica: "L'uomo è nato libero, e dappertutto è in
catene. Quegli, che si crede padrone degli altri, non è mai meno schiavo di essi".
A chi appartiene la sovranità? Nella nostra carta costituzionale la sovranità appartiene al popolo,
l’idea di una volontà generale che sia la direttrice della sovranità proviene proprio da R. dove la
sovranità appartiene a tutti ma la volontà generale non è la sommatoria algebrica delle volontà
particolari, ma la volontà generale è qualcosa che sia definibile dalla comune natura umana. La
volontà generale è il frutto di ciò che gli uomini sono disponibili a mettere nel patto sociale (es. :
Sono disponibile a farmi ammazzare? No, allora non posso nemmeno ammazzare l’altro).
Ecco le parole di R a riguardo:
“ Suppongo che gli uomini siano giunti al punto, in cui gli ostacoli, che nuocciano alla loro
conservazione nello stato di natura, prendano con la loro resistenza il sopravvento sulle forze che
ciascun individuo possa impiegare per mantenersi in tale stato. Allora quello stato originario non
può più sussistere; e il genere umano perirebbe, se non cambiasse la sua maniera d'essere. Ora,
siccome gli uomini non possono generare nuove forze, ma solo unire e dirigere quelle esistenti,
essi non hanno più altro mezzo di conservarsi, se non di formare per aggregazione una somma di
forze, che possa prevalere sulla resistenza, metterle in moto per un solo scopo, e farle operare in
accordo. Questa somma di forze non può nascere che dal concorso di parecchi uomini; ma,
essendo la forza e la libertà di ogni uomo i primi strumenti della sua conservazione, come potrà
egli impegnarli senza nuocersi e senza trascurare le cure che deve a se stesso? Questa difficoltà,
ricondotta al mio argomento, può enunciarsi in questi termini: "Trovare una forma di associazione,
che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona ed i beni di ciascun associato; e per
la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a se stesso, e resti altrettanto libero
di prima". Tale è il problema fondamentale, di cui il contratto sociale dà la soluzione. [...].
“In realtà un individuo come uomo può avere una volontà particolare, contraria o dissimile alla
volontà generale, il suo interesse privato può parlargli in modo del tutto diverso dal interesse
comune, Affinché dunque il patto sociale non sia una vana formula, esso deve racchiudere
tacitamente questo impegno, il quale solo può dar forza agli altri: che chiunque rifiuterà di obbedire
alla volontà generale, vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò che non significa altro, se non che lo si
costringerà ad esser libero; perché tale è la condizione che, dando ogni cittadino alla patria, lo
garantisce da ogni dipendenza personale; condizione che forma il meccanismo e il funzionamento
della macchina politica, che sola rende legittime le obbligazioni civili, le quali senza di ciò
sarebbero assurde, tiranniche, e soggette ai più enormi abusi.”
sovranità non può essere rappresentata, per la stessa ragione per cui non può essere
“La
alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, la volontà non si rappresenta: o è
quella stessa, o è un'altra; non c'è